
Frankenstein, ovvero il Prometeo moderno

di Mary Shelley, 1818
Il romanzo di Mary Shelley, Frankenstein, nasce in una notte di tempesta, in un periodo di tempesta, l’Ottocento appena entrato nel Romanticismo, e dal genio di un’autrice in preda ad un amore, anch’esso, di tempesta, quello per Percy B. Shelley, il grande poeta inglese che aveva abbandonato per lei sua moglie ed una tranquilla esistenza in Inghilterra. Numerose sono le ricostruzioni su ciò che avvenne la notte in cui fu concepita questa storia così nota; facciamo un passo indietro per ricostruire qualche particolare.
A proporre ai suoi amici e ospiti di impiegare quella notte a scrivere una storia d’immaginazione dal carattere gotico e tenebroso, fu Lord Byron. Sulle cui avventurose vicende biografiche non ci soffermeremo, limitandoci a ricordare le sue notevoli qualità di scrittore e poeta. Alla proposta di Byron aderirono Percy e sua moglie Mary, ed anche il medico personale di Byron, Polidori.
I tentativi di Percy e di Byron non ebbero un grande successo, a differenza di quelli di Mary Shelley e del povero Polidori; riguardo quest’ultimo, uso di proposito l’aggettivo povero, in quanto le sue peripezie in vita lo rendono un personaggio tragico: basti ricordare che il suo racconto, Lord Ruthven, fu considerato per anni opera di Byron, venendo pubblicato sotto pseudonimo dallo sconosciuto medico, che lo vide rappresentato anche a teatro senza avere neppure una sterlina per i diritti!
Ben altro fu il fato del Frankenstein, il cui successo immediato procurò alla sua autrice fin da subito meritatissima fama. Ma partiamo dal titolo: Frankenstein, ovvero Il Prometeo moderno; già da qui si intuisce il messaggio sotteso all’intera storia: quando l’uomo cerca di elevarsi oltre i suoi limiti in un delirio di onnipotenza, convinto addirittura di sostituirsi al suo Creatore, il risultato è il Male, nelle sue differenti evoluzioni.
Il protagonista del romanzo è in apparenza la creatura di uno studente universitario di tendenze geniali, Victor Frankenstein, che unendo parti di cadaveri, grazie all’elettricità ed a fluidi particolari, riesce a dare la vita ad un essere che è in pratica suo figlio. Ma è davvero vita quella creata da Frankenstein? Pur di farsi amare, la creatura salva un essere umano, ma la reazione è soltanto odio. In seguito, la frustrazione per ciò che è la spinge ad uccidere, ed essa diventa anche moralmente ciò che appare al mondo per il suo orribile aspetto: un mostro. La conseguenza è una caccia senza fine, destinata a concludersi tragicamente al Polo Nord.
Ma chi è davvero il personaggio principale del romanzo? In realtà è la tragica figura del creatore ad andare in evidenza. Victor è disperato, perché ha compreso che sostituirsi a Dio genera soltanto tragici errori: di più, si sente odioso nei confronti di sé stesso e, ancora peggio, è consapevole di dover uccidere quello che è il suo stesso figlio.
Inevitabilmente, Frankenstein ci riporta al presente, ed il racconto di Mary Shelley rappresenta un monito perpetuo a chi anche oggi guarda al progresso dimenticando la lezione del passato, non tenendo presenti le conseguenze delle proprie azioni. E’ di questi giorni la notizia che in Cina si stano sperimentando i primi ibridi, termine scientifico asettico, che io sostituirei con quello di CHIMERE, orribili unioni tra il corpo di animali (ad es. topo) e cellule cerebrali di un uomo, se non peggio. Potranno in futuro tali creature ancora una volta scagliarsi contro il loro creatore? Senza leggi efficaci, controlli sicuri, e soprattutto coscienza dei propri doveri da parte di alcuni, temo che sarà così.