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Donne
La favola dell'8 marzo Stampa E-mail
La festa delle donne non ha bisogno di fondarsi su favole create per fini ideologici
      Scritto da Alessandra Nucci

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Quanti di voi si sono sentiti raccontare con enfasi che, come data per la festa delle donne, l'8 marzo è stato scelto per commemorare la tragica morte di 129 operaie in una fabbrica tessile di New York nel 1910? (Le variazioni sul tema parlano anche del 1911 o del 1929, di una filanda di Chicago, di Boston nel 1898 o 1908, di 19 o 146 vittime, ecc.). Il racconto (con la dovizia di particolari che spesso accompagna le storie inventate) parla di un crudele imprenditore che avrebbe rinchiuso nella fabbrica le operaie in agitazione e avrebbe appiccato il fuoco intenzionalmente.

L'articolo che pubblichiamo di seguito - apparso sul settimanale Tempi del 5 aprile 2001 - spiega come è nata questa leggenda (un incendio di tipo diverso, forse, può essere rintracciato nel 1911), e quali fossero le motivazioni - politiche ed ideologiche - che accompagnavano questa falsificazione. Aggiungiamo che non intendiamo con questo "condannare" l'idea di una festa per le donne: un momento di gioia e di riflessione è sempre il benvenuto, purché abbia lo spirito di promuovere i diritti di ogni singola persona (e non di una categoria astratta), e purché cerchi l'incontro e la collaborazione (più che lo scontro e la rivendicazione).


La festa dell’8 marzo, che in Italia si tramanda di anno in anno con l’immutabilità delle leggende, narra della lotta di classe, dello sfruttamento capitalista, del diritto al lavoro e, immancabilmente, dell’iniquità della società americana. Si tratta però di una mitologia indotta, un misto di fatti veri e meno veri ricostruiti con fantasia dal movimento sindacale, in piena Guerra Fredda, per dare corpo all’ideologia marxista e incanalare le donne il più possibile verso rivendicazioni di stampo comunista. La storia vera infatti è molto più articolata della sola iniziativa che si vuole lanciata da Clara Zetkin a Copenhagen nel 1910. L’incendio della Triangle Shirtwaist Factory di New York fu tragedia vera e immane, ma non fu riconducibile né a scioperi né a serrate, fece vittime anche fra gli uomini e oltretutto avvenne nel 1911, un anno dopo il supposto "proclama".

Nella minuziosa ricostruzione storica offerta dal libro 8 marzo. Storie, miti, riti della giornata internazionale della donna di Tilde Capomazza e Marisa Ombra (ed. Utopia, Roma, 1991), si scopre che la data dell’8 marzo fu stabilita a Mosca nel 1921, durante la "Seconda conferenza delle donne comuniste". Svoltasi all’interno della III Internazionale comunista, la conferenza decise di stabilire quella data come "Giornata internazionale dell’operaia" in onore della prima manifestazione delle operaie di Pietroburgo contro lo zarismo.

La "Festa della donna" fu istituita quindi nel quadro ideologico e politico che vedeva i paesi comunisti di tutto il mondo uniti per la rivoluzione del proletariato, sotto la guida dell’Unione Sovietica. Perché allora questo fatto non viene tramandato ogni 8 marzo?

Per capirlo bisogna andare alle radici del femminismo, che non nasce dalle lotte del proletariato ma dalle donne del ceto medio, che già dalla metà dell’800 avevano cominciato a mobilitarsi per il diritto di voto. Quando poi, al volgere del XX secolo, venne fondato il Partito Socialista internazionale, le sue donne si divisero fra quelle disposte ad allearsi con le femministe "borghesi", e quelle che invece ritenevano che, come scrisse nel 1910 L’Avanti!, "il proletariato femminile non può schierarsi col femminismo delle donne borghesi [….] per ottenere quelle riforme civili e giuridiche che le tolgano alla tutela e alla dipendenza dall’uomo. Questa emancipazione di sesso non scuote e può piuttosto rafforzare i cardini della presente società economica: proprietà privata e sfruttamento di classe". In poche parole le donne di sinistra accusavano le borghesi di "non attaccare a fondo l’istituto familiare, luogo privilegiato di oppressione della donna". Questa divisione può spiegare la ricostruzione dell’8 marzo come iniziativa di protesta per il terribile incendio di New York, il cui taglio anti-americano risultava tanto più efficace quanto più ne rimaneva nascosta la radice sovietica.

Questa versione fu riportata infatti per la prima volta in Italia dal settimanale La lotta, edito dalla sezione bolognese del Partito Comunista Italiano. Era il 1952, e quell’anno l’Unione Donne Italiane, settore femminile della Cgil, distribuì alle sue iscritte una valanga di librettini minuscoli, 4 cm x 6, da attaccare agli abiti insieme a una mimosa. Nel libretto c’era un resoconto dell’incendio di New York. Due anni dopo, il settimanale della Cgil, Il lavoro, perfezionò il racconto con un fotomontaggio che ritrae un signore arcigno in bombetta dal nome inventato che si fa largo fra masse di donne tenute indietro dalla polizia.

Così la data dell’8 marzo si è diffusa a tappe alterne, soprattutto in Europa. In alcuni paesi è salita alla ribalta solo da pochi anni. Negli Stati Uniti, dove le manifestazioni delle donne hanno sempre incluso le più svariate associazioni femminili, le donne socialiste tenevano già una "Festa della donna" nel 1908, che però non è mai diventato un appuntamento diffuso. È da pochissimo che si tenta di far acquistare visibilità in USA all’"International Women’s Day". Nonostante infatti la crescente pubblicistica degli studi femminili, presenti in tutti gli atenei, il livello di attenzione del pubblico per l’8 marzo continua ad essere quasi del tutto inesistente.



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