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Religione e società - Notizie e Commenti
Storicità dei Vangeli (2): I criteri di autenticità storica Stampa E-mail
Vangeli: invenzione della Chiesa, risposta a bisogni umani o via per conoscere il Gesù della storia?
      Scritto da Gabriele Vecchione
21/10/13
(2 di 3 - < precedente)

Nel primo volume del suo imponente Un Ebreo marginale, John P. Meier ha tirato le somme sulle fonti storiche tramite le quali sia possibile approdare al Gesù storico: “Praticamente le nostre antiche fonti indipendenti sul Gesù storico si riducono ai quattro vangeli, a pochi dati sparsi altrove nel Nuovo Testamento e a Flavio Giuseppe”[1]. Tralasciando gli altri dati neotestamentari e le altre opere sorte in ambito non cristiano, cosa dire dell’autenticità storica dei vangeli?

Di certo non è da intendere come una sorta di indiscutibile e positivistico resoconto stenografico-letterario dei detti e delle azioni di Gesù, ma come il momento scritto di una tradizione sedimentatasi in tre periodi: il primo fu l’attività di Gesù stesso, il suo insegnamento, la chiamata dei discepoli, i miracoli e gli altri fatti noti; il secondo fu la predicazione apostolica (catechesi, narrazioni, testimonianze, inni, dossologie, preghiere) che espose la vita del Signore, ne ripeté le parole, in virtù della risurrezione interpretò gli eventi della sua vita come universalmente salvifici; il terzo (“gli ultimi trent’anni del primo secolo”[2]) comportò la scrittura dei vangeli come ne disponiamo oggi: i cosiddetti autori sacri misero in ordine la narrazione dei fatti, tenendo conto della condizione dei destinatari e non al solo fine di tenere desto il ricordo di Gesù, ma anche di “offrire alla Chiesa la base della fede e dei costumi”[3]. Tale decisione (in una società che non attribuiva, come quella attuale, alla scrittura un ruolo primaziale tra le fonti della conoscenza) fu presa a causa dell’ampiezza geografica che il cristianesimo delle origini stava raggiungendo, per la scomparsa dei testimoni oculari di Gesù, per esigenze catechetiche e controversistiche. I criteri per definire il canone (ed escludere gli apocrifi) furono l’origine apostolica, l’ortodossia, l’antichità e l’uso liturgico.

Queste quattro opere hanno un preminente intendimento teologico, ma sono anche storiche “nel senso che provengono e hanno come loro contenuto base la tradizione di ciò che Gesù e fece e disse durante la sua vita”[4].

Esistono dei criteri per affermare indefettibilmente tale storicità e poter dire con certezza che “gli scritti evangelici ci riferiscono realmente l’esistenza e il pensiero di Gesù di Nazaret”[5]?

a.    Il valore della tradizione del II secolo.

Léon-Dufour prende in esame “il valore della tradizione del II secolo circa i vangeli”[6] perché in questo periodo, immediatamente a ridosso della loro scrittura, “la Chiesa prende lentamente coscienza del carattere unico ed esclusivo dei quattro vangeli”[7] e li ritiene dunque del tutto attendibili. I vangeli vengono letti nelle liturgie, i martiri cartaginesi ne traggono speranza per la vita eterna[8], ispirano gli autori di apologie. Sarebbe stato impensabile che la Chiesa del II secolo stimasse unici ed esclusivi i quattro vangeli se fossero stati privi di storicità (che peraltro allora non sarebbe stato difficile confutare). Invece testimoni provenienti dalle “diverse regioni del Meditteraneo”[9] la autenticano: a Roma, nel 150 ca., Giustino (che attribuisce al termine «vangelo» “il senso di uno scritto della più alta autorità”[10]) e Taziano col suo Diatessaron; in Africa Tertulliano (che in realtà opera già nel III secolo); e così Ireneo di Lione, che conobbe Policarpo (il quale, secondo la tradizione, fu discepolo dell’apostolo Giovanni). In questi autori riecheggia “la serenità di un possesso immemorabile degli «archivi» del Signore Gesù”[11]. Inoltre “persino gli eretici, a modo loro, confermano la tradizione: Carpocrate, Basilide e Teodoto, la cui attività si colloca tra il 140 e il 190, non si servono che di Matteo, di Luca e di Giovanni”[12]. Anche “il polemista pagano Celso (ca. 180) e Porfirio (fine del III sec.) negano la credibilità dei vangeli fondandosi su certi aspetti del loro contenuto (ad es. impossibilità dei miracoli) e quindi per pregiudizi di ordine filosofico, non per ragioni desunte dalla critica letteraria e storica dei testi”[13].

