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Temi caldi - Aborto, pillola Ru 486
Il senso di una "moratoria" sull'aborto Stampa E-mail
La proposta di Giuliano Ferrara. Le reazioni
      Scritto da Giovanni Martino
11/02/08
Ultimo Aggiornamento: 11/05/10

Lo scorso 18 dicembre l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una “moratoria” sulla pena di morte, ossia un invito – esteso anche a quegli Stati che non volessero abolirla totalmente – a restringere le ipotesi di applicazione della pena capitale e a sospendere le esecuzioni.

Si tratta senz’altro di un evento rilevante, anche se si sono aperti a latere dibattiti sulla sua efficacia e il suo significato.

Alcuni hanno messo in dubbio l’effettiva utilità di un invito non vincolante. A costoro è stato risposto, da chi ha promosso e sostenuto la moratoria, che in ogni caso questa ha il merito di aprire il dibattito su quel tema.

Altre perplessità erano venute inizialmente da quanti - soprattutto in ambienti cristiani – lamentavano che il diritto alla vita non può essere “spezzettato”, difendendolo da una parte con la denuncia della pena di morte, ma calpestandolo dall’altra con il silenzio su aborto, eutanasia, manipolazioni eugenetiche. Queste perplessità, però, sono state ben presto accantonate e anche questi ambienti hanno sostenuto la moratoria, in considerazione del fatto che poteva essere pur sempre utile una politica dei “piccoli passi”, che smuovesse le acque stagnanti dei pregiudizi sul tema della vita.

L’Italia è stata una delle nazioni in prima linea nel sostegno alla moratoria (anche per l’impulso del Partito Radicale). E proprio dall’Italia, dopo il voto dell’ONU, viene il primo tentativo di gettare un ulteriore sasso nello stagno.


La proposta di Ferrara

A prendere l'iniziativa è Giuliano Ferrara, il direttore del quotidiano Il Foglio, che con il suo coraggio di affrontare temi delicati al di là di schemi ideologici ha saputo diventare protagonista del dibattito culturale e politico.

La sera stessa dell’approvazione della moratoria sulla pena di morte, il 18 dicembre, durante la trasmissione televisiva Otto e mezzo, Ferrara ha lanciato la proposta di una moratoria sull’aborto. Il giorno successivo, dalle colonne del suo giornale, Ferrara ha invocato – dopo la “Piccola Moratoria” sulla pena di morte a persone considerate colpevoli di gravi reati dopo un processo - una “Grande Moratoria della strage degli innocenti”, dell’aborto.
Il 21 dicembre, con quel tocco di ironia che gli è proprio, ha annunciato una “dieta speciale” (solo liquida), che avrebbe tenuto durante il periodo natalizio – tradizionale occasione di ricche libagioni – e sino a fine 2007, anche in considerazione del fatto che nel 2008 ricorrono trent’anni dall’approvazione della legge (la n.194) che in Italia ha autorizzato la pratica abortiva.

“Ma che cosa significa la moratoria, in termini di realismo politico?” E’ la domanda che lo stesso Ferrara raccoglie in un suo fondo del 2 gennaio. Domanda alla quale così risponde:
”E’ molto semplice. Ai governi occidentali e a chi ci può stare nel resto della terra si chiede di sospendere ogni politica che incentivi la pratica eugenetica, in particolare quella fondata sull’aborto selettivo per sesso o per disabilità. E questo è un obiettivo degno dello stesso impegno messo nella lotta per sospendere l’esecuzione della pena di morte legale. Il secondo obiettivo è affermare la libertà di nascere come uno dei diritti fondamentali dell’uomo, inscrivendolo nella Dichiarazione universale in base alla quale furono costituite le Nazioni Unite. Sono due grandi mete intrecciate tra loro, il no all’eugenetica e la libertà di nascere, che possono essere indicate come un programma civile, politico, etico e umanitario schiettamente indipendente da ogni valutazione confessionale.
”Il manifesto della moratoria potrebbe essere preparato da un comitato internazionale (...) Fossero vivi, Norberto Bobbio e Pier Paolo Pasolini ovviamente firmerebbero, carta canta: chi dei loro presunti eredi etico-culturali avrà il coraggio di farsi avanti?
”Naturalmente un paragrafo della dichiarazione di principio, sulla quale impegnare i governi e le lobby internazionaliste, dovrebbe essere dedicato, e non sarebbe un comma minore ma la condizione del tutto, al fatto che la moratoria esclude ogni forma di colpevolizzazione, men che meno di persecuzione penale, delle donne che si trovano di fronte alla “scelta” della maternità. Le politiche pubbliche, la cultura e lo spirito del tempo sono in discussione, non la coscienza dei singoli”.

