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Notizie - Attualitą e Costume
Chi forma i giovani? Stampa E-mail
Soggetti e mezzi di educazione, formazione e informazione delle nuove generazioni
      Scritto da Luca Tramentozzi
27/07/09

i genitori devono affiancare i figli nella visione dei programmi tvLe modalità con cui avviene il passaggio della cultura da generazione a generazione sono variate nei vari secoli. La cultura – in senso esteso – non è solo erudizione, una grande scatola dove sono racchiuse idee, principi, regole; è anche il nostro orizzonte emotivo e di valori, il modo in cui abbiamo elaborato alcune idee per farne la guida della nostra vita.

La cultura – di una persona e anche di una società - passa dal vecchio al giovane, che successivamente avrà la possibilità di rielaborarla secondo le proprie esperienze in un mondo che non è più quello dei padri. La cultura si forma – se ci è concessa la schematizzazione - con l’informazione (trasmissione di notizie ed idee), con la formazione (trasmissione di notizie ed idee, ma anche dei criterî per interpretarle), con l’educazione (un’azione molto più delicata, che comprende le attività precedenti e comporta anche la trasmissione di valori morali, mirando ad un pieno sviluppo della personalità).

L’educazione ci viene offerta innanzitutto dalla nostra famiglia (i genitori, ma anche i nonni) fin dalla nascita. La cultura trasmessaci dai nostri genitori ci accompagna in ogni esperienza futura; ed essendo la prima, è quella fondamentale per darci la possibilità di approcciarci ad una società in continua evoluzione, che non dovrebbe sviarci da quelli che sono considerati universalmente “buoni principi”.

Eppure, l’educazione fornita dai genitori può dimostrare, in alcuni casi, gravi carenze (di cultura, di approccio psicologico, ecc.). Può anche succedere che genitori diversi, seppur dotati di grande equilibrio, trasmettano ai figli principi diversi...
Inutile seguirli, dunque?

In realtà, l’educazione fornita dai genitori, con tutti i limiti degli stessi, risulta imprescindibile per un semplice motivo: i genitori sono gli unici – o quasi – che diano indicazioni ai figli senza intenzione di strumentalizzarli. I genitori vogliono il “bene” dei loro figli, e di questo “bene” sono i migliori giudici (seppure non infallibili); non hanno interesse a farne sudditi obbedienti al potere, o consumatori scriteriati. Ciò è fondamentale non solo per la presumibile validità delle indicazioni fornite, ma anche per l’equilibrio affettivo dei figli.
Se è vero che l’educazione fornita dai genitori può dimostrare carenze, è anche vero che quella fornita da altre agenzie educative (o, meglio, formative, poiché la formazione è il loro compito precipuo) è inevitabilmente più carente; può integrare, ma mai sostituire l’educazione fornita dal padre e dalla madre. È il motivo per cui il diritto dei genitori di educare personalmente i propri figli, e di determinare i principi in base ai quali interverranno altre agenzie formative, è un diritto naturale irrinunciabile.
Se la società ravvisa comportamenti “diseducativi” da parte dei genitori, può cercare di suggerire comportamenti più appropriati; ma non può privarli del loro ruolo. Tralasciando infausti precedenti storici, in cui gli Stati totalitari pretendevano che l’educazione dei giovani fosse sottratta alle famiglie, un esempio attuale è quello della cosiddetta “educazione sessuale” a scuola: non si possono spacciare come “neutre” lezioni che tendono a propagandare determinati stili di vita sessuale, non si può affrontare questa materia senza uno strettissimo collegamento con le famiglie.

I figli potranno – e dovranno – rielaborare l’educazione ricevuta. Ogni persona incontrata nel nostro percorso di vita ci lascia un pezzo del proprio essere, che integreremo in noi, come esempio, solo se ci piace e se rispecchia la nostra personalità; altrimenti lo considereremo un esempio da non seguire.
Questo percorso di crescita ci dovrebbe formare come persone libere e dotate di coscienza critica; capaci di capire, quindi, cosa è giusto e cosa è sbagliato; tenendo presenti, sempre, gli insegnamenti dei nostri cari.

