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Fecondazione artificiale
La legge 40 sulla fecondazione artificiale: dalla parte delle donne Stampa E-mail
La legge argina pratiche che espropriano il corpo femminile e ne mettono a rischio la salute
05/06/05
Ultimo Aggiornamento: 23/07/11
ragazza_bionda_ride.JPG

Vi proponiamo tre articoli apparsi su Il Foglio, in cui si cerca di guardare la problematica della fecondazione artificiale "dalla parte della donna". Ma non nel senso, artificioso e strumentale, per cui i diritti della donna dovrebbero necessariamente contrapporsi a quelli del figlio concepito o dell'uomo.

Nel primo articolo, Nicoletta Tiliacos cerca di riflettere su quali siano i veri interessi della donna in tema di fecondazione artificiale, evidenziando dubbi che fino a ieri erano comuni nel dibattito del movimento femminista e ambientalista.

Nel secondo articolo proponiamo stralci dell'appello per l'astensione ai referendum di alcuni ambientalisti e femministe di sinistra, che evidenziano come la fecondazione artificiale sia il rimedio suggerito da quello stesso ingranaggio economico che crea l'infertilità e vuole medicalizzare la donna.

Nel terzo si spiega quali sono i rischi per la salute della donna insiti nella procreazione assistita, rischi spesso taciuti dai centri che la praticano per non rinunciare ai lauti guadagni. La legge 40 (proprio nelle parti che i referendum volevano abrogare!) cerca di limitare tali pericoli.

Infine, riportiamo l'elenco delle componenti del Comitato donne in difesa della legge 40:

                                         

Donna laica, né guelfa né ghibellina, con i suoi dubbi

 di Nicoletta Tiliacos
da
Il Foglio del 9-12-2003

Non era passato ancora un anno dalla catastrofe nucleare di Cernobyl, quando, con un gruppo di donne di Legambiente (tra le altre c’erano Fulvia Fazio, Giovanna Melandri, Maria Berrini, Cecilia Mastrantonio e la ginecologa Letizia Parolari) decidemmo di avviare una riflessione sulle nuove “tecniche di riproduzione artificiale”. Oggi a qualcuno il nesso potrà sembrare macchinoso, ma allora ci sembrava lampante. Al centro di quella riflessione, che avrebbe dato origine a un convegno a Bologna, nel giugno 1988 (primo nel suo genere in Italia e dal titolo volutamente ambiguo: “Madre provetta”), c’era il problema della “coscienza del limite”. Esisteva o no, un confine da stabilire nell’esercizio delle pratiche di fecondazione artificiale, così come nella manipolazione dell’ambiente?

Posta in questo modo, la domanda oggi può sembrare un po’ rozza, velleitaria, addirittura ingenua, se è vero, come è vero, che è illusorio sperare che una qualsiasi tecnica risponda, alla lunga, a logiche diverse da quelle di espansione e perfezionamento della tecnica stessa. Ma la possibilità e la necessità di quel limite ci sembravano meritevoli di essere indagate. Almeno a voler essere coerenti con l’atteggiamento di “responsabilità” che per molte di noi era alla base dell’impegno nel movimento ecologista.

Sapevamo anche che per quella via avremmo fatalmente incrociato la più classica delle riflessioni femministe. Il tema della manomissione della natura, e dei rischi che questa comportava, ci conduceva immediatamente a quello della manipolazione tecnologica del corpo femminile. Imponente ed eccezionalmente invasiva in tutte le tecniche di riproduzione artificiale (e, almeno sotto questo aspetto, quasi nulla è cambiato negli ultimi 15 anni). Era proprio lì, nel corpo delle donne, che cominciava ad avvenire la più impensabile delle intrusioni, quella nei meccanismi che danno origine alla vita umana, e i cui rischi e le cui implicazioni, almeno nell’anno di grazia 1988, erano ancora tutti da sondare. Era sempre lì, nel corpo femminile come realtà e come simbolo, che finiva per andare a parare la più estrema deregulation procreativa (in America, per esempio, era ed è tuttora possibile che ci siano ben cinque soggetti coinvolti nella “fabbricazione” di un bambino: i due genitori “legali”, nel ruolo di committenti, la donna che mette a disposizione l’utero-incubatrice e partorisce, il donatore di spermatozoi e la donatrice dell’ovulo). Ed era sempre il corpo femminile, il campo ultimo di sperimentazione e il luogo di esercizio del potere medical-tecnologico, maschile per eccellenza. Praticato, per infelice contrappasso, in nome (ma è veramente così?) di un “desiderio” per eccellenza femminile: il desiderio di maternità, di figlio, di gravidanza. Termini che non sono sinonimi, ma che capita spesso di sentir trattare, più o meno consapevolmente, come tali.

