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Politica - Notizie e Commenti
La mancata abolizione delle Province: Lega, Pdl e Pd non rinunciano alle poltrone inutili Stampa E-mail
Si chiedono sacrifici ai cittadini, ma non si incide sui grandi sprechi
      Scritto da Giovanni Martino
25/07/11
I soldi dei contribuenti gettati nel cestino degli enti inutili
I soldi dei contribuenti gettati nel cestino degli enti inutili
Il 5 luglio la Camera dei Deputati ha bocciato una proposta di legge costituzionale per l’abolizione delle Province.

Si trattava di un provvedimento che avrebbe consentito un notevole risparmio per le casse dello Stato, tanto più necessario nel momento in cui ci si appresta a chiedere ai cittadini importanti sacrifici.

A favore dell'abolizione delle Province si sono pronunciati soltanto l’Italia dei Valori - che ha presentato la proposta di legge oggetto di questa votazione - e il Terzo Polo (Udc, Fli, Api, Mpa).
Hanno votato contro la proposta la Lega Nord e larga parte del Pdl.
Si sono astenuti (contribuendo così all’affossamento della proposta) il Pd e 43 deputati del Pdl.

Possiamo capire le ragioni della contrarietà di Pd, Pdl e Lega se guardiamo al numero delle Presidenze di Provincia (con relativa gestione di potere) che sono appannaggio dei maggiori partiti: su un totale di 110 Province, abbiamo 40 Presidenti del Pd, 36 del Pdl, 13 della Lega (a seguire: 5 dell’Udc, 2 Margherita e Mpa, ecc.).

Di Pietro ha gridato al “tradimento” delle promesse elettorali da parte dei maggiori partiti, che sarebbero coalizzati nel difendere i privilegi della “casta”.

A dire il vero, l’accusa di non mantenere le promesse elettorali può essere rivolta alla Lega Nord, solo con qualche forzatura.
È vero che durante la campagna elettorale del 2008 ha tenuto una posizione ambigua, lasciando intendere nelle dichiarazioni pubbliche che potesse assecondare l'idea - proclamata da Berlusconi - di abolire le Province. Ma è anche vero che di quell'idea la Lega è stata sempre fiera oppositrice. Anzi: ha presentato una proposta di legge per aumentarle!
Il motivo si capisce: essendo un partito a forte concentrazione territoriale, si batte contro gli “sprechi romani”, cioè quelli di cui non può beneficiare in maniera determinante, mentre difende con le unghie e con i denti gli spazî di potere locale, nei quali è presente o vuole entrare: enti locali, fondazioni bancarie (i cui vertici, con la recente riforma, sono nominati proprio dalle Province, ecc.). Si consideri anche che la Lega è fortissima nei piccoli centri, meno nei capoluoghi; per cui ha maggior peso politico nelle elezioni provinciali.
Questi spazî di potere vengono difesi anche quando costano ai cittadini cifre non proporzionate alla loro effettiva utilità.

L’accusa di non mantenere le promesse elettorali è forse eccessiva anche se riferita a Pdl e Pd.

Quanto al Pdl, durante la campagna per le elezioni politiche del 2008 Berlusconi si espose per l'abolizione delle Province.
Se però andiamo a guardare il programma elettorale, il settimo punto (“missione”) conteneva l’impegno a ridurre la spesa pubblica “a partire dal costo della politica e dell’apparato burocratico (ad esempio delle Province inutili)”. Un impegno chiaro? Niente affatto.
L’espressione “Province inutili”, infatti, è volutamente – e sgradevolmente - ambigua, per compiacere un alleato determinante come la Lega. Tanto che è lo stesso ministro leghista Calderoli a darsi pena di fornire l’interpretazione autentica di quel programma: “Nel programma del Governo c’è l’abolizione delle Province inutili e non delle inutili Province…”. Vale a dire: “aboliamo le Province, ma solo quelle che sono inutili”, e non - come potevano pensare gli elettori - “aboliamo tutte le Province, perché sono inutili”.

Nella mente dei leghisti, probabilmente, le Province “inutili” sono quelle del Sud.
Peccato che dall’analisi sulla finanza degli enti locali condotta da Dexia-Crediop nel 2008 (su dati del quinquennio precedente) emerga che le Province del Sud sono le meno costose (!), comportando in media un onere di 143,21 euro per ogni cittadino. Con quelle del Nord si sale ad oltre 164 euro (164,34 il Nord Ovest e 164,30 il Nord Est), per toccare il vertice dei costi con le Province del Centro: 178,49.
Possiamo dare giudizi diversi sulla “efficienza” delle diverse amministrazioni (al Sud di solito non è eccellente). Resta però il fatto che un parametro di efficienza dovrebbe essere la capacità di ottimizzare le risorse disponibili, e quindi ridurre i costi…
(Se di questa indagine vogliamo dare una lettura di colore politico, anziché geografica, le Province più costose sono quelle delle Regioni “rosse”: Basilicata, Toscana, Marche, Umbria, Liguria, nonché – Regioni che nel periodo oggetto dell’indagine erano controllate dalla sinistra – Friuli-Venezia Giulia e Piemonte).