In questo periodo “sono stati copiati, ricopiati, trasmessi da mano a mano, divulgati fino agli estremi confini dell’Egitto, come quel frammento del quarto vangelo datato a circa l’anno 130, che porta su un verso Gv, 18, 31-34 e sul retro 18, 37-38”[14]. Mentre si formava il canone e ne venivano esclusi gli apocrifi per l’assenza di fondamento storico, sarebbe stato pensabile un accordo unanime sui quattro vangeli senza averne previamente valutato l’autenticità storica?

Assodata così “la sollecitudine e la volontà di una trasmissione fedele dei detti e delle azioni di Gesù”[15], è necessario analizzare se e come gli scritti che possediamo corrispondano alla realtà. Alcuni indizi[16] possono condurre ad una verosimiglianza e ad una probabilità, ma i criteri invece “sono norme applicate al materiale evangelico, che permettono di dimostrare la fondatezza storica dei racconti e di emettere un giudizio sull’autenticità o sulla non autenticità del loro contenuto”[17].

Nel II secolo non si nutre alcun dubbio che le radici evangeliche affondino nella storia. Questo potrebbe dunque essere il primo tra i criteri di autenticità storica.

b.    Il criterio di attestazione multipla.

È un criterio “già largamente usato dai positivisti”[18] e d’uso corrente nella storiografia, nel diritto processuale e nella critica testuale e si può enunciare così: “Può essere considerato come autentico un dato evangelico solidamente attestato da tutte le fonti (o la maggior parte) dei vangeli sinottici (Marco, fonte di Matteo e di Luca; la Quelle, altra fonte di Matteo e di Luca; le fonti speciali ancora di Matteo e di Luca ed, eventualmente, di Marco) e dagli altri scritti del Nuovo Testamento (specialmente gli Atti, il vangelo di Giovanni, le lettere di Paolo, di Pietro e di Giovanni, l’Epistola agli Ebrei)”[19]. Tale criterio sta o cade sulla convergenza e l’indipendenza delle fonti. È una difficoltà che si può superare facendo ricorso ad un paio di fattori:

  • la distinzione tra fonte unica ed attestazione unica, perché “una fonte unica può rappresentare un numero potenzialmente elevato di testimoni: è il caso di 1 Cor 15, 3-9, che attesta la resurrezione e le apparizioni di Gesù”[20] a più di 500 persone. Quindi, se un’attestazione unica (di una sola persona) costituisce un elemento di attendibilità storica oggettivamente debole, maggiore forza ha una fonte unica che però contenga un’attestazione multipla. Segalla ha dunque scritto che “non si deve escludere a priori il materiale attestato in una sola fonte, pena l’eliminazione di metà del vangelo di Luca”[21].
  • La qualità dell’ambiente ecclesiale che, come dimostrano le acquisizioni della Redaktionsgeschicte, non ha alcuna volontà di falsificare, edulcorare, manipolare; ed anzi “l’atteggiamento fondamentale della chiesa primitiva verso Gesù è quello della fedeltà”[22]. Lo si deduce dalla presenza dei testimoni oculari e degli apostoli, dal richiamo costante del kerigma alla tradizione e ai testimoni, dalla diversità regionalistica delle comunità ecclesiali e, come già detto, dal valore accordato ai vangeli nel II secolo.