Queste proposte, è l’auspicio di Ferrara, potrebbero essere rilanciate da una manifestazione di "cinque milioni di pellegrini della vita e dell'amore, tutti a Roma nella prossima estate".

Ferrara chiede quindi che cali il velo d’ipocrisia che è stato steso sulla pratica dell’aborto: non è più rimedio estremo, se ne è smarrito il senso di tragicità, se è vero che negli ultimi trent’anni, a livello mondiale, ne sono stati praticati più di un miliardo (!). Lo scorso anno, 54 milioni nel mondo, 130 mila in Italia.

Tutto questo è avvenuto in parte grazie alle legislazioni abortiste, ma in parte anche contro di esse, contro i paletti che pur pongono alla pratica dell’aborto indiscriminato, come ricordiamo in un articolo sui luoghi comuni che circondano questo tema.

Tra le altre proposte concrete che hanno via via arricchito il senso della moratoria, c’è quella di una corretta informazione nei consultorî, finanziando – come prevede la legge – anche le presenze del volontariato capaci di offrire alle donne sole un sostegno materiale e psicologico. Parla da solo il successo ottenuto sin qui, in assoluta povertà di mezzi, dalle iniziative a sostegno delle madri in difficoltà. L’appello di Ferrara ha avuto l’immediato risultato di indurre Regione Lombardia e Comune di Milano a stanziare nuovi fondi per il Centro di Aiuto alla Vita attivo presso la clinica Mangiagalli, Centro che nel solo 2006 aveva salvato 833 vite, e che era in procinto di chiudere.

Un altro tema su cui intervenire è quello dell’elaborazione di linee guida della legge che la rendano adeguata al giorno d’oggi, soprattutto in relazione ai limiti di tempo entro i quali è consentito l’aborto terapeutico per “anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”. La legge non fissa in questo caso un limite temporale preciso, bensì un limite oggettivo costituito dall’esigenza che non sussista “la possibilità (non la probabilità, ma la mera possibilità, ndr) di vita autonoma del feto”. Ebbene, se questo limite è stato sin qui convenzionalmente considerato corrispondente alle ventiquattro settimane, oggi i progressi della medicina neonatale ci dicono che un neonato può sopravvivere già dalla ventesima settimana. Ed in questa direzione vanno i protocolli interni di importanti strutture ospedaliere, come la clinica “Mangiagalli” (la prima struttura autorizzata in Italia a praticare aborti) e l’ospedale San Paolo di Milano, che hanno fissato il limite a ventuno/ventidue settimane; protocolli, si badi bene, approvati con il parere unanime dei comitati etici interni, rappresentativi di diversi orientamenti culturali.
Su questo aspetto ha dato disponibilità anche il ministro della Salute Turco, affidando al Consiglio Superiore di Sanità il compito di fornire “specifiche indicazioni sulle capacità di vita autonoma del feto”.

Insomma: il principale obiettivo della moratoria investe “le politiche pubbliche, la cultura e lo spirito del tempo”, ed ha un respiro internazionale.
Quanto all’ambito italiano, e al piano più specificamente politico-legislativo, non è oggetto del dibattito l’abolizione della legge 194 e il divieto formale – penalmente sanzionato – dell’aborto; piuttosto, si richiede una corretta applicazione della legge ed eventuali aggiustamenti dettati dal progresso medico-scientifico.

