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Religione e società - Notizie e Commenti
Libertà: realtà o illusione? (1) Le catene che soffocano l’uomo Stampa E-mail
Appunti per un’antropologia spirituale
      Scritto da Gabriele Vecchione
01/10/12

Michelangelo, lo 'Schiavo ribelle' (uno dei 'Prigioni' inizialmente destinati alla tomba di Giulio II) - Parigi, Louvre
L’uomo è nato libero?
E dovunque è in catene, per citare Il contratto sociale di Rousseau?

O piuttosto non è nato libero, e la sua storia è una coazione a ripetere altre storie?

Oppure è parzialmente libero, come Freedom House classifica gli Stati con eccessiva monopolizzazione del potere e scarsa democrazia interna?

Può mantenere, se libero, la libertà?
Come, quanto, perché storia, radici e background possono condizionare il libero dispiegarsi della volontà umana e la sua capacità di fare il bene ed evitare il male?

In effetti, l’uomo appare dovunque in catene e non a causa della proprietà privata (come sosteneva, appunto, Rousseau).

  • I genitori (ed altre figure educatrici, soprattutto nell’attuale ed abnorme assenza dei padri) plasmano la lunga infanzia dell’uomo scalpellandone pian piano la forma mentis. Diktat ed imperativi categorici ricevuti dai genitori (o da agenti educativi esterni, laddove i genitori rinuncino al loro compito educativo) rimbomberanno pedissequamente nelle orecchie intellettuali dell’uomo, per tutta la lunghezza della sua vita. Modi di pensare, di dire, d’agire, valori, relazioni in cui il bambino ha cercato di identificarsi e mimetizzarsi saranno continuamente replicati. Oppure si cercherà di agire in modo radicalmente opposto – ed è una mimesi al contrario. In alcuni casi l’educazione dei genitori è talmente negativa che per tutta la propria vicenda biografica non si finisce di raccogliere cocci d’una umanità disgregata. Si è condizionati a vita, contemporaneamente nel bene e nel male, dai genitori.

  • Jean Paul Sartre, maître à penser di più d’una generazione, ha parlato d’una condanna alla libertà. Nella terza parte de L’essere e il nulla, l’essere-per-gli-altri è uno specifico modo d’esistere, avendo riconosciuto, come la propria, anche l’altrui esistenza.
    L’autore francese fa un esempio illuminante per mostrare come lo sguardo e l’opinione altrui violino definitivamente la libertà umana.
    Una persona sola in un corridoio sente un rumore proveniente da dietro una porta; si china giù ed infila l’occhio nel buco della serratura e vede un uomo e una donna; sente dei passi dietro di sé, viene colto in flagrante ed è improvvisamente uno spione, mentre viene reificato dallo sguardo del passante. Scrive Georg Sans:

    "La percezione dello sguardo altrui ci insegna che siamo per-altri, che esistiamo come un oggetto che si presenta agli occhi altrui; essere per-altri significa essere reificati. Lo sguardo mi toglie la libertà e mi vincola a ciò che sono: «Basta che altri mi guardi perché io sia ciò che sono». E’ per questo motivo che l’uomo prova vergogna (honte). Chi si sente osservato, diventa consapevole di non essere più libero di cambiare l’accaduto" (Al crocevia della filosofia contemporanea, G&BPress, p. 224).

    Tale vergogna cercherà continuamente d’essere vendicata ovverosia l’uomo tenterà in tutti i modi di riacquistare la libertà che sarà sempre tarata dalla brama di dominio dell’altro con i più svariati mezzi: disinteresse, disprezzo, odio, desiderio sessuale, linguaggio. Non è impresa titanica valutare l’attualità del discorso sartriano al tempo dei social networks, in cui una massa infinita d’adolescenti e di adulti Peter Pan sarebbero disposti a tutto pur di non subire l’infamante honte. La benevolenza (o la malevolenza) dello sguardo altrui ostacola grandemente la libertà.   

  • Il luogo in cui si vive è un impedimento alla libertà di movimento e di pensiero: la mancanza di categorie culturali e concettuali altre impedisce di poter definire l’uomo cittadino del mondo, libero di trasmigrare dove voglia (senza considerare i limiti posti in essere dalle legislazioni nazionali in tema di immigrazione fino ai famigerati centri di permanenza temporanea per immigrati). Ne è un’evidenza la parabola discendente di Chistopher Johnson MacCandless, il protagonista del mirabile Into the wild, che, schiavo della fame e sganciato dalla tradizione alimentare di una nuova (non)patria, finisce per morire avvelenato da un’erba che credeva commestibile.