Il criterio di attestazione multipla garantisce una forte presunzione di storicità dei vangeli ed è in grado di determinare i “tratti essenziali della figura, della predicazione e dell’attività di Gesù”[23]: la simpatia e la misericordia per i peccatori e i poveri, la sua presa di posizione nei confronti della legge, la sua ferma opposizione ad un messianismo regale e politico, la predicazione in parabole, le guarigioni, la morte vissuta come salvezza di tutti gli uomini. Lambiasi adduce l’esempio del racconto dell’istituzione dell’eucarestia, di cui si hanno quattro attestazioni (1Cor, 11, 23-30; Mc, 12,22-24; Mt, 26, 26-29; Lc, 22, 15-20) che offrono a loro volta due tipi indipendenti di tradizione, “una probabilmente antiochena (Luca e Paolo), l’altra gerosolimitana (Marco e Matteo)”. Tuttavia, “nonostante le sfumature proprie di ognuna, le due fonti presentano un accordo sostanziale che non può non rimandare all’unica grande fonte, la liturgia eucaristica della comunità apostolica”. Ne consegue che “sospettare dell’attendibilità del racconto della comunità è quantomeno irragionevole”[24]. De la Potterie, sostenendo la validità di questo criterio, afferma che, se si sostiene che i tratti essenziali della figura di Gesù provenissero dalla fantasia della Chiesa primitiva, “questa supposta origine comunitaria dovrebbe essere veramente dimostrata[25]. L’onere della prova toccherebbe quindi a chi negasse l’autenticità storica degli scritti evangelici perché “l’accordo di testimonianze veramente indipendenti, specialmente se provenienti da persone o ambienti con vedute ed interessi differenti o addirittura contrastanti, se non vuole essere attribuito al caso, richiede, come spiegazione adeguata, la realtà del fatto”[26]

c.    Il criterio di discontinuità.

L’accordo degli studiosi su questo criterio è praticamente unanime, seppure sostenuto con sfumature differenti. Latourelle lo enuncia così: “Si può considerare come autentico un dato evangelico (soprattutto se si tratta delle parole e dei comportamenti di Gesù) quando esso non è riconducibile né alle concezioni del giudaismo, né a quelle della chiesa primitiva”[27]. I vangeli sono un unicum in confronto a qualsiasi altra letteratura: non biografie, né apologie, né speculazioni dottrinali, ma testimonianze su una persona, Gesù, che a sua volta è un unicum agli occhi dello storico.

Rispetto al giudaismo antico, Gesù si pone in netta discontinuità nell’uso dell’espressione Abba per rivolgersi a Dio, palesando un’intimità del tutto inedita: “Non si può portare nessun esempio in cui, nell’ebraismo palestinese del primo millennio, qualcuno invocasse Dio col titolo di «Padre mio»”[28]. Jeremias, alla ricerca della ipsissima vox Jesu, analizzando l’uso del termine Abba, ha concluso: “Siamo di fronte a qualcosa di nuovo e inaudito, che varca i limiti del giudaismo. Qui vediamo chi era il Gesù storico: l’uomo che aveva il potere di rivolgersi a Dio come Abba, e che rendeva partecipi del regno peccatori e pubblicani, autorizzandoli a ripetere quest’unica parola: «Abba, caro Padre»”[29]. Inoltre il suo rapporto con la legge, il rimandare direttamente allo spirito di questa piuttosto che all’osservanza esteriore, il suo atteggiamento verso il sabato e le purificazioni rituali, l’uso del termine regno e la concezione che ne ha, i detti sul portare la croce, la chiamata dei discepoli, i modi di parlare preferiti da Gesù (soprattutto il passivo divino) sono “un caso di rottura con il mondo rabbinico”[30].