Ferrara è riuscito ad imporre la sua proposta al dibattito pubblico grazie al prestigio conquistato, alla sua capacità argomentativa, alla sua ricerca di interlocutori a 360°. Ma anche grazie alla sua identità di “laico” non credente, che toglie al dibattito l’ipoteca stantia dello scontro “laici contro cattolici”. Anche perché contro l’aborto di sono pronunciati i più autorevoli esponenti tanto della cultura “laica” (Bobbio e Pasolini, come visto) quanto delle religioni non cristiane (Gandhi e il Dalai Lama).


Le reazioni

La proposta sulla “moratoria” si è imposta all’attenzione generale anche per sostegno (sia pure prudente) che è venuto dai vertici della Chiesa.
L’ex presidente della Conferenza Episcopale Italiana, mons. Ruini, in un’intervista rilasciata il 31 dicembre al TG5, ha dichiarato: “si può sperare che da questa moratoria venga anche uno stimolo per l'Italia, quantomeno per applicare integralmente la legge sull'aborto che dice di essere legge che intende difendere la vita, quindi applicare questa legge in quelle parti che davvero possono essere di difesa della vita e forse, a trent'anni ormai dalla legge, aggiornarla al progresso scientifico che ad esempio ha fatto fare grandi passi avanti riguardo alla sopravvivenza dei bambini prematuri”.
Una posizione non dissimile è stata espressa dall’attuale presidente dei vescovi italiani, mons. Bagnasco, intervistato il 4 gennaio dal Corriere della Sera.
Infine il Papa, parlando ai diplomatici accreditati presso la Santa Sede, ha espresso l’auspicio che la moratoria Onu sulla pena di morte “stimoli il dibattito pubblico sul carattere sacro della vita”. Nessun diretto riferimento, quindi, all’Italia e all’iniziativa di Giuliano Ferrara. Il quale, ostentando un certo understatement, ha negato che il Papa possa aderire ad una sua iniziativa; sostenendo che piuttosto è lui ad aver aderito anticipatamente alla “moratoria del Papa”.

Entusiastiche le adesioni della quasi totalità del mondo del laicato cattolico (con l’eccezione, come vedremo più avanti, della piccola componente cattolico-progressista), consapevole di tornare protagonista, anche grazie a Ferrara, di un dibattito generale. Il mondo “laicista” era sin qui riuscito a far considerare questioni “religiose”, e quindi non meritevoli di attenzione, le tematiche poste dai cattolici; i quali, probabilmente, avevano accettato con troppa remissività questa emarginazione, ingiustificata anche per la ricchezza e la coerenza delle loro posizioni.
Gli unici distinguo interni al mondo cattolico sono quelli che ripropongono un antico dilemma sugli obiettivi culturali e politici da perseguire. Lo storico Movimento per la Vita e larga parte dell’associazionismo, sostenuti dal quotidiano Avvenire (ed anche da Famiglia Cristiana), sono sulla linea di Ferrara e dell’episcopato italiano: sì alla “battaglia culturale”, prudenza sulle iniziative legislative. Una parte più intransigente – ad esempio il Comitato Verità e Vita – sostiene che una linea di prudenza non deve far sorgere l’equivoco che possa ritenersi accettabile una legge che ammette l’aborto.
Semplificando, abbiamo parlato di ‘dilemma’; in realtà, si tratta di posizioni in larga parte comuni, con sottolineature diverse.

Le reazioni della cultura “laica” (non credente)? Imbarazzi, reazioni negative, ma anche qualche segnale di interesse da personaggi come Angelo Panebianco, Lorenzo Strik Lievers, Sergio Romano.

Un’ulteriore eco la moratoria l’ha avuta quando è entrata nel dibattito più strettamente politico e parlamentare.

Il coordinatore di Forza Italia, Bondi, ha rilanciato una sua mozione per l’adozione di linee guida della 194 che ne rafforzino l’applicazione nella parte preventiva. Anche se ha affermato di parlare “a titolo personale”; e il suo collega Cicchitto ha cercato di ridimensionare l’ “esposizione” di Forza Italia su questo tema.

