*architetto
Il Santo Padre Benedetto XVI ci manifesta nella sua recente enciclica, “Caritas in Veritate”, che sia l'economia sia la finanza sono in crisi, in quanto, fondamentalmente, hanno smarrito quella vitale radice sociale ed umana dell’economia civile articolatasi nella storia e, di conseguenza, del suo sviluppo futuro. Una economia dove regna sempre più il potere privato, che sta stracciando quello pubblico, sempre più indebitato e depauperato. Fra i settori ed i fenomeni sociali, vittime di questa crisi, c'è l'architettura e la sua eredità storico-culturale, dato che la pressione commerciale, per incrementare il proprio profitto, spinge a costruzioni esteticamente sempre più bizzarre, eccentriche e stravaganti.
Prima che si raggiungesse l’attuale momento di globalizzazione e privatizzazione, costruzioni come quelli di matrice eccentrico-decostruttivista non sarebbero mai state edificate. Mentre nella storia gli edifici venivano realizzati a misura d’uomo, equanimi, prestigiosi - dall’arte classica fino al secolo scorso - oggi la seduzione del mercato impone, anche ad architetti qualificati ma poco coscienziosi, di ricorrere sempre più a progetti che non seguano più le norme geometriche delle nostre radici culturali, bensì che seguano capriccio e stravaganza.
Inoltre cresce una diffusa conoscenza incoerente con le arti visive in generale: oggi, si preferisce fare acquisti o abitare in una costruzione di volumetrie provocatorie ed eccentriche. Pertanto il traboccante potere privato investirà in modo maggiore su questa nuova richiesta crescente, unicamente per incrementare i propri guadagni e reinvestirli, su ulteriori opere affini (solo perché rendono maggior profitto di altre), ma tutto questo fino a quando?
Sarebbe pertanto opportuno ricominciare a tendere verso un’economia in funzione dell’uomo, riportando l’etica e la carità al centro del sistema del mercato e così anche riallacciarsi, civilmente, alle nostre radici architettoniche o comunque artistiche, culturali e tradizionali.
Ora analizziamo, insieme, come queste alterazioni hanno influenzato e potranno influenzare in futuro l'architettura sacra. Risulta, indiscutibile oggettivamente, che le più eccelse creazioni pittoriche, scultoree, architettoniche dell’umanità, siano sempre sbocciate come soluzioni congiunte felicemente al fervore religioso.
Il fervore religioso sboccia dalla inevitabilità di voler percepire e partecipare ad una creazione infinita, che si sottrae alla nostre capacità, a causa della sua immensa e regolata molteplicità.
Un’aspirazione religiosa consacra, inoltre, motivi di gioia e fermezza, in opposizione a visioni spaventose di privazione di senso spirituale nella vita, laddove, al contrario, si cerca, con una pertinacia mefistofelica, ad esempio, di persuadere la gente che le costruzioni contemporanee debbano trasgredire necessariamente quei valori etici ed estetici di importanza culturale e consolidata nei millenni.
Queste tendenze “artistiche”, disubbidienti e provocatorie, comunicano linguaggi che però non risultano affatto accomunabili con le aspettative, legate alla fiducia ed ai desideri dei nostri patrimoni di conoscenze e formazioni intellettuali, bensì trasmettitori di effetti disastrosi non solo sugli elementi di stile, che hanno nel tempo sapientemente costituito gli equilibri degli ambienti costruiti, ma in particolare sull’uomo, sulla sua visione geometrica, sia fuori, sia dentro di sé, quindi anche su chi vive e fruisce di tali ambienti. Ad esempio, oggi si parla molto di anti-architettura o di architettura decostruttivista: l’architettura da sempre si è congiunta felicemente al fervore religioso, come già ricordato, però come può congiungersi alla religione anche l’anti-architettura? Non dovrebbe questa ultima, per sillogismo, congiungersi solo all’anti-religione!?
Pertanto a motivo dei medesimi principi da cui questi “anti-architetti” vengono influenzati (per poi influenzarne futuri fruitori, committenti ed architetti) risulta, fuori dubbio, una scelta inconciliabile affidare proprio a loro la progettazione di un edificio sacro. La loro ineguagliabile strategia progettuale si riduce a segni mediocri ed inattesi, che facciano strappare alle forme disegnate una purchessia emozione, strutturata solidamente alle pulsioni della sfera sensoriale, in un’epoca in cui chiunque può immediatamente soddisfare le proprie pulsioni, in tempi sempre più rapidi, come con un semplice click del mouse.