I Vangeli presentano tratti di originalità anche rispetto alla prospettiva che si andrà consolidando nella stessa comunità cristiana delle origini: Latourelle annovera, come “esempi di discontinuità con le concezioni della chiesa primitiva”, il battesimo coi peccatori, la tentazione del Getsemani, l’agonia, la morte in croce da derelitto, l’ordine dato di non predicare ai samaritani e ai pagani, i testi in cui sono messe in risalto le ripetute e goffe incomprensioni degli apostoli che invece godevano di somma autorevolezza al tempo della stesura dei vangeli, le oscurità del linguaggio di Gesù lasciate entrare nel canone anziché essere risolte, il mantenimento di espressioni quali regno e Figlio dell’uomo che spariranno dal lessico kerigmatico[31].

Al criterio della discontinuità qui esaminato, nonostante l’unanimità del consenso presso gli studiosi, sono state mosse un paio di critiche: in primo luogo “l’applicazione radicale di un tale criterio tende ad isolare Gesù dall’ambiente di origine e a separarlo dalla comunità che lo considera suo fondatore”; in secondo luogo, c’è il pericolo “di eliminare troppo facilmente detti e fatti di Gesù”, per cui sarebbe preferibile “stabilire un nucleo sicuro di detti di Gesù a lui certamente attribuibili, ma non si possono escludere gli altri in blocco”[32].

Poiché divaricando l’uso della discontinuità si correrebbe il pericolo di togliere Gesù dal suo Sitz im Leben e di calarlo “in un vacuum, senza possibilità di ricevere alcuna influenza dal giudaismo, né di esercitarla sulla chiesa”[33], occorre analizzare il contrappunto di questo criterio.

d.    Il criterio di conformità.

Viene così definito: “Si può considerare come autentico un detto o un’azione di Gesù che sia strettamente conforme, con l’epoca e l’ambiente di Gesù (ambiente linguistico, geografico, sociale, politico, religioso)”[34]. Pur formulato in modalità differenti, il criterio gode di un certo consenso. De la Potterie ha scritto, pur fondendo questo criterio con quello di spiegazione necessaria su cui si dirà a breve, che “un detto attribuito a Gesù nel vangelo va considerato come autentico, se è conforme alle caratteristiche fondamentali del suo messaggio[35]. È la conformità al complesso mondo dell’ambiente umano (lavoro, schemi di pensiero aramaici) e religioso (le dispute tra farisei e sadducei, le preoccupazioni sul puro e l’impuro, etc.) a porre nella storia le azioni e le parole di Gesù tramandate dai vangeli. Senza una tale conformità la vicenda gesuana potrebbe facilmente essere declassata a mitologia o a pura idealità. Il Pater Noster, come visto, è sì in discontinuità, ma anche in continuità come “preghiera per l’instaurazione del regno”[36] attesa dagli ebrei del tempo. I due criteri sembrano così integrarsi, completarsi e aiutarsi l’uno con l’altro, fino a delineare un “minimum essenziale, assolutamente sicuro”[37].

e.    Il criterio di spiegazione necessaria.