Dopo aver affermato e conquistato la separazione della sessualità dalla riproduzione, poteva essere considerata una conquista, addirittura una conquista delle donne, la separazione della riproduzione dalla sessualità, dell’erotismo dal concepimento? Fino a che punto, quel famoso “desiderio” di figlio, era indotto dal giudizio sociale (se non sei madre, in fondo, non sei una donna vera) e dalla subordinazione al più tradizionale dei ruoli? E non c’era, forse, un pericoloso meccanismo di produzione, addirittura di “invenzione” di quel desiderio, fondato proprio sulle opportunità aperte dalle nuove tecniche? Sarebbe venuto in mente, all’infermiera e alla casalinga sessantenni, di volere un bambino e ottenerlo grazie ai luminari Carlo Flamigni e Severino Antinori, se non fosse stata la tecnica a creare in loro quel desiderio, incoercibile ma realizzabile soltanto per via tecnologica? (...)

Prendevamo atto della crescita di quello che già veniva descritto come il “Far West” della procreazione medicalmente assistita, e del fatto che, assai più spesso di quanto non si pensasse, alla base della ricerca del figlio a ogni costo c’era (e in larga parte ancora c’è), la più desolante e totale disinformazione su ciò che quella ricerca comporta, insieme con i condizionamenti culturali più retrivi. In parallelo, e anche questo è storia nota, con il fiorire di una lussureggiante fabbrica d’illusioni che arricchiva e arricchisce medici, case farmaceutiche e cliniche private. Tutto questo, giocando sull’equivoco della “salute riproduttiva” da ripristinare. Non scherziamo. Tutte le donne che si sono sottoposte, anche una sola volta nella vita, alle stimolazioni ormonali necessarie a fabbricare ovuli fecondabili (soprattutto se, come avviene nella maggioranza dei casi, lo hanno fatto in età non più giovanissima), sanno che in genere le pratiche mediche finalizzate alla fecondazione minano e non curano il corpo.

Alla fine degli anni Ottanta, si cominciò a parlare anche in Italia di una legge che mettesse ordine nel “Far West” riproduttivo. E che, tanto per cominciare, sacrosantamente tutelasse i diritti dei bambini che cominciavano a nascere da pratiche fuori controllo, e che all’epoca potevano venire disconosciuti, in base alla prova del dna, anche nel caso in cui il padre legale avesse in origine acconsentito all’uso di seme altrui. Fino a quel momento, il tema sembrava appassionare quasi esclusivamente la stampa popolare, la televisione da domenica pomeriggio e il Maurizio Costanzo show. A metà tra il trionfo della fede e quello della scienza, si celebrava, in un tourbillon di luoghi comuni, la canonizzazione di supermedici onnipotenti, in grado di fornire alle coppie sterili tanti bei bambini “chiavi in mano”.

Emergevano anche situazioni da Grand Guignol. Come la storia della ragazza poco più che adolescente che aveva “ospitato” nel suo utero l’ovulo fecondato della propria madre ultraquarantenne. Decisa, quest’ultima, a dare un figlio al nuovo e giovane compagno, ma impossibilitata a portare a termine una gravidanza. Al suo posto, l’avrebbe fatto la figlia che, c’informò lei stessa, un po’ era imbarazzata, e per questo aveva deciso di uscire di casa il meno possibile durante i nove mesi d’attesa. Esaltato come esempio d’amore filiale, quel quadretto familiare appariva per quel che era: l’azzeramento di ogni senso di responsabilità, in nome di un egoismo sterminato e di una doppia subordinazione femminile: da parte della madre, al “desiderio-diritto” del giovane compagno ad avere “un figlio suo”; da parte della figlia, al ricatto affettivo della madre ricattata. A guadagnarci, il solito ginecologo “benefattore”.