  • La paura è connaturale all’essenza umana. L’uomo trema di fronte alla morte, alla solitudine, all’anonimato. Tutto quello che glielo ricorda (il buio, l’estraneità, il pensiero), egli lo aborrisce. L’uomo non tollera l’idea che un giorno s’aggiungerà alla pantagruelica massa di cadaveri dei suoi avi – che fantasiosamente sarebbe più alta di qualunque Everest – e che nessuno lo ricorderà (ed anche tra i suoi, anche se ben voluto e munifico nell’eredità, il ricordo svanirà indefettibilmente). Continuamente, senza requie, si vive accanto alla domanda – sto per morire? - che è messa in evidenza in Vi presento Joe Black, in cui la morte incarnata (nel film Brad Pitt) dice a Bill Parrish (Anthony Hopkins): “La domanda che ti vai ponendo con crescente regolarità, ansimando dalla partita di pallamano,  quando hai rincorso l'aereo per Nuova Delhi,  quando ti sei sollevato sul letto stanotte e ti sei accasciato a terra stamattina.  La domanda... che sta in fondo alla tua gola,  che ti soffoca il sangue che va al cervello, che ti risuona nelle orecchie continuamente ogni volta che te la poni”.
    Milan Kundera descrive quest’atroce paura nell’incipit de L’insostenibile leggerezza dell’essere:

    “La vita che scompare una volta per sempre, che non ritorna, è simile a un’ombra, è priva di peso, è morta già in precedenza, e che, sia stata essa terribile, bella o splendida, quel terrore, quello splendore, quella bellezza non significano nulla. Non occorre tenerne conto, come di una guerra fra due Stati africani del quattordicesimo secolo che non ha cambiato nulla sulla faccia della terra, benché trecentomila negri vi abbiano trovato la morte tra torture indicibili”.

    Il sentimento della paura – scrive lo psicologo Giovanni Cucci – “si trova alla base delle più svariate motivazioni del comportamento umano, e può manifestarsi in ogni possibile scelta, ma soprattutto nelle non scelte”. Ad oggi le società del benessere, benché assai più sicure di tante altre e progredite scientificamente e medicalmente, assistono dentro di sé ad un’inedita proliferazione delle angosce, delle ansie, degli attacchi di panico e delle fobie – che, peraltro, vengono sfruttate a fini propagandistici, oltreché paralizzano qualunque dimensione progettuale che sia per sempre. Ancora Cucci: “L’eccesso di possibilità, senza un criterio di valutazione, non aiuta, ma rischia di soffocare la decisione: il progresso tecnologico, economico e sociale, pur sfornando strumentazioni sofisticate e multifunzionali capaci di giungere a livelli di possibilità mai visti prima, non sembra con ciò in grado di sconfiggere la paura, finendo piuttosto per generarne altre, ben più minacciose e implacabili”.
    Mirabili sono le parole scritte da Theodor W. Adorno e Max Horkheimer ne La dialettica dell’illuminismo:

    “L’illuminismo, nel senso più ampio di pensiero in continuo progresso, ha perseguito da sempre l’obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni. Ma la terra interamente illuminata splende all’insegna di trionfale sventura”.

  • La libertà è vincolata al rispetto dell’altro. Si ha di fronte un altro, forte della sua dignità o del suo volto (Levinas), nei cui confronti non si può agire massimamente liberamente. Lo riconosceva uno dei più noti assertori della libertà umana come John Stuart Mill: “L’unico scopo che autorizzi l’esercizio del potere nei confronti di un qualsiasi membro di una comunità civile contro la sua volontà, è quello di evitare un danno agli altri”.

  • Un autore spirituale russo, Teofane il Recluso, ha scritto:

    “Il nostro cuore è davvero la radice e il centro della vita. Esso mostra se lo stato dell’uomo è buono o cattivo ed incita le altre forze all’attività e, dopo che esse hanno realizzato la loro opera, esso riceve dentro di sé il risultato di queste azioni per rafforzare o indebolire quel sentimento che caratterizza la disposizione permanente dell’uomo. Sembra quindi che ad esso – il cuore – si dovrebbe concedere il governo della vita – ed infatti è così presso molti e in maniera minore presso altri – e può darsi che inizialmente fosse così. Ma vennero le passioni e turbarono tutto. Quando esse sono presenti, il nostro cuore non è un segnalatore sicuro, le nostre impressioni non sono come dovrebbero essere, i gusti sono perversi e conducono l’attività delle altre forze verso la dissipazione. Il programma, quindi, è questo: tieni il cuore sotto controllo e sottometti ad una severa critica tutti i sentimenti, i gusti e le inclinazioni. Quando sarà purificato, esso potrà agire a suo agio”.