Tale criterio è sostenuto da Latourelle come “di capitale importanza”, sebbene sia ignorato da molti altri teologi. È così definito: “Se, di fronte a un insieme considerevole di fatti o di dati, che esigono una spiegazione coerente e sufficiente, si offre una spiegazione che illumini e disponga armonicamente tutti questi elementi (i quali, altrimenti, rimarrebbero degli enigmi), si può concludere di trovarsi in presenza di un dato autentico (fatto, azione, atteggiamento, parola di Gesù)”[38]. Assomiglia, invero, al principio di ragion sufficiente utilizzato nel diritto e nella storia, laddove un complesso di osservazioni richieda una soluzione intelligibile e totale: è accettabile “l’interpretazione che rende conto del maggior numero di fatti attestati da una documentazione rigorosa”[39], che risolva un gran numero di problemi senza farne sorgere un altro. Latourelle, per esempio, cita l’enigma di un gran numero di fatti della vita di Gesù (l’atteggiamento circa la legge ebraica e le Scritture, le prerogative che si attribuisce, il linguaggio, il suo ministero a Gerusalemme, alcuni miracoli et alios) che hanno “senso solo se si ammette all’origine l’esistenza di una personalità unica e trascendente”[40], su cui peraltro nella chiesa primitiva, pur nella diversità delle redazioni dei primi scritti, si ha un accordo unanime. Lambiasi, a mo’ di esempio, cita la resurrezione di Lazzaro (cfr. Gv, 11) che “si integra bene con il contesto generale dei vangeli (che attestano varie resurrezioni di Gesù…), nonché con il contesto generale del quarto vangelo, in particolare con l’insegnamento di Gesù sulla resurrezione, riportato nel capitolo quinto (cfr. soprattutto 5,28 e 11,43); la resurrezione di Lazzaro illumina e rende intelligibili tre fatti importanti dell’ultimo periodo della vita di Gesù: la decisione delle autorità giudaiche di finirla con Gesù (Gv, 11, 47-53.57), l’unzione di Betania… (Gv, 12, 1-2), l’ingresso solenne di Gesù a Gerusalemme (Gv, 12, 18)”[41].  I fatti citati da Latourelle e Lambiasi sono “creazione di un’immaginazione esaltata” oppure “è più economico e più coerente pensare che tale accordo unanime della chiesa primitiva abbia la sua ragione d’essere nell’esistenza stessa di Gesù il quale, durante la sua vita, sia per il suo modo di comportarsi che di parlare, ha permesso al tema della sua messianità e della sua filiazione divina di germogliare, maturare e portare i suoi frutti”?[42].

È stato proposto anche un altro motivo che possa fungere da spiegazione necessaria: “perché Gesù attirò l’attenzione, perché fu giustiziato e perché fu in seguito deificato”[43].

De la Potterie ha assimilato il criterio qui preso in esame a quello di continuità, domandando se i detti e le azioni di Gesù fossero conformi a quella che ritenne essere la caratteristica fondamentale del suo messaggio, “la particolare attualità escatologica, la connessione cioè con la proclamazione del Regno”[44]. Alla predicazione sulla prossimità del Regno de la Potterie ricollega e autentica storicamente le parabole, le beatitudini ed il Padre nostro. Lambiasi ha invece focalizzato la morte in croce come “avvenimento che permette di capire tutto ciò che precede e tutto ciò che segue” e la base ermeneutica su cui “ricostruire il nucleo centrale della sua vita”[45].

f.     La proposta di un unico criterio.

Lo studioso Daniele Fortuna propone l’unificazione di tutti i suddetti criteri in un unico, detto di plausibilità storica. Lo si può descrivere così: “Suddiviso in quattro criteri parziali, appare come la risultante di una combinazione tra il criterio della spiegazione sufficiente (che considera l’impatto di Gesù nella tradizione protocristiana) e altri due criteri (applicati al rapporto di Gesù con il contesto giudaico), quello della corrispondenza contestuale e quello della individualità contestuale. Il tutto posto sotto l’unica categoria della plausibilità storica”[46]. Il procedimento è sostanzialmente definito con una duplice fase: dapprima si cerca di comprendere Gesù all’interno del suo contesto vitale, considerandone sia i tratti di continuità che di singolarità (plausibilità storica rispetto al contesto); poi, come di ogni personaggio storico che abbia lasciato orme significative del suo passaggio, si analizza il suo messaggio e la sua azione e l’impatto che devono aver avuto anche sulle fonti letterarie (plausibilità storica degli effetti). Si misura così in un primo momento “la compatibilità dei detti e delle azioni di Gesù con il giudaismo a lui contemporaneo e, solo in tale contesto, anche i suoi tratti di singolarità”; in un secondo si “analizzano nella vicenda del Nazareno quei tratti che si rivelano come un necessario presupposto della vita della chiesa post-pasquale e quelli che, essendo differenti da essa sebbene conservati nelle fonti, non possono che derivare da lui”[47].

 (2 di 3 - continua)



[1] JOHN P. MEIER, Un Ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico, I vol., Queriniana, Brescia, 2009, p. 155. 