Per fortuna, a rappresentare la “scienza” non ci sono solo quelli come lui. Cominciavano, già nel 1986, a manifestarsi i ripensamenti di uno dei pionieri della fecondazione in vitro, il biologo Jacques Testart, artefice nel 1982 della nascita di Amandine, prima bambina francese concepita in provetta. Nell’“Uovo trasparente” (pubblicato in Italia da Bompiani), Testart scriveva che bisognava fermarsi a riflettere: era insensato continuare a considerare la “riproduzione medicalmente assistita con i parametri usati per una qualsiasi tecnica medica”. (...)



Liberare le donne dalla schiavitù del microscopio.

da Il Foglio del 3-6-2005

I verdi per l’astensione

Ci rivolgiamo a coloro che hanno condiviso le battaglie ecologiste degli ultimi decenni a partire da quelle contro gli inquinamenti chimici, passando al nucleare fino alle ultimissime dedicate a contrastare le manipolazioni genetiche. Esemplificate, queste ultime, dagli organismi geneticamente modificati (Ogm) per il mais e i pomodori transgenici e sul fronte delle modificazioni genetiche degli animali dalla fosca storia della pecora Dolly, una dura prova, riassunta dallo slogan ecologista “Non consegniamo il futuro a Frankenstein”. Ogni civiltà ha dei limiti da non superare, pena il venir meno della sua ragion d’essere. Quando si eliminano i limiti e al loro posto si mette il solo principio di efficienza non siamo più uomini, ma una massa di bambini eternamente insoddisfatti che battono i piedi per avere mezzogiorno a mezzanotte e che perciò devastano la propria civiltà e l’intero pianeta Le nostre battaglie hanno dimostrato l’inseparabilità del risanamento della natura dalla cultura del limite, dal principio di precauzione, dalla giustizia fra nord e sud del mondo. Oggi, in coerenza e continuità con questi lunghi anni di lavoro, chiediamo di non andare a votare il referendum sulla legge 40, la cosiddetta “procreazione assistita”. (…)

La fertilità umana è diminuita nei paesi sviluppati (quella maschile anche del 20 per cento) soprattutto a causa dell’inquinamento alimentare e ambientale. La soluzione sarebbe vietare l’agricoltura chimica e l’emissione in atmosfera di nuove sostanze incontrollate. Invece si sceglie la protesi reazionaria, la fecondazione artificiale extracorporea, che apre ai grandi gruppi farmaceutici un nuovo immenso spazio di speculazioni e profitti. I grandi interessi economici che provocano l’infertilità forniscono, allo stesso tempo, il rimedio artificiale. Non a caso proprio gli scienziati più finanziati dalle grandi case farmaceutiche sono in prima linea per il referendum. E abbiamo imparato che ogni nuova tecnologia che compare in un mondo diviso fra ricchi e poveri non farà altro che aumentare il baratro fra i primi e i secondi.

Una delle campagne ecologiste di lunga durata è quella per la liberazione della donna dal dominio della medicalizzazione. Abbiamo sostenuto i movimenti delle donne per la nascita senza violenza e l’allattamento al seno, passato di moda perché era l’ultima forma di produzione domestica: non si poteva convincere una madre a comprare il proprio latte. Nel frattempo sono arrivati a oltre il 30 per cento i parti cesarei, mentre l’industria promuove il farmaco per abolire il mestruo (e rendere la donna adatta ai ritmi frenetici del lavoro), commercializza i cerotti ormonali per abolire la menopausa, le tecniche per trasformare la post-menopausa in una gioventù artificiale in cui si può ancora partorire, le nonne puerpere. Già oggi si diffondono anche fra i giovani dei kit per la fecondazione artificiale in modo da separare, nella mentalità comune, la sessualità dalla fertilità e dalla procreazione. E’ evidente che la fecondazione extracorporea è l’estrema erosione dei poteri della donna sulla maternità. Nella storia c’è stata la schiavitù, ma mai la disponibilità dei gameti maschili e femminili da parte di altri. Solo una tecnologia reazionaria ha reso possibile il ritorno della schiavitù sotto il microscopio. (…)