Il presidente dell’UDC, Buttiglione, ha premuto l’acceleratore su una sua proposta in cinque punti da discutere in Parlamento, tra cui “che venga interdetto l’aborto dopo la ventesima settimana”; “che i feti abortiti sulla base di diagnosi prenatali che denunciano gravi malformazioni vengano sottoposti ad autopsia”; “che le donne siano informate in modo adeguato sulle effettive possibilità di riabilitazione e recupero dei bambini affetti da malattie congenite”.
Il leader dell’UDC Pier Ferdinando Casini ha raccolto l’invito a promuovere un dibattito sul tema, invitando però i cattolici alla prudenza: a suo avviso, non bisogna cedere alla tentazione di alzare il tiro sino a proporre l’abolizione della legge 194, ipotesi per la quale non esistono le condizioni politiche e sociali. Questa prudenza politica è stata peraltro condivisa – chiarendo ancora una volta l’obiettivo della moratoria - da Ferrara, nella risposta data ad un lettore del suo giornale l’8 gennaio: “Molti cattolici impegnati nella politica hanno preoccupazioni giuste. Non sono tra coloro che imputano alla Dc (e ai suoi eredi) eccessi di diabolica prudenza nella gestione della valanga indifferentista che negli ultimi decenni ha afferrato il mondo e, in parte, l’Italia. La 194 fu il massimo del minimo (danno), la prudenza nel maneggiarla è comprensibile. Ma la battaglia culturale, quella no, non sopporta secondo me tiepidezze”.

In AN sono Mantovano, Alemanno, Gasparri, Meloni e Saltamartini a raccogliere prontamente l’invito al dibattito. Fini tace (e c’è da augurarsi che questo suo silenzio non riproponga il desiderio opportunista di accreditarsi come leader ‘moderno’ presso gli ambienti progressisti; desiderio già rivelatosi infelice al tempo del referendum sulla fecondazione artificiale).

La Lega Nord piega la questione a fini politici di parte. Calderoli non raccoglie l’invito ad un dibattito ampio e trasversale sul tema dell’aborto, ma afferma che ''il compito di aggiornare la legge 194 spetterà a breve al prossimo Governo''.

A sinistra?

Il Partito Democratico è quello in cui la proposta è accolta con maggiore imbarazzo, visto che l’identità della nuova formazione – soprattutto sui temi ‘eticamente sensibili’ – è ancora confusa.

Chi ha smosso le acque è stata la senatrice Binetti (sostenuta dalla pattuglia dei “teodem”: Bobba, Carra, Baio Dossi), dichiarando di accogliere l’iniziativa e di essere disponibile a sostenere proposte che siano trasversali agli schieramenti politici.

Scatenando così le reazioni negative dei “laici” del PD.
Da questo versante viene il rifiuto ad entrare nel merito della questione.
Trincerandosi dietro il "benaltrismo" ("ben altri" sono i problemi: la fame nel mondo, ecc. ecc.), come fa anche Giuliano Amato, in passato segnalatosi per aver definito “ipocrita” la legge 194. Oppure trincerandosi dietro l’accusa a Ferrara di aver fatto la sua proposta solo per dividere il Partito Democratico (machiavellico!), e alla Binetti di prestarsi a questo gioco (ingenua o doppiogiochista!). Queste vestali dell’unità a sinistra non sembrano avere il buon senso – o l’onestà - di ammettere che le divisioni sono possibili perché il PD non ha sciolto le sue ambiguità.
Il leader del PD Veltroni, pur mettendo le mani avanti sull’intoccabilità della legge 194, offre almeno a Ferrara una formale disponibilità al dialogo.

Tra i cattolici “progressisti” attivi nel PD l’imbarazzo è palpabile.
Hanno dato segnali di interesse Giorgio Tonini , Stefano Ceccanti, Ignazio Marino, Stefano Menichini; più tiepidi Franco Monaco, Giorgio Merlo, Marina Magistrelli.
I restanti cattolici “adulti” (che normalmente subordinano i valori alle logiche di coalizione politica) tacciono. Prendendosi il rimbrotto – pensate un po’ – dell’ex diessino Caldarola, secondo il quale “questo sottrarsi al dibattito che pone anche Ferrara dimostra la [loro] fragilità. La formula di Prodi, che si definisce ‘cattolico adulto’, è bella, ma per un non credente non è possibile sottrarsi a certe domande sulla vita e la morte. La laicità non significa amministrare i credenti in un recinto separato.” (La Stampa del 6-1-2008)
L’unica che dissente apertamente – con indubbio coraggio - dalla moratoria è la “papessa” Bindi, la quale, parlando ad una manifestazione del PD a Jesi (come riportato dai quotidiani del 6 gennaio) lancia un nuovo anatema contro... i cattolici! Per lei, in tema di aborto, sono i cattolici che “debbono farsi un esame di coscienza” (!!); infatti, “se la legge 194 è stata applicata solo limitatamente agli articoli sull’interruzione della gravidanza è perché quella legge è stata combattuta e chi lo ha fatto è stato principalmente il mondo cattolico”(!!!)