Una posizione del Pdl, dunque, appiattita sui diktat leghisti. Anche se bisogna aggiungere che nel partito di Berlusconi è montata una qualche insofferenza verso questa linea, come attestano i 43 astenuti alla votazione della Camera.

Quanto al Pd, a pag.13 del programma per le elezioni del 2008 il punto A 9 recita: “Eliminazione delle Province là dove si costituiscono le Città Metropolitane”. Molto chiari (a 40 Presidenti di Provincia non si rinuncia a cuor leggero).

Va detto che anche nel Pd esiste una minoranza favorevole all’abolizione delle Province. Pare che la decisione di astenersi (sapendo che ciò avrebbe consentito di affossare la proposta) sia maturata come mediazione tra chi difende apertamente gli enti provinciali – e voleva votare esplicitamente contro la proposta di abolizione – e chi invece quegli enti li vuole abolire (Letta, Fioroni, Gasbarra). Lo stesso Veltroni, candidato premier del 2008, si è spostato sul versante ‘abolizionista’ (anzi, in una lettera pubblicata su la Repubblica il 9 luglio, ha sostenuto che già nel 2008 era di questa opinione, ma al momento della redazione del programma trovò vaste resistenze nel partito).

Perché bisogna abolire le Province

L’argomento del rispetto delle promesse elettorali è importante, ma non decisivo.

Anche nel merito della questione, l’abolizione delle Province è ormai diventata indifferibile.

Innanzitutto, il risparmio che ne verrebbe è notevole.

Non si tratta, ovviamente, di eliminare l’intero ammontare dei costi sostenuti annualmente per il funzionamento di questi enti, pari a circa 10 miliardi. Il costo del personale tecnico e amministrativo, infatti, non può essere semplicemente depennato: i dipendenti dovrebbero essere trasferiti ad altro ente (e ci sarebbero anzi alcuni costi iniziali per questa riallocazione). Rimarrebbero, inoltre, le spese sostenute per molte delle funzioni attualmente attribuite alle Province, anche qualora tali funzioni fossero attribuite a Regioni o Comuni.

I risparmi effettivi, in ogni caso, sono molto rilevanti: uno studio dell’Istituto Bruno Leoni li calcola in circa due miliardi di euro l’anno.

Tali risparmi, peraltro, dovrebbero progressivamente crescere: col trasferimento di personale e competenze agli altri enti locali, col tempo si creerebbero sinergie di gestione (con conseguente necessità di minore personale, reperimento interno delle competenze, riduzione del turn over) che consentirebbero un abbattimento dei costi a parità di servizi resi.

Chi si è incaricato di difendere le Province apertamente, al di là del voto, è il Pd.

Se infatti dal Pdl proviene solo un silenzio imbarazzato, e dalla Lega il tentativo di spostare l’obiettivo (“riduciamo i parlamentari”), il segretario del Pd Bersani ha dichiarato: “Non ci vengano a fare tirate demagogiche. La nostra proposta è di ridurre e accorpare le Province, perché bisogna dire anche come si fa. Va detto anche che alcune cose nelle Province sono utili, come i permessi per l’urbanistica” (Bersani)

Ora: le tirate demagogiche sembrano provenire proprio dal Pd, il quale – come hanno lamentato anche voci interne - accusa il Governo di fare una politica di rigore e al tempo stesso si oppone a qualsiasi ipotesi di tagli alle spese.

Quanto alla necessità di “dire come si fa”, l’art.9 della proposta bocciata era abbastanza chiaro: “Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, si provvede, con legge dello Stato, a regolare il passaggio delle funzioni delle Province alle Regioni o ai Comuni, nonché quello dei beni di proprietà e del personale dipendente delle Province medesime ai citati enti”.
In caso di approvazione della legge costituzionale, dunque, non si sarebbe verificato nessun “vuoto legislativo” (come improvvidamente dichiarato dal capogruppo alla Camera del Pd, Franceschini), visto che l’abolizione delle Province sarebbe divenuta effettiva solo con l’approvazione delle disposizioni attuative (legge ordinaria e regolamenti).