L’infertilità, come altre menomazioni, fa parte dell’identità personale. La tecnologia non risolve alla base il problema dell’infertilità, non rende alla coppia umana la sua serenità e bellezza, ma aumenta l’impotenza e dipendenza della donna. (…)

Giannozzo Pucci, Carlo Ripa di Meana
Hanno aderito: Gino Girolomoni, Marco Sicco, Fabrizio Vincenti, Maria Antonietta Malleo, Giancarlo Terzano, Lorenzo Bagnacani, AEDfemminismo (Associazione Educazione Demografica e Associazione Etica donne), Nerina Negrello, Alberto Di Cintio, Sergio Paderi

P.S. I Verdi Italiani 'ufficiali', a maggioranza, si erano invece schierati per i referendum, rivelando ancora una volta che in essi l'anima radicale e di sinistra prevale su quella ambientalista. La controprova ce la danno i Verdi tedeschi che, alle intenzioni del loro alleato Schroëder di modificare in senso più permissivo la legge che regola la fecondazione artificiale, hanno replicato brutalmente che "gli esperimenti sugli embrioni costituiscono una forma di cannibalismo di alcuni uomini su altri uomini". Forse anche per questo i Verdi sono un partito che ha una forza e una credibilità  considerevole in Germania e non in Italia (con Pecoraro Scanio)...


 

 

Chi applica la legge 40 tutela di più le donne di chi la vuole abrogare.

da Il Foglio del 14-5-2005

La mancata informazione sugli “effetti collaterali” delle pratiche di Fiv. L’incredibile storia, ma non rara, di Brigitte-Fanny Cohen

Roma. La legge 40, strepitano i referendari, va contro la salute delle donne. Le esporrebbe alla necessità di più stimolazioni ovariche, imporrebbe l’uso di tre embrioni con rischio di parti plurigemellari, costringerebbe a farlo anche la donna che cambiasse idea nel giro della settimana che passa dalla fecondazione in vitro all’impianto in utero degli embrioni. Ma a smontare le accuse dei fautori della fede nella tecnoscienza, nell’affidamento totale al miracolismo biomedico (quello sì, “dalla parte delle donne”?) dovrebbe bastare la semplice lettura della legge 40 e delle sue linee guida, che stabiliscono che l’impianto non è coercibile e prescrivono semplicemente la creazione in vitro di un numero di embrioni (può essere anche uno o due, quello di tre è il numero “massimo”) da usare per un unico impianto.

La crudele legge 40, invece, “in realtà, è un grande passo avanti proprio nel senso della tutela della salute della donna”, dice al Foglio Maria Luisa Di Pietro, docente di Bioetica all’Università Cattolica di Roma, “prima di tutto perché prescrive che tutta la pratica medica sia basata sul consenso informato della donna e della coppia, presupposto di qualsiasi scelta libera e responsabile. E poi perché prevede la gradualità nell’uso delle tecniche. La richiesta di una diagnosi seria di sterilità, che i referendari rimproverano alla legge come se fosse un vincolo vessatorio, è la prima garanzia. Una volta fatta la diagnosi si valuta il ricorso a terapie mediche e/o chirurgiche e solo qualora non siano risolutive c’è la fecondazione artificiale”. Non dovrebbe essere la prassi normale? “Ora lo è, o almeno dovrebbe, ma non è sempre stato così”, risponde la Di Pietro, che di formazione è medico endocrinologo e si occupa di consulenza etica alle coppie infertili (un altro aspetto introdotto dalla legge 40): “Sappiamo che il ricorso a queste tecniche non è quasi mai stato, fino a oggi, un punto d’arrivo meditato. Piuttosto, lo si è vissuto come una scorciatoia dettata dalla fretta e dall’ansia, che spesso non corrisponde a una vera necessità clinica, nell’illusione che sia la tecnica onnipotente e salvifica a risolvere un problema complesso come la sterilità. Nella realtà, quelle tecniche a torto considerate infallibili premiano una piccola minoranza delle coppie. Tutelare la salute, allora, è anche spiegare davvero alla coppia che cosa può veramente aspettarsi, e sottrarre la donna all’accanimento terapeutico”.

