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Formazione - Dagli Atenei
Progetto Erasmus: un'ottima esperienza... che si può migliorare Stampa E-mail
Pregi e difetti del programma europeo per gli studi universitari all'estero
      Scritto da Simone Arseni
23/08/10

Da più di vent’anni il progetto Erasmus è entrato a far parte del bagaglio di esperienze di un numero crescente di studenti europei. Nato nel 1987, anno in cui fu approvato dalla Commissione Europea (col decisivo sostegno dell'allora presidente francese François Mitterrand), l’Erasmus offre ai giovani possibilità di effettuare un periodo di studi all’estero. Il progetto ha riscosso un successo progressivo: secondo i dati dell’Unione Europea, gli studenti italiani che vi aderiscono sono passati da 220 nell’anno accademico 1987/88 a 12.421 nel corso del 1999/2000, fino ad arrivare a ben 17.197 durante il 2006/2007.
Queste cifre sembrano destinate ad aumentare ancora.

Il successo è legato a diversi elementi, fra cui rientra il fascino di un periodo di studio all’estero, la possibilità di imparare e migliorare una lingua straniera, l’occasione di conoscere persone nuove, di creare legami duraturi e, perché no, anche la prospettiva di affiancare al lavoro universitario un soggiorno di svago e divertimenti. L’idea degli ideatori era di contribuire a creare una coscienza europea tra le nuove generazioni, stimolando la mobilità dei giovani e assottigliando le barriere culturali e linguistiche esistenti.

Tuttavia, vi sono alcuni aspetti del progetto piuttosto incoerenti, e gli atenei di tutta Europa non possono trascurarli.
Mi riferisco in particolare all’assenza di programmi di studio uniformi tra le facoltà dei diversi paesi, e alla mancanza di un unico criterio di votazione in sede d’esame.

Ad oggi non sembra che tali differenze possano risolversi in breve tempo. Le conseguenze sono numerose e ricadono spesso sugli studenti più volenterosi. Molti di loro, infatti, incontrano numerose difficoltà nel farsi riconoscere come validi esami che pure interessano e approfondiscono il loro percorso formativo. A volte capita di non riuscire a trovare il numero di esami necessari a soddisfare le aspettative della propria facoltà (per molti atenei la cifra minima è di due esami a semestre).

Inoltre, simili differenze impongono una mole di lavoro sostanziosa anche agli uffici delle università che si occupano del progetto, i quali devono convertire i voti di tutti gli esami fatti dagli studenti Erasmus nel criterio italiano e si trovano a fare da ponte tra studenti e professori nell’approvazione dei programmi di ogni singolo esame.

Alcuni esempi sul criterio di valutazione. Nelle università francesi parte da 9 (considerato sufficiente, il nostro 18, per intenderci) e arriva fino a un massimo di 16 (il nostro 30). In Spagna, invece, la scala dei voti parte da un minimo di 5 e arriva fino a 10. In Portogallo la votazione più bassa è 10, quella più alta è 20, mentre in Germania il voto minimo è 4, quello massimo è 1 (simile in Austria). Ci sono poi non poche università (Rep. Ceca e Svezia) che hanno preferito mantenere un voto espresso secondo la gradazione ripartita in “ Fail”, “Good / Pass”, “Very good / pass with distinction”. Il sistema anglosassone, infine, esprime le votazioni in termini percentuali: In Inghilterra e in Irlanda un voto inferiore rispettivamente al 35/40% non permette di passare l’esame, mentre un voto superiore al 70% corrisponde alla votazione massima.

Lo stesso discorso può essere applicato ai programmi degli esami, che raramente si equivalgono da paese a paese.
Una simile discrepanza costa molto lavoro non solo agli studenti (che spesso devono integrare il proprio esame con materiali corposi forniti arbitrariamente dai docenti, senza una regola generale cui riferirsi), ma anche alle segreterie e agli Uffici addetti al progetto, come ho spiegato sopra.

Le profonde divisioni che l’Unione Europea affronta da più di sessant’ anni sul piano politico e dell'integrazione sembrano riflettersi anche nel settore della formazione e dello scambio culturale tra i giovani, sebbene il successo del progetto Erasmus dimostri la voglia e il desiderio di aprirsi allo scambio da parte delle nuove generazioni.

Arrivare ad avere programmi di studio uniformi e criteri di valutazione europei è un obiettivo senz’altro ambizioso, ma che darebbe nuovo slancio e coerenza a un progetto davvero interessante e formativo.



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