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La posta in palio alle prossime elezioni. Le proposte dei partiti
      Scritto da Giovanni Martino
01/06/09
Ultimo Aggiornamento: 04/06/09

La campagna elettorale che si avvia alla conclusione (si vota sabato 6 e domenica 7, non lunedì) ha visto oscurati dal dibattito politico i temi per cui si dovrebbe votare. “Il dibattito è stato monopolizzato dai pettegolezzi!”, gridano scandalizzati politici e mezzi d’informazione, come si trattasse di una tragica fatalità.

In realtà, la centralità della figura di Berlusconi, e del suo profilo personale prima ancora che politico, è una precisa scelta dello stesso Cavaliere e dei suoi oppositori (anche nei media), oltre che un inevitabile corollario della particolare concentrazione di potere nelle mani del Presidente del Consiglio.

Il bello è che gli stessi che lamentano questa presenza ingombrante aggiungono: “nella campagna elettorale non si è parlato dei problemi che affliggono gli Italiani” (le opposizioni), oppure “nella campagna elettorale non si è parlato dei successi del Governo” (la maggioranza).
Insomma: che si tratti di elezioni europee sembra non ricordarsene – o non importare a – nessuno. Ad un’entusiastica adesione verbale all’ideale europeo (rilanciata da parole d’ordine superficiali, come “non possiamo fare a meno dell’Europa”) corrisponde un sostanziale disinteresse.

Intendiamoci: le elezioni europee avranno un inevitabile riflesso sugli assetti politici interni, ridefinendo i rapporti di forza: Berlusconi potrà dire di uscire rafforzato dal fuoco di fila delle polemiche? Come si ridefiniranno i rapporti tra Lega e Pdl, che influenzeranno la futura azione di governo? L’Udc, senza la spada di Damocle del “voto utile”, potrà affermare il progetto di un Grande Centro? Il Pd avrà una sconfitta che potrebbe segnare scissioni interne, e quindi il fallimento del tentativo di fondere anime diverse? L’Italia dei Valori incontrerà consensi al suo modo aggressivo di fare opposizione? La Destra e la Sinistra radicale supereranno la soglia di sbarramento, riproponendosi come soggetti politici ‘istituzionali’?

Ma, per l'appunto, dovrebbe trattarsi di “riflessi” interni, rispetto ad una centralità dei temi europei; i quali, invece, appaiono esautorati.

La causa unica di questa eclissi non è la ricordata anomalia italiana della presenza sulla scena politica di un leader come Berlusconi. Dobbiamo aggiungere altri fattori.

Innanzitutto, una certa dose di provincialismo, che ci porta a guardare all’Europa solo in termini di ricaduta sui nostri interessi (“quanti fondi europei possiamo ottenere?”). 
Anche se, a ben vedere, il provincialismo è un difetto che accomuna quasi tutti i popoli, non solo quello italiano.

Una seconda causa è nella natura poco democratica delle istituzioni europee, che appaiono (e per certi versi sono) come una burocrazia lontana ed elefantiaca.
Anche questo, però, è un elemento che accomuna i cittadini italiani agli altri europei.

La causa principale del peculiare disinteresse italiano per l’Europa risiede, probabilmente, nel fatto che i cittadini Italiani sono stati sin qui esautorati dal processo di integrazione europea.
Nella maggior parte degli stati membri dell’Unione, infatti, i trattati e le successive revisioni sono state sottoposte a referendum popolare. Il che ha comportato un appassionante dibattito pubblico, anche con risvolti ‘drammatici’, laddove i nuovi trattati sono stati bocciati.

A giustificazione di questa peculiarità italiana viene normalmente invocato l’art.75 della Costituzione, il quale prevede che “Non è ammesso il referendum per le leggi (...) di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”.
In realtà, parte della dottrina ritiene che questa previsione non sia applicabile ai trattati che pongono “limitazioni di sovranità” (art.11), e men che meno a trattati – come quelli europei – che, sulla base del principio di prevalenza dell’ordinamento comunitario, introducono modifiche agli stessi principî costituzionali.