“Banalizzare il processo della generazione umana esaltando i rari successi della Fiv”, aggiunge un altro bioeticista, il domenicano bolognese Giorgio Maria Carbone, “esaspera la ferita di quelle coppie, la grande maggioranza, che sono state deluse da questa tecnica”. Ma anche lui, che da studioso cattolico ha scritto molti libri per contestare la pratica stessa della Fiv, racconta che “comunque la legge 40 rappresenta un progresso, proprio dal punto di vista della salute della donna e delle gravidanze ottenute. Al centro La Sala di Reggio Emilia, da che applicano scrupolosamente le linee guida della nuova legge, i successi sono addirittura aumentati. Si trasferisce un solo embrione, ma in modo assai più attento nella tecnica di prelievo degli ovociti e calibrando meglio gli ormoni che favoriscono l’impianto nell’utero. Questo si rivela anche il modo migliore per evitare quelle gravidanze plurigemellari che si rimproverano all’impianto di tre embrioni”, dimenticando sempre di aggiungere che è un limite massimo di produzione, appunto, e non un obbligo assoluto.
Le conseguenze psicologiche dell’illusione
La dottoressa Eleonora Porcu è un’autorità internazionale nel campo del congelamento degli ovociti (non degli embrioni: con il vantaggio che, senza problemi etici in ballo e con una sola stimolazione ormonale, si ottengono molti ovuli da congelare e da utilizzare, dopo averli fecondati, per più tentativi), ed è responsabile Centro di sterilità e procreazione medicalmente assistita del Sant’Orsola-Malpighi di Bologna. Al Foglio spiega che nella sua struttura “da anni si seguono le modalità prescritte dalla legge 40”, con buoni successi. E anche lei insiste sul fatto che tutela della salute della donna “significa innanzitutto informazione, non rituale ma mirata alla singola paziente. La legge 40 impone a noi operatori, a ogni passo del percorso, di spiegare, ridiscutere e reinformare su ogni piccolo dubbio e su ogni aspetto di rischio fisico. E poi c’è da considerare il peso psicologico di questi trattamenti. Si è fatta strada l’idea che esiste una branca della medicina che, in un modo o nell’altro, un figlio a chi lo vuole riesce a darlo. E questo non è vero”.
C’è poi un’ultima, “buffa” omissione, a proposito di salute. Chi pensa alle “donatrici” di ovuli? L’eterologa non si farebbe, una volta reintrodotta dal Sì, solo con seme maschile. E la cosiddetta “ovodonazione” è quasi sempre una vendita mascherata, che comporta proprio la temuta stimolazione ormonale alla quale donne bisognose si sottopongono per poche centinaia di euro.
L'odissea di Brigitte-Fanny Cohen
Parigi. Capelli ricci, sorriso sincero e telegenico, voce rassicurante: non a caso Brigitte-Fanny Cohen, 45 anni insospettabili, è il volto televisivo della salute dei francesi. E’ sua la rubrica “Santé’’ di Télématin, programma della pubblica France2: emicranie, osteoporosi, tabagismo, bronchiolite, maternità tardive, cyberdipendenza, fototerapia, nessun malessere, nessuna terapia sfugge ai lunghi archivi della sua trasmissione. Quanti medici, esperti, ricercatori, specialisti avrà incontrato dall’inizio della sua carriera? Decine, probabilmente centinaia, intervistati in Francia e nel mondo, scovati negli ospedali più famosi, nei laboratori più all’avanguardia.
Ma non sono bastati per evitare che succedesse anche a lei. Oggi il libro della sua storia, “Un bébé mais pas à tout prix” (“Un bambino, ma non a qualsiasi costo”, edito da JC Lattés), ovvero il racconto delle sue quattro inseminazioni e delle sue quattro fecondazioni artificiali senza esito, è diventato un best seller, appena ristampato in edizione tascabile. Il successo le è valso un’audizione in Parlamento, davanti alla Commissione per la legge sulla bioetica. Quando parla delle centinaia di lettere che le hanno spedito donne che hanno affrontato lo stesso percorso, la stessa sofferenza, le stesse delusioni, gli occhi sembrano diventare più lucidi, ma forse è soltanto l’atmosfera della stanzetta riservata ai fumatori di France2.