Viceversa in ogni dove, nelle Sacre Scritture, viene ripetuto ed evidenziato che i luoghi di culto restano vincolati ad essere luoghi sacri per eccellenza, così come per il tempio, che deve presentarsi come un “prototipo celeste”. Citiamo ad esempio quando il Signore mostra a Mosè, sul monte Sinai, forme ed aspetto del santuario che dovrà costruirgli: “Essi mi faranno un santuario ed Io abiterò in mezzo a loro. Eseguirete ogni cosa secondo quanto ti mostrerò, secondo i1 modello della Dimora ed il modello di tutti i suoi arredi” (Es. 25, 8-9).
Sembrerebbe che troppi architetti contemporanei, conoscano bene questo od altri passi biblici che collegano la bellezza realizzata dall’uomo alla gloria di Dio, al fine di creare l’opposto, volutamente e scrupolosamente.
Se tutto ciò che è originario, splendido, cultuale, liturgico, quindi inviolabile, si procede a confutarlo, a renderlo insignificante, cosa resta più da edificare? Questa domanda viene continuamente posta, come da me, anche dalla convinzione di un numero smisurato fedeli (nonostante Cristo lo incontriamo nell’Amore, piuttosto che negli edifici) con tutte le conseguenze che se ne possono dedurre. Infatti, entrando nelle chiese edificate negli ultimi tempi, o non sono presenti navate, o cappelle per la preghiera, o idonei spazi di meditazione intorno a quelli per la confessione, o comunque non sussistono adatte disposizioni, di questi ed altri elementi, nelle occorrenze dei devoti singoli e delle comunità.
Anche il profano avverte questi sensi di incompiutezza, soltanto nell’osservare le attuali forme d’Arte ed Architettura Sacra contemporanee e, vagliato che queste percezioni vanno oggettivamente sempre più rimpinguandosi di riflessioni popolari, non ho ritenuto opportuno continuarle a rimuovere, bensì riproporne alcune mie personali in questo scritto, per addurle a nuove ragioni e spunti per future argomentazioni, con monito crescente, inflessibile e valido ancor più oggi di ieri, dato che si tratta di una trascuratezza che va sempre più allargandosi e che noi architetti classicisti, da sempre, speriamo di ridurre.
Nella scelta ingenua di edificare ciò che non edifica, ovvero ciò che è l’opposto dell’armonia incrollabile fra sacro ed architettura, hanno concorso, senza specifica competenza in merito, quasi sempre le giunte dei comuni proprietari degli spazi sacri e, talvolta, anche una, seppur ridotta, parte delle dirigenze ecclesiali, seppure giustificabili dal momento che il loro principale e sacrosanto intento risponde ad una corretta politica ecclesiastica, che realizzasse velocemente le chiese nei luoghi periferici, laddove vi erano carenze assolute, laddove non erano state previste nemmeno dai piani regolatori! Il risultato: mentre per motivi di tempo e di profonde carenze molte chiese, soprattutto nelle periferie, sono state e si stanno tuttora realizzando, molta gente oggi desidera di non partecipare alle funzioni o attività religiose in costruzioni sacre che, seppur recenti, trasmettono inquietudine piuttosto che pace e serenità.
Veniamo subito ad un esempio specifico, per ribadire, con un dato di fatto, quanto sinora detto. Gli unici ed ultimi edifici sacri dell’era moderna, come esempi di classicità degni di nota, nella modernità, restano quelli di pura matrice architettonica rispondente al Razionalismo Italiano. Uno degli esempi emblematici è la chiesa del S.S. Salvatore (nella foto - 1947-48, Arch. Enrico Del Debbio), vera opera architettonica realizzata appositamente per l’isola di Pantelleria.
Gioiello architettonico, sovrastato da una cuspide campanaria richiamante la cultura artistica locale, era la chiesa italiana che affacciava in modo più prossimo alla costa mediterranea meridionale (la costa tunisina