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Sherlock Holmes | Padre Brown |
Renato Giovannoli,
Elementare, Wittgenstein! Filosofia del racconto poliziesco 
ed. Medusa Edizioni, Milano 2007
Ottimo cronista, il dottor Watson, ma forse un po' inadeguato all'impresa che dovrebbe sostenere. Descrive in modo meticoloso le imprese dell'ineffabile Sherlock Holmes, eppure dà sempre l'impressione di non comprenderne del tutto il metodo. Perché, insomma... come accidenti fa Holmes a fare quello che fa? Deduce, induce o, meglio ancora, abduce? Semplicemente intuisce o più logicamente inferisce? Formulate in rigoroso linguaggio filosofico, sono le stesse domande che ogni lettore di Arthur Conan Doyle si è posto almeno una volta, accontentandosi magari di fidarsi un po' alla cieca non tanto dell'autore, quanto piuttosto del suo mirabolante personaggio. Sono, nello stesso tempo, interrogativi seri, che meritano risposte circostanziate.
La storia del poliziesco, infatti, è strettamente intrecciata con quella del pensiero contemporaneo, attraverso una serie di rimandi niente affatto inconsapevoli, sui quali si sofferma il nuovo, robusto e leggibilissimo saggio di Renato Giovannoli. Accompagnato da una complice prefazione di Umberto Eco, questo Elementare, Wittgenstein! può essere considerato come l'ideale prosecuzione di un altro studio di Giovannoli, l'ormai classico La scienza della fantascienza, anch'esso basato su un'attenta verifica delle fonti e delle relative premesse culturali.
Fin dal titolo, il libro attuale fa perno sulla figura di Ludwig Wittgenstein, osservata nei momenti più significativi della sua ricerca. E così se nel "primo Wittgenstein", quello del Tractatus logico-philosophicus, si possono rintracciare gli indizi necessari all'individuazione del modello investigativo adoperato dal proverbiale Holmes, nel "secondo Wittgenstein", quello delle Philosophische Untersuchungen, emergono con prepotenza i segnali di una crisi che trova parallela espressione nei romanzi hard-boiled di cui lo stesso filosofo si dichiarava avido lettore.
Come e più di ogni altra forma letteraria, infatti, il poliziesco è anzitutto una rappresentazione del mondo e, di conseguenza, deriva da una concezione del mondo. Prendiamo Holmes, appunto, il detective razionalista nel cui modo di procedere Giovannoli individua gli elementi di una fedeltà addirittura ossessiva ai maestri della logica secentesca, primi fra tutti Leibniz e Cartesio. A ogni causa, in questa prospettiva, corrisponde un unico effetto: tutto sta a individuarlo con esattezza, dopo di che anche il più intricato degli enigmi si risolve da solo. È un processo di semplificazione comune, sia pure con le debite distinzioni, ad altri maestri del poliziesco classico, da S.S. Van Dine ad Agatha Christie. Ma se l'effetto, e cioè l'indizio, fosse intenzionalmente falsificato?
Il dubbio, introdotto tra gli altri da Maurice Leblanc (l'inventore del ladro gentiluomo Arsène Lupin), prelude alla svolta "esistenzialista" che permette a Giovannoli di rintracciare puntuali consonanze fra l'opera di Martin Heidegger e le tormentate invenzioni di un narratore come Cornell Woolrich. Un accrescimento di complessità al quale corrisponde una diversa percezione dello spazio - sempre più incerto e contraddittorio - all'interno del quale si svolgono le avventure degli antieroi cari a Dashiell Hammett e a Raymond Chandler. Tanto che l'esito estremo dello studio di Giovannoli coincide con la trama programmaticamente frammentata di Città di vetro, il "non-poliziesco" al quale Paul Auster affida la raffigurazione definitiva della metropoli come labirinto dell'esperienza.
In questa interpretazione Giovannoli si avvale a più riprese dei racconti e delle riflessioni critiche di Gilbert Keith Chesterton, il cui personaggio-simbolo, il cattolicissimo padre Brown, è qualcosa di più del semplice interlocutore polemico contrapposto al razionalista e protestante Holmes. Chesterton, al contrario, si conferma come il portavoce più lucido di una visione teologica del poliziesco come «simbolo di misteri più alti» che troverà degna continuazione nella riflessione di Jorge Luis Borges. Del resto, che si tratti della Genesi o del Silenzio degli innocenti, l'indagine sulle tracce di un assassino ha sempre qualcosa di metafisico.
Recensione pubblicata su Avvenire del 10-3-2007