“Innanzitutto voglio chiarire – dice al Foglio la Cohen – che non sono assolutamente contro le pratiche di assistenza medica alla procreazione. Ma sono assolutamente contro la mancanza di informazione alla coppia, contro l’assenza di trasparenza dei medici sui risultati che possono ottenere. Con questo libro, ho voluto far sapere quali sono gli effetti secondari possibili dei trattamenti sul corpo della donna, parlare della caduta dei capelli, dei capillari che si rompono, della possibilità di cisti ovariche, dei sudori freddi la notte. Le donne, le coppie, hanno il diritto di rivolgersi a queste tecniche ma hanno anche e soprattutto il diritto di essere informate. Di sapere che le possibilità di successo sono meno del 20 per cento: questo significa che ottanta donne su cento affronteranno mesi, anni di trattamento e non riusciranno ad avere un figlio”. Il suo libro – dedicato a Daria, adottata nel 1999, e a Mila, nata, senza trattamenti, nel 2000 – è stato pubblicato nel 2001. Da allora la nuova legge sulla bioetica in Francia ha accolto, almeno in via di principio, i suggerimenti della Cohen: i medici sono tenuti oggi a informare in modo più completo, a fornire un’assistenza psicologica, anche se spesso i possibili effetti secondari delle terapie ormonali sono elencati in carattere piccolissimo su un foglietto da firmare in fretta al termine della prima consultazione.
“Se dicessimo tutto nessuno la farebbe”
La storia di Brigitte-Fanny Cohen, affetta da “sterilità inspiegata”, una non-malattia, e delle “cure” che non l’hanno curata, è ancora di attualità. E se è capitato a lei, giornalista specializzata in problemi di salute, può davvero capitare a chiunque. “Un giorno, durante un’ecografia, vedo il mio medico un po’ sorpreso: ‘Ci sono delle cisti’, mi dice. ‘Cosa devo fare?’ gli chiedo. ‘Niente’, risponde. Poi qualcuno mi chiama la sera a casa – io ero ancora al lavoro – per convocarmi in ospedale a digiuno la mattina seguente alle sette, per un intervento. Nient’altro. Ho cercato di parlare con qualcuno, ma era troppo tardi. E il mattino dopo sono stata operata d’urgenza senza sapere perché”.
Poi c’è il rischio degli ormoni. Quale sorpresa per Brigitte incontrare a una conferenza stampa lo stesso ginecologo che le aveva prescritto tempo prima un trattamento ormonale assicurandone l’innocuità, denunciare ora i rischi potenziali degli ormoni ricavati dalle urine. Senza parlare del rischio di cancro: nessuna prova scientifica, ma molte zone d’ombra. E ancora una volta: silenzio da parte dei medici. Ancora un’altra conferenza stampa, sponsorizzata da una casa farmaceutica: la giornalista di France2 chiede a un celebre ginecologo parigino se informa le sue pazienti dei rischi potenziali degli induttori di ovulazione. Risposta: “No signora, se dicessimo questo, più nessuno vorrebbe sottoporsi a una Fiv”. Molte domande poste da Brigitte-Fanny restano senza risposta: quanti cicli di stimolazione ovarica sono accettabili per la salute di una donna? Quante fiale possono essere iniettate senza conseguenze?
“Ho scritto questo libro in particolare per le donne che non hanno una vera sterilità, affette come me da cosiddetta sterilità inspiegata, perché si chiedano se il percorso della procreazione medicalmente assistita sia loro davvero destinato. I medici lo propongono in fretta, perché sanno che dopo i 38 anni i trattamenti funzionano meno bene. Ma per queste donne è forse meglio prendere tempo, capire cosa blocca il desiderio di un figlio, prendere appuntamento con uno psicologo. Perché affrontare un’inseminazione, o una Fiv, non è qualcosa di leggero. E’ un viaggio che va affrontato sapendo a che cosa si va incontro”.