[2] RAYMOND BROWN, Risposte a 101 domande sulla Bibbia, Queriniana, Brescia, 1991, p. 65.

[3] Ibidem, p. 71.

[4] Ibidem, p. 71.

[5] XAVIER LÉON-DUFOUR, I vangeli e la storia di Gesù, Edizioni Paoline, 1986, Cinisello Balsamo, p. 31.

[6] Ibidem, p. 53.

[7] Ibidem, p. 55.

[8] “Lo attesta, al magistrato che l’interroga, il cristiano Sperato, in una risposta debitamente registrata negli Atti proconsolari di Cartagine in data 17 luglio dell’anno 180” (ibidem, p. 59).

[9] Ibidem.

[10] Ibidem.

[11] Ibidem, p. 57.

[12] Ibidem, p. 56.

[13] FRANCESCO LAMBIASI, L’autenticità storica dei vangeli. Studio di criteriologia, Edizioni Dehoniane Bologna, 1987, p. 21.

[14] Ibidem, pp. 59-60.

[15] RENÈ LATOURELLE, A Gesù attraverso i vangeli, Cittadella editrice, Assisi, 1988, p. 242.

[16] Per esempio l’arcaicità delle forme o l’aver conservato dei particolari neutri ovverosia che non presentano alcuno intendimento teologico.

[17] Ibidem, p. 248.

[18] F. LAMBIASI, L’autenticità storica dei vangeli, cit., p. 195.

[19] R. LATOURELLE, A Gesù attraverso i vangeli, cit., p. 249.

[20] Ibidem, p. 250.

[21] GIUSEPPE SEGALLA, La terza ricerca del Gesù storico, in AA.VV., Indagine su Gesù. Bilancio storico e prospettive fenomenologiche, Glossa, Milano, 2002, p. 72.

[22] R. LATOURELLE, A Gesù attraverso i vangeli, cit., p. 250.

[23] Ibidem, p. 251.

[24] F. LAMBIASI, L’autenticità storica dei vangeli, cit., p. 201.

[25] IGNACE DE LA POTTERIE, Come impostare oggi il problema del Gesù storico?, La Civiltà Cattolica, 120, 1969, p. 456.

[26] F. LAMBIASI, L’autenticità storica dei vangeli, cit., p. 195.

[27] R. LATOURELLE, A Gesù attraverso i vangeli, cit., p. 252.

[28] I. DE LA POTTERIE, Come impostare oggi il problema del Gesù storico?, cit., p. 457.

[29] In ibidem.

[30] Ibidem, p. 254.

[31] Ibidem. Si possono citare anche la provenienza da Nazaret, l’insuccesso di Gesù, i miracoli.

[32] G. SEGALLA, La terza ricerca del Gesù storico, cit., p. 69.

[33] R. LATOURELLE, A Gesù attraverso i vangeli, cit., p. 255.

[34] Ibidem, p. 257.

[35] I. DE LA POTTERIE, Come impostare oggi il problema del Gesù storico?, cit., p. 458.

[36] R. LATOURELLE, A Gesù attraverso i vangeli, cit., p. 258.

[37] F. LAMBIASI, L’autenticità storica dei vangeli, cit., p. 219.

[38] R. LATOURELLE, A Gesù attraverso i vangeli, cit., p p. 259.

[39] Ibidem.

[40] Ibidem, p. 260.

[41] F. LAMBIASI, L’autenticità storica dei vangeli, cit., pp. 138 – 139.

[42] Ibidem, p. 261.

[43] G. SEGALLA, La terza ricerca del Gesù storico, cit., p. 67.

[44] I. DE LA POTTERIE, Come impostare oggi il problema del Gesù storico?, cit., p. 458.

[45] F. LAMBIASI, L’autenticità storica dei vangeli, cit., p. 225.

[46] DANIELE FORTUNA, Il Figlio dell’Ascolto. L’autocomprensione del Gesù storico alla luce dello Shema ‘Yisra’el, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2012, p. 78.

[47] Ibidem, p. 77.



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