    Anche per chi si disponga ad operare una cesura nel comportamento e nella vita considerata complessivamente, v’è un certo peso del passato che la impedisce. Nessuna azione è priva di conseguenze e meno che mai di responsabilità; nessuna decisione è a somma zero, ma costituirà un peso, sposterà energie, influenzerà il cuore, il nucleo operativo della vita. Per questo san Paolo sembra urlare: “In me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio” (Rm 7,18-19).

  • La libertà, per la sua intrinseca debolezza, è soggetta alla molteplicità d’inganni di stampo consumistico sia nella creazione di falsi bisogni (Herbert Marcuse) che nell’equivoco e nella confusione tra libertà e capriccio, tra desiderio e legge. E fu così che ci si ridusse a quanto scrisse con una certa lungimiranza Karl Marx:

    “Venne infine un tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato come inalienabile divenne oggetto di scambio, di traffico, e poteva essere alienato; il tempo in cui quelle stesse cose che fino allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate – virtù, amore, opinione, scienza, coscienza, ecc. – tutto divenne commercio. È il tempo della corruzione generale, della venalità universale, o, per parlare in termini di economia politica, il tempo in cui ogni realtà, morale e fisica, divenuta valore venale, viene portata al mercato per essere apprezzata al suo giusto valore” (Miseria della filosofia).

    Virtù, amore, opinione, scienza, coscienza, ecc. sono divenuti dominio riservato della tecnologia e dell’onnipotente e tentacolare mercato che v’è dietro. Elementare inferire che un falso bisogno incateni la libertà.

  • Il limite struttural-ontologico dell’uomo impedisce la libertà. Benché oggi spopoli “l’ideologia del non-limite”, cioè il tentativo dell’uomo di “rifare la Genesi con le sue forze” (Alain Supiot), si ha fame, sete, sonno, si diventa vecchi, si soffrono malattie di cui si è incolpevoli e vittime (talvolta, tristemente, oltremisura, come per la depressione) ed un filosofo morale come Alasdair MacIntyre ha ricordato che la disabilità è la condizione più frequente nella vita di un uomo. Infine si muore (“l’unica cosa certa della vita” – Blaise Pascal), senza neanche sapere come, quando e soprattutto perché, e viene soffocato anche il libero ed insopprimibile desiderio di infinito.

  • La collettività ostacola la libertà. Una società dove si respiri una cappa insana di elettrosmog ostacola la libertà quando provoca tumori a macchia di leopardo. Il potere politico, spesso (per non dire sempre) incatena la libertà. Pur essendo i diritti umani codificati a diversi livelli, pur biasimata ovunque (almeno a parole) l’arte nefasta della guerra, tuttavia sotto gli inermi occhi dell’Unione Europea, nell’ex Jugoslavia, l’altro ieri, ci si è uccisi (in campi di concentramento!) a centinaia di migliaia per motivi etnici, nazionalisti, economici e religiosi. Non è necessario ricordare qui le vittime uccise perché tentavano di oltrepassare il muro di Berlino o dei totalitarismi rossi e neri del ’900, epoca concordemente detta di civiltà, in cui il massimo della razionalità scientifica fu impiegato per lo sterminio. Si dirà di più: non è un potere particolarmente nefasto in nuce a causare planetarie perdite di libertà, ma qualsivoglia potere ha l’intrinseca tendenza a sopprimerla (ciò che Max Horkheimer chiamava la ragione strumentale) per autoconservarsi e trasmettersi a famigli, cricche affini e compari.

Pare che l’uomo debba così ridursi ad uno sterile e già determinato meccanismo vitale, incapace di autodeterminarsi e di emanciparsi, schiavo di stati cerebrali che non conosce e non controlla, condannato al trascorrere di un tempo inesorabile, di cui neanche possa usufruire liberamente e per motivazioni ultimamente vane – perché tutto miseramente opprimente ed oppresso, innaturalmente transeunte.

(1 di 2 - continua)


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