La nostra “coscienza critica”, però, non matura da sé. Deve essere educata (dai nostri educatori, ovviamente) e allenata. Avere coscienza critica significa non abbandonarsi ad “esperienze” fatte a caso, nella convinzione che tutto, in fondo, serva a maturare. Se non sappiamo elaborare criticamente le esperienze vissute, ci condanniamo a ripetere gli stessi errori. La coscienza critica è quella che elabora un “parametro di valutazione” delle esperienze, per capire se ci possono arricchire o solo danneggiare. (Anche gli “esperimenti” scientifici, per avere un senso, debbono basarsi su una “teoria” che sono chiamati a confermare o confutare).
Bisogna forse “sperimentare” personalmente quanto sia pericoloso guidare contromano in autostrada sotto l’effetto di stupefacenti?
Un’accortezza importante è anche quella di saper far tesoro delle esperienze altrui, che sono molto più vaste di quelle che possiamo vivere direttamente.

Il bambino che entra a far parte, per la prima volta, di un gruppo scolastico dovrebbe già avere assimilato alcuni principi. La scuola può sopperire solo in parte alla mancanza di questi. La funzione di questa istituzione, primario agente di formazione, è quella di formare la cultura del sapere. Leggere e scrivere sono le prime armi a nostra disposizione per apprendere altre esperienze e  riflessioni particolarmente significative, e per mettersi in gioco ordinando e rielaborando i nostri pensieri, imparando a comunicare. Saper far di conto diventa indispensabile per curare i propri interessi, ma anche per avere una visione più analitica della realtà. E così via.

La scuola insegna anche a stare in gruppo, a essere in grado di costruire relazioni basate su valori di correttezza e reciproco rispetto. Anche se non bisogna pensare che sia questa la sua funzione primaria, svalutando la centralità dell’apprendimento culturale, che in passato qualcuno liquidava sbrigativamente come “nozionismo”: la scuola non è il cortile o il “muretto” sotto casa....

Il giovane ha nella scuola l’occasione di mettere in pratica gli insegnamenti della famiglia, e questa esperienza può essere tanto più feconda in presenza di una giusta cooperazione tra genitori e corpo insegnante.

Un importante ruolo di formazione, soprattutto nel costruire la vita di relazione, è svolto anche dalle realtà associative e sportive.

Un ruolo a parte, più complesso, è quello svolto dalla Chiesa e dai soggetti che vi appartengono (sacerdoti, gruppi parrocchiali, associazioni, movimenti, ecc.). La Chiesa si pone come agente non solo formativo, ma anche educativo. In questa azione si affianca, ma non si sostituisce, ai genitori, i quali – se condividono i valori cristiani - non possono delegare il loro ruolo specifico: devono essere i primi a creare le condizioni perché i valori siano vissuti in tutte le dimensioni della quotidianità (non solo nell’ora di “catechismo”).

Oltre agli agenti educativi e formativi, esistono numerosi agenti-mezzi di informazione e intrattenimento; che però finiscono con lo svolgere anche un ruolo di supplenza formativa ed educativa, quando “latitano” i soggetti chiamati a svolgere quelle attività.

Innanzitutto la televisione. Alla propria apparizione in Italia, il 3 gennaio 1954 (inizio delle trasmissioni RAI), questo strumento ha servito la cultura per un fine nobile. Bisognava dare una scossa alla situazione di analfabetismo generale del Paese, e per questo le lezioni di grammatica e uso corretto della lingua italiana furono molto utili e seguite.

La televisione, a mano a mano che è diventata economicamente accessibile a tutti, è entrata a far parte di ogni famiglia italiana. Oggi questo elettrodomestico è la prima cosa che si acquista o che ci viene regalata quando si va a vivere per conto proprio: non può mancare, in quanto è destinato a divenire quasi un componente della famiglia, e quindi in grado di tenere compagnia, di farci rilassare e divertire. Tra show di intrattenimento, dibattiti politici, film, cartoni e svariati altri programmi, anche satellitari, non si può credere che un giovane non percepisca parte della cultura positiva - e negativa - che viene trasmessa.