P.S. All'articolo che abbiamo ripreso, aggiungiamo qualche piccola cifra: ogni ciclo di fecondazione costa dai 6.000 ai 10.000 euro. Ogni diagnosi preimpianto almeno altri 2.000 euro. Calcolando che quasi sempre sono necessari molti cicli (e non si è ugualmente sicuri di arrivare al successo: la percentuale è del 25%), si arriva a spendere 90.000 euro. Si capisce così perché molte coppie siano arrivate ad indebitarsi, senza poi nemmeno ottenere il risultato sperato. Si capisce anche perché la fecondazione artificiale venga impropriamente consigliata anche a coppie che (nel 50% dei casi!) potrebbero farne a meno, praticando prima altri tentativi di cura meno invasivi (e meno costosi).

***

Comitato donne in difesa della legge 40:

Argia Albanese, Anna Maria Alfani, Cristina Annesini, Paola Anzillotti, Tina Anselmi, Chiara Ariano, M.Teresa Armato, Federica Assumma, Antonella Avolio Castelli, Maria Pia Baccari Vari, Emanuela Baio Dossi, Domitilla Baldoni, Enrica Belli, Patrizia Belman, Francesca Bettini, Paola Bignardi, Paola Binetti, Mariella Bodo, Betta Boidi Castellani, Alessandra Borghese, Maria Chiara Bossi, Marta Brancatisano, Sabrina Bruno, Giuseppina Bruti Liberati, Mariella Burani, Maria Burani Procaccini, Marinella Calzona, Rosanna Cerbo, Marina Casini, Giulia Colombo Clerici, Linda Corbi Romanelli, Enrica Correale Santacroce, Maria Silvia Corti, Liliana Cosi, Adriana Cosseddu Stacca, Pierangela Cossu, Silvia Costa, Antonietta Dan Grassivaro, Franca De Lazzari, Cristina De Luca, Maria Grazia De Marinis, Maria Luisa De Natale, Giuseppina Di Ianni, Maria Luisa Di Pietro, Magda Di Renzo, Maria Teresa Docimo, Rita Drago Scardenzan, Natalia Eichberg, Emanuela Elmo, M. Antonietta Falchi Pellegrini, Maria Grazia Fasoli, Gabriella Fenizia, Anna Fiani Del Re, Simonetta Filippi, Leda Fiorillo, Elvira Fioritti, Livia Fornaciari Chittoni, Cinzia Fraticello, Antonella Freno, Ombretta Fumagalli Carulli, Maria Pia Garavaglia, Alessandra Gardini, Allegra Gardini Marchini, Paola Garrone, Cecilia Gasdia, Marianna Gensabella, Gilla Giani, Antonia Guidobono Cavalchini, Dora Invernizzi, Manon Khazrai Yeganeh, Alessandra La Marca, Tina Leonzi, Paola Longo Bruno, Chiara Mantovani, Marta Manzi, Federica Marchini, Francesca Martini, Daniela Memmo D'Amelio, Rosanna Messori Brichetti, Evelina Mezzaroma, Daria Minucci, Mariolina Moioli, Nuccia Moltedo, Annalisa Molteni, Ilaria Moscato, Angiolina Motroni Onorato, Giada Nobile, Laura Palazzani, Anna Panfili, Maria Parenti, Maria Rita Parisi, Anna Pastorino, Clementina Peris, Loreta Pinna Nossai, Emanuela Pinzari Varano, Sandra Piras Tedde, Maria Grazia Pirisi, Annamaria Poggi, Adriana Poli Bortone, Angela Punzi Nicolò, Gigliola Puppi, Ivana Purificato, Francesca Rebecchini, Paola Ricci Sindoni, Marina Righetti Gui, Carla Rossi Espagnet, Giovanna Rossi Sciumè, Marina Salomon, Barbara Saltamartini, Paola Saluzzi, Anna Sammassimo, Luisa Santolini, Lucetta Scaraffia, Maretta Scoca, Giusi Servodio, Maria Grazia Sestini, Gigliola Sica, Grazia Smania Toffanin, Paola Soave, Angela Solferino, Maria Antonia Suppa, Susanna Tamaro, Daniela Tartaglini, Angela Testi, Patrizia Toia, Paola Tomassini, Chiara Tranchina, Maria Cristina Uberti, Lisa Vanzina, Edvige Veneselli, Patrizia Vergani, Andreina Verzegnassi, Maria Elena Verzegnassi Sgarabottolo, Lorenza Violini, Amalia Virzo De Santo, Antonietta Visconti, Rita Zecchel, Elena Zoroddu.

 
 
da Il Foglio del 3-6-2005


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