Infine, quanto alle “cose utili” fatte dalle Province, bisogna ribadire che: nessuno ha mai pensato di abolire le funzioni attualmente attribuite alle Province, ma solo di trasferirle ad altri enti locali con costi minori; queste funzioni sono poche e residuali, e quindi non giustificano un carrozzone apposito per gestirle.
Gli "accorpamenti" proposti dal Pd non servono (casomai bisogna accorpare i piccoli Comuni); serve semplicemente l'abolizione.

Insomma: il risparmio ottenibile con l’abolizione delle Province non significa taglio di servizi o prestazioni, ma taglio di sprechi e spese inutili, eliminando un livello di governo ormai obsoleto le cui competenze possono essere assorbite da altri livelli (Comuni e Regioni).

Anche perché non sembra che un Paese moderno abbia bisogno di cinque livelli di governo: Stato centrale, Regioni, Province, Città metropolitane (previste dall’ultima riforma costituzionale), Comuni.
Senza contare i livelli non previsti dalla Costituzione, ma da Statuti e leggi ordinarie:  Circoscrizioni o Municipî (per le grandi città), Comunità montane, Comprensorî (nelle Province autonome), ecc.

Troppi livelli di governo significano non solo sprechi di risorse, ma anche pastoie burocratiche, che riducono l'efficienza della pubblica amministrazione (con competenze sovrapposte e iter amministrativi infiniti), rendono la vita difficile agli attori economici, rallentano lo sviluppo.

Riteniamo la Provincia un livello di governo obsoleto non solo alla luce dell’analisi costi-benefici, ma anche in una prospettiva storico-istituzionale.

Innanzitutto, le Province non appartengono – a differenza dei Comuni - alla tradizione di governo italiana. Non esisteva nessuna ripartizione amministrativa simile negli Stati pre-unitarî, con l’eccezione del Piemonte. Il quale, a sua volta, era uno Stato influenzato dalla Francia.
Le Province sabaude e – poi - dell’Italia unitaria, infatti, possono essere considerate l’equivalente dei “dipartimenti” francesi costituiti dopo la Rivoluzione, che costituivano una divisione amministrativa dello Stato centrale, prima ancora che una comunità territoriale, e che quindi erano espressione di una cultura amministrativa - quella della République française - fortemente accentratrice.
Al vertici delle Province italiane, fino al 1889, era posto il Prefetto, organo non elettivo ma di nomina regia.

Tra fine Ottocento e inizio Novecento iniziò a maturare una nuova visione del decentramento.

Innanzitutto, si diffuse la visione di un decentramento non solo amministrativo, ma anche politico: gli enti locali non dovevano essere organi dello Stato centrale, ma comunità territoriali con ampia autonomia ed organi elettivi di autogoverno.
Un primo sviluppo di questa nuova concezione si ebbe con la legge comunale e provinciale del 1915, abolita ben presto dal fascismo.

In secondo luogo, per rendere più forte il decentramento politico, il pensiero politico cattolico (Toniolo, Sturzo) iniziò a proporre il modello del regionalismo, che si imporrà solo con la nuova Costituzione del 1948.

Si badi bene: in sede di Costituente, la Commissione dei 75 aveva ritenuto le Province superate dall’avvento delle Regioni. Per cui le Province, nel testo della Commissione, non erano più enti locali, ma solo “circoscrizioni amministrative di decentramento statale e regionale”.
L’Assemblea provvide però a reinserire la Provincia tra gli enti locali, in considerazione del fatto che le Regioni erano un ente del tutto nuovo, la cui organizzazione avrebbe richiesto alcuni anni.

Per istituire concretamente le Regioni si dovette attendere più del previsto, fino al 1970. Si ripropose allora la questione dell’abolizione delle Province. Ma il parlamento decise di attendere il “consolidamento” delle Regioni…

Le Province non le ha volute toccare più nessuno, perché sono strumento di potere e di clientela troppo ghiotto. Anzi, continuano a proliferare: dalle 73 del 1920 (anno in cui fu completata l’integrità territoriale dello Stato italiano) sono arrivate, come visto, alle 110 di oggi! E molte altre bussano alla porta…

Un ultimo dubbio: siamo sicuri che il “federalismo” in corso di approvazione, modellato con il consenso delle stesse forze politiche che difendono le Province, non si riveli una nuova macchina mangiasoldi?
Magari la discussione ancora in corso potrebbe essere utile per dare una sterzata positiva. Compresa l'abolizione delle Province.

P.S.: Il Presidente della Regione Sicilia, Lombardo (Terzo Polo - Mpa), ha detto che provvederà autonomamente ad abolire le province siciliane. Può farlo perché la Sicilia è a statuto speciale. Vedremo se saprà convincere gli alleati del Pd.



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