La televisione finisce spesso con lo svolgere un ruolo formativo ed educativo, anche perché dotata di un forte potere persuasivo. La televisione è una finestra aperta sul mondo, una finestra molto efficace grazie alla suggestione delle immagini. Il rischio è di avere l’illusione che quello trasmesso sia il mondo reale, e non (come avviene) la rappresentazione parziale e artificiosa che i canali hanno interesse a veicolare per garantirsi più ascolti e – quindi – più introiti economici.
Anzi, la televisione può finire col produrre una realtà che non c’è. Gli autori dei palinsesti, infatti, cercano di attrarre spettatori offrendo situazioni insolite e “scandalose”, stimolando la curiosità anche morbosa; la continua riproposizione di queste situazioni induce gli spettatori a credere che siano “normali”, che “così va il mondo”, producendo una modificazione dei costumi; gli autori devono allora elaborare nuove situazioni sempre più spinte, per tener desta la curiosità, innescando così nuove modificazioni-degenerazioni dei costumi, in una spirale perversa.

La necessità di catturare l’attenzione condiziona anche la trasmissione delle idee.
I concetti devono essere molto brevi, finendo col privilegiare quelli più superficiali e censurare quelli più complessi, non riducibili a poche banali parole.
I toni devono essere più aggressivi. Ciò è evidente anche nei dibattiti politici, in cui l’esasperazione del linguaggio porta a divisioni manichee – o di qua o di là – ed anche a far scaturire rabbia e odio.

La televisione, dunque, è un mezzo di informazione e intrattenimento che può essere utilissimo, ma anche - vista la sua potenza persuasiva – molto pericoloso, soprattutto per i più giovani, se non utilizzato con consapevolezza.
Bisogna impedire che la televisione svolga un ruolo di supplenza educativa e formativa. Ma ciò è possibile solo se gli agenti educativi e formativi sono presenti e solidi. I ragazzi non devono essere abbandonati da soli davanti al televisore, ma devono essere affiancati da qualcuno che insegni loro a filtrarne i messaggi (educando la famosa “coscienza critica”). Gli educatori non devono rinunciare a trasmettere valori, nell’illusione che il giovane “sceglierà da grande”: se i valori non li trasmette chi ha il dovere di farlo, e può farlo con amore, il giovane li assorbe da chi li trasmette per denaro e interesse.

La radio è un altro grande mezzo di informazione e intrattenimento, come la TV. La sua storia parte da ancora più lontano, a inizio Novecento.

Questo strumento concentra l'attenzione sulle parole mettendo in secondo piano l'immagine. Ciò ha determinato il sorpasso da parte della televisione: l'immagine attrae più della parola e si tende a guardare, prima ancora che ascoltare.

La radio ha però altri vantaggi: “assorbendo” di meno la nostra attenzione, la si può ascoltare mentre si effettuano altre attività (guidare l’automobile, svolgere attività manuali, ecc.). Inoltre, la necessità di attrarre con le parole rende più difficile la trasmissione di messaggi banali che siano di mero supporto ad immagini di forte impatto, e costringe a elaborare con più cura i contenuti veicolati, almeno nelle talk radio (le trasmissioni parlate, che si affiancano a quelle musicali). Quando ascoltiamo parole, siamo chiamati a pensare: la radio è in questo uno strumento molto utile.

La carta stampata (quotidiani di informazione, riviste, libri) prima della radio e della televisione ha offerto la divulgazione di informazione. La cultura passa innanzitutto attraverso quello che si legge (anche in senso deteriore: la cultura del gossip è veicolata attraverso le numerose riviste adesso dedicate). La lettura è strumento insostituibile, perché il lettore non interagisce in maniera passiva, non è costretto a rispettare i “tempi” della trasmissione televisiva o radiofonica. Il lettore può leggere con l’attenzione che ritiene necessaria, può rileggere un passo oscuro, può sottolineare. Può riflettere.

L’abitudine alla lettura della carta stampata, oggi, sembra purtroppo diminuire.

La lettura interattiva sembra dirigersi su internet. Tutte le maggiori testate giornalistiche hanno un sito internet, dove vengono riportate le notizie in tempo reale (è l'essere informato in modo immediato che oggi va di moda). Qui si può effettuare una consultazione più rapida ed efficace. Tra l'altro, ora, con gli e-books readers (“lettori di libri elettronici”), il giornale si può sfogliare elettronicamente semplicemente grazie al collegamento via etere. Gli e-books readers, per chi non lo sapesse, sono dispositivi grandi quanto un foglio A4 che sono in grado di visualizzare contenuti testuali quali libri, riviste e, appunto, giornali resi disponibili in formato digitale.