Il ministro della Sanità Turco ha assunto posizioni contraddittorie.
Si è attivata – come visto – per valutare la possibilità di ridurre i limiti di tempo entro i quali è consentito l’aborto terapeutico.
Ma ha anche difeso il totem della legge 194 che “non si tocca”, sostenendo – con una bugia – che è “applicatissima”, definendo il dibattito che si è aperto “molto maschile” (rimbrottata anche da un superabortista come il ginecologo Viale, che le fa notare: “la Bertolini, la Roccella, la Carlucci, la Gardini o la Meloni sono forse dei travestiti?”).

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  Vignetta di Vincino, da Il Foglio
Il ministro si è anche pronunciato contro l’annuncio del presidente della Lombardia Formigoni di voler adottare linee guida regionali attuative della legge 194. Peccato che lo stesso ministro non sia stato così vigile verso le Regioni – Toscana in testa – che da mesi attuano comportamenti in aperta violazione (e non attuazione...) della legge 194, consentendo una pratica abortiva  – l’aborto chimico con la pillola Ru 486 – al di fuori della disciplina prevista dalla legge.

Scontate, ma anche piuttosto scomposte - come nel caso della capogruppo del PdCI al Senato, Palermi – le levate di scudi dell’estrema sinistra.

Noi ci auguriamo che il dibattito prosegua e si allarghi, non solo in Italia. E ci auguriamo altresì che le reazioni alla proposta di “moratoria” siano aperte e attente al merito della proposta stessa, anche nell’espressione del dissenso. Lasciando al passato le posizioni propagandistiche riesumate dai cortei sessantottini (“la 194 non si tocca”, “giù le mani dal corpo delle donne”, “no ai rigurgiti reazionari e agli assalti allo Stato laico”), espressione di un timore che è tempo di superare.


P.S.: in occasione delle elezioni politiche del 13 e 14 aprile 2008, Ferrara ha lanciato l'idea di una lista per la moratoria, volendo ribadire che si tratta di un argomento politico, non culturale.
In questo caso, però, molti dubbi sono venuti anche da quanti avevano sposato - in maniera più o meno convinta - la sua battaglia.
I più tiepidi (e ipocriti) hanno affermato che l'aborto, in Parlamento, è una "questione di coscienza".
I più appassionati e sinceri (anche negli ambienti ecclesiastici) hanno sostenuto che le liste "tematiche", per quanto sia importante il tema, sono riduttive, visto che si tratta di eleggere un Parlamento che si occupa di tutti i problemi; ed anche per il timore che un cattivo risultato possa "bruciare" la battaglia.

P.S. 2: Il 15 luglio 2009 la Camera dei Deputati ha approvato (favorevoli Udc, Pdl e Lega, astenuti Pd e IdV) una mozione che impegna il Governo a promuovere "una risoluzione delle Nazioni Unite che condanni l'uso dell'aborto come strumento di controllo demografico ed affermi il diritto di ogni donna a non essere costretta ad abortire, favorendo politiche che aiutino a rimuovere le cause economiche e sociali dell'aborto".
Il primo firmatario della mozione, il presidente dell’Udc Rocco Buttiglione, ha commentato: "Siamo tutti d'accordo che l'aborto è comunque un male, ma ci dividiamo sempre tra chi è per la vita e chi è per la scelta. È ora di contrastare tutti insieme chi nel mondo è sia contro la vita sia contro la scelta".



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