Non invochiamo, beninteso, una democrazia referendaria. Ma in alcuni passaggi storici il coinvolgimento diretto del popolo assume un ruolo importante. In caso contrario, è inevitabile la conseguenza di un distacco tra sentire popolare e istituzioni che appaiono estranee.

Ad ogni buon conto, abbiamo lo strumento delle elezioni per il parlamento europeo. Un parlamento con poteri limitati; ma queste elezioni restano un momento fondamentale per dire la nostra sugli indirizzi della politica comunitaria. L'astensionismo darebbe ragione a chi ritiene inutile favorire la partecipazione.

Quali sono gli aspetti cruciali su cui focalizzare la nostra attenzione?

Il tema che ci sembra più rilevante è il tentativo di alcune istituzioni comunitarie di modificare surrettiziamente i diritti naturali della persona, soprattutto attraverso lo scardinamento del diritto di famiglia e gli attacchi al diritto alla vita. Non è l’unico tema rilevante; ma merita un’attenzione particolare, sia per la sua centralità, sia per le modalità subdole con cui alcune lobbies tentano di innovare la materia.

Come si pongono, rispetto a questo tema, i partiti?

Prima di analizzare le singole proposte, ci permettiamo di formulare due annotazioni.

Innanzitutto, vorremmo suggerire un criterio di giudizio generale: non dimentichiamo che l’Europa è stata costruita dai grandi statisti democratici-cristiani (De Gasperi, Schuman, Adenauer), sulla base di radici solide e di valori comuni.

In secondo luogo, vorremmo ricordare che i programmi dei partiti – se ci sono – non vanno accolti a scatola chiusa. Queste elezioni sono con il voto di preferenza (è possibile esprimerne fino a un massimo di tre), e quindi riconoscono agli elettori il fondamentale diritto di scegliere anche la persona che appaia più credibile nel difendere le idee del partito cui appartiene. Dovremo fare un piccolo sforzo per non sprecare questo diritto, informandoci sui candidati; ma non avremo l'alibi di dire che non troviamo una scelta corrispondente al nostro sentire.

E veniamo alle proposte dei partiti.

Sul sito del Popolo delle Libertà non troviamo un vero programma elettorale (a meno che non ci sia sfuggito), ma una dichiarazione di intenti che non contiene accenni alla difesa della vita o della famiglia. Si rimanda al Manifesto del Partito Popolare Europeo, in cui di vita non si parla e la famiglia è proclamata soggetto centrale, senza però specificare con quali politiche sostenerla (i Popolari europei rischiano di scivolare in un moderatismo senz'anima).

Il Partito Democratico, invece, ha elaborato il suo bel programma. Ma, a parte la vaghezza, colpisce il silenzio assoluto su vita e famiglia (temi su cui esistono rilevanti spaccature interne, anche se l’anima prevalente è quella ‘progressista’). Unico accenno – preoccupante - è quello all’ “uguaglianza di genere”, con tutti i pericolosi sottintesi che l’uso della parola “genere” – anziché “sesso” – comporta.

Anche l’Unione di Centro ha elaborato un programma generale, che a dire il vero appare troppo sintetico. Va almeno apprezzato che famiglia e vita sono i due punti a cui viene data la massima evidenza, parlando esplicitamente di quoziente familiare (come meccanismo fiscale) e di rifiuto dell'eutanasia.
Al programma generale, peraltro, si aggiunge una sorta di programma specifico per le famiglie, molto dettagliato, che esprime la convinzione che questo tema è centrale nelle politiche europee.

La Lega Nord presenta un programma articolato, che in realtà non è pensato specificamente per le elezioni europee, ma piuttosto è rivolto alla politica interna. Ha spazio il tema della famiglia, non quello della vita.

Sinistra e libertà e Lista comunista e anticapitalista hanno i loro programmi abbastanza dettagliati, che affrontano anche le tematiche che abbiamo evidenziato. Peccato che le loro proposte vadano nella direzione esattamente opposta a quella che riteniamo utile...

Sui siti internet dell’Italia dei Valori, de La Destra e della Lista Bonino/Pannella niente programmi, niente dichiarazioni di intenti, ma solo documenti politici generali.



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