Internet offre un grande vantaggio: la disponibilità di materiale di informazione potenzialmente infinito. Ma questo vantaggio, paradossalmente, può tradursi in un handicap per il lettore-navigatore: la compulsione a consultare quante più fonti di informazioni possibile, induce a dedicare meno spazio all’approfondimento e alla riflessione. Un po’ come l’invitato ad un grande buffet che non sappia rinunciare a fare un “assaggino” di decine di pietanze, finendo col perdere il piacere di un pasto completo e raffinato accompagnato dal giusto vino.

A questo cambiamento delle abitudini di lettura ha risposto il modo di scrivere sul web: conciso, sintetico e per capitoletti intervallati da spazi bianchi. La notizia rimane completa e fornisce l'informazione necessaria, ma per approfondimenti si rimanda alla versione cartacea, che rimane sempre un supporto importante.

Il cosiddetto web 2.0 aumenta le possibilità di interazione: commenti dei navigatori alle notizie, caricamento di immagini e video, social network, ecc.. Questo è un bene, ma presenta un risvolto pericoloso: l’inseguimento di un protagonismo fittizio può distogliere dalla capacità di accogliere ciò che può essere davvero utile, e può rivelarsi semplicemente una perdita di tempo prezioso.

Internet presenta un ulteriore profilo critico: si è imposto come mezzo delle notizie e dei servizi gratuiti. Ma la gratuità non sempre fa rima con qualità. Documentarsi richiede tempo, e chi non scrive per professione spesso non ha l’accuratezza, l’esperienza, la competenza per offrire notizie verificate e attendibili (non tutti hanno la passione di Europa Oggi!).
E’ il motivo per cui le notizie delle grandi testate sono quasi sempre pubblicate su internet in versione sintetica, rimandando per la versione estesa o gli approfondimenti alla versione cartacea (o anche ad una versione digitale disponibile solo a pagamento).
Inoltre, la grande disponibilità di fonti gratuite – anche non “autorevoli” – pone il problema dell’attendibilità della fonte. Intendiamoci: si trovano contenuti gratuiti molto interessanti e a volte più validi di quelli a pagamento. Ma al navigatore è richiesto un supplemento di senso critico nel vagliare le notizie.

Abbiamo già parlato, in altra sede, dei “pericoli” di internet connessi alla privacy o alla violenza su minori.

Con le reti informatiche, tutti i dispositivi di cui disponiamo oggi sono interconnessi tra loro e sono in egual misura informatori (e talora formatori ed educatori). Televisione, radio, libri, quotidiani sono spesso accessibili su internet: la rete ha cannibalizzato tutti i mezzi di informazione. E rischia di cannibalizzare anche gli agenti di formazione (scuola, associazioni), sostituiti da un’esperienza formativa “autogestita” (senza l’affiancamento diretto del formatore) e da un’esperienza relazionale virtuale.

Il genitore rimane, ancora, la principale 'istituzione' in grado di porsi con autorità e amore al figlio, e quindi guidarne l’accesso ai mezzi di informazione. C'è bisogno che i padri e le madri si riprendano questo primato, invece di lasciarsi portare di qua e di là dalla corrente di un caotico mare culturale e informativo. Devono seguire passo dopo passo il figlio, frutto del loro amore, in maniera non invadente, per offrirgli chiarezza, sicurezza; devono proteggerlo da disvalori negativi e indirizzarlo a valori positivi di rispetto verso se stesso e l'altro. Devono accompagnarlo anche nel cammino di crescita svolto nell'alveo di altri soggetti educativi e formativi.

I valori devono essere trasmessi, piuttosto che con l’imposizione (a volte pure necessaria), con l'amore, l’esempio, la vicinanza (non è vero che conta solo la “qualità” del tempo...) e la  formazione ad una criticità indipendente che aiuti il giovane a far propri i valori, diventando adulto. Solo così sarà possibile affrontare la prinipale emergenza del nostro Paese: l'emergenza educazione.



Giudizio Utente: / 4

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