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Nel Mondo
Il Papa, Castro, Cuba Stampa E-mail
La visita di Giovanni Paolo II a Cuba riaccende i riflettori sul regime cubano
      Scritto da Giovanni Martino
29/05/98
giovannipaoloii_castro.jpg
Castro "arringa" Giovanni Paolo II

La visita del Papa a Cuba è stata seguita con attenzione particolare da tutto il mondo; non soltanto per il suo significato spirituale, ma anche perché le veniva attribuito un particolare significato politico. Si è assistito, a questo proposito, ad un fenomeno singolare: tutti applaudivano il Papa, pur assegnando al suo viaggio finalità opposte.

Alcuni hanno sottolineato la volontà di Giovanni Paolo II di favorire il recupero della libertà in uno degli ultimi regimi comunisti, dopo che egli stesso è stato il protagonista della caduta del Muro di Berlino.

Altri vi hanno visto, al contrario, la volontà di dare un sostegno al governo di Castro, le cui difficoltà sarebbero dovute unicamente a perversi meccanismi economici imposti dal capitalismo occidentale (l’embargo degli Stati Uniti in particolare). Quest’ultima interpretazione è stata fornita sia da chi guardava con favore al presunto sostegno, come molti ambienti della sinistra internazionale (anche Il Manifesto, per una volta, ha esaltato il “papa polacco”), sia da chi vi guardava con timore, come molti ambienti americani, perplessi per questo sull’opportunità della visita.

Cosa dire di queste contraddizioni? Potremmo vedervi un generale riconoscimento della statura morale di questo Pontefice, unica voce autorevole nel panorama mondiale di fine millennio. Ma potremmo vedervi anche l’ipocrisia di chi, non avendo il coraggio di criticare un personaggio ormai entrato nella storia, cerca di tirarlo per la giacca: abbiamo assistito a resoconti del viaggio ridicolmente faziosi, che censuravano le parole del Papa o le reazioni cubane non in linea con l’immagine che il commentatore voleva dare. Questi eccessi nascono da un grave limite di molti commentatori: la tentazione di voler mettere sempre in primo piano il dato politico, la difficoltà a capire che il significato dei gesti e delle parole del Papa è sempre, innanzitutto, religioso. Egli viaggia per annunciare il Vangelo, per offrire un messaggio ben più grande di ogni disegno politico. La fede, poiché investe tutto l’uomo - e non solo la sua dimensione privata - ha anche dei riflessi politici; ma solo indirettamente, e secondo percorsi che sfuggono ai commentatori più superficiali.

A Cuba, Giovanni Paolo II ha voluto innanzitutto infondere coraggio ad una Chiesa perseguitata per più di trent’anni: prima di intraprendere il viaggio, ha preteso precise garanzie perché le fosse garantita una maggiore libertà d’azione. La Chiesa cubana, nelle intenzioni del Pontefice, deve contribuire alla ricostruzione del tessuto morale del suo popolo; il Papa ha speso parole molto chiare contro il materialismo (l’eredità del materialismo marxista è quasi sempre quello consumista), contro i fenomeni che hanno condotto ad una grave crisi delle famiglie: tasso altissimo di aborti e di divorzî, prostituzione ormai dilagante (alimentata vergognosamente da tanti “turisti del sesso” europei, con il regime che chiude un occhio perché ha bisogno di valuta pregiata), l’incredibile politica di sottrarre i figli in giovane età alle famiglie per educarli nelle “comuni” di campagna, ecc.

Certamente Giovanni Paolo II non ignora che il suo progetto, eminentemente pastorale, ha anche riflessi politici; d’altronde, la politica può essere importante nell’aiutare (o contrastare) una vera promozione umana. Ma se vogliamo conoscere le sue aspettative in tal senso, basterebbe ascoltare le sue parole: dopo aver già a Cuba criticato l’ideologia marxista e invocato il rispetto dei diritti umani, al ritorno, durante un’udienza generale, rivolgendosi ad un gruppo di pellegrini polacchi ha confidato di augurarsi lo stesso esito dei suoi viaggi in Polonia; ovvero, la caduta del regime. Del tutto gratuite, dunque, le interpretazioni che vedono in questa visita un possibile riconoscimento e incoraggiamento del governo di Castro; il Santo Padre ha visitato Cuba con lo stesso spirito con cui, qualche anno fa, ha visitato il Cile di Pinochet (in quell’occasione non mancarono critiche accese). Oggi il Cile ha riacquistato pienamente la libertà e conosciuto un prodigioso rilancio economico.

Le interpretazioni pro-Castro, in Italia, provengono non solo dai nostalgici del comunismo, ma anche, incredibilmente, da molti ambienti della sinistra moderata. Resta un mistero come sia possibile guardare ancora con indulgenza - o addirittura con speranza! - al modello cubano, i cui mali sono stati denunciati persino dalla sorella e dalla figlia del dittatore cubano; e magari avendo come mito Kennedy, il quale organizzò lo sbarco alla Baia dei Porci per rovesciare Castro. Si finge di ignorare le gravi limitazioni alla libertà religiose, economiche, politiche. Si finge di non sapere che a Cuba si finisce in galera per vent’anni se si leggono i libri di Orwell. Si finge di non vedere (o forse ci fa comodo?) il degrado delle giovani cubane "disponibili" con i turisti. Si volta la testa per non guardare le incarcerazioni e fucilazioni di prigionieri politici (magari coperte come condanne per reati comuni), gli affondamenti dei canotti di disperati che cercano di raggiungere la Florida. E in nome di quale presunto "progresso" bisognerebbe ignorare ciò?

Si rifiuta di guardare in faccia la realtà (come è già accaduto in passato) chi crede alla propaganda grossolana di un regime che definisce all’avanguardia il suo sistema sanitario o scolastico: studî O.N.U. danno Cuba al 14° posto, tra i Paesi dell’America latina, quanto a qualità del sistema educativo; e al 24°, sempre tra i soli Paesi latino-americani, quanto a sviluppo complessivo. In quasi cinquant'anni si poteva costruire ben altro! Altrettanto propagandistica è la tesi per cui la miseria economica - a Cuba anche i generi di prima necessità sono razionati - è dovuta all’embargo americano (fortissimamente voluto, tra l’altro, proprio dal milione di esuli cubani negli U.S.A.). Esiste un mondo intero, al di là degli Stati Uniti, che commercia liberamente con Cuba; se l’economia cubana non ne sa beneficiare (e ha bisogno sempre di essere finanziata da Stati alleati), ciò è dovuto solo alle sue inefficienze. Non a caso il resto dell’America latina, superato il periodo buio delle dittature militari e un certo vittimismo terzomondista, e apertosi al mercato, sta conoscendo una fase di grande crescita.

Il Papa, criticando - come ha fatto - anche l’embargo e gli eccessi del liberalismo, non vuole certo fornire un alibi a Castro (la scelta per le libertà politico-economiche è chiarissima; chi lo desidera può rivedersi, ad esempio, il par.42 della Centesimus Annus): vuole semplicemente evitare che si appesantisca una situazione già difficile; vuole impedire che le colpe di un regime ricadano sui più deboli; vuole mettere in guardia chi tenta di strumentalizzare la sua opera in senso opposto, illudendosi che basti superare il comunismo per risolvere i problemi dell’umanità, che sia possibile una libertà materialista, irresponsabile, chiusa alla solidarietà.

Gli ammiratori di Castro - i Gianni Minà di casa nostra - non dimostrano soltanto ingenuità nel ritenere la ricetta economica cubana una ricetta valida; ma anche - diciamo così - “scarsa responsabilità” nel ritenere che, in nome di quella ricetta, si possano calpestare i diritti umani. Senza capire che benessere e libertà sono indissolubilmente legati. I motivi di questa infatuazione, dicevamo, restano un mistero. La cui soluzione forse è nelle parole di Saul Bellow: “Tesori d’intelligenza possono essere investiti al servizio dell’ignoranza, quando il bisogno d’illusione è profondo”. Al mistero si aggiunge un dubbio - quando gli "ammiratori" sono uomini politici -  sull’affidabilità democratica di queste persone, sulla capacità di proporre per il nostro Paese ricette davvero valide (e non il riciclaggio riadattato di ricette fallimentari).

Il nostro pensiero, in ogni caso, va al popolo cubano, che conserva la voglia di guardare al futuro, come ha dimostrato anche con l’accoglienza al Papa. Per questo popolo comincia solo ora un cammino difficile; sospinto però da un nuovo vento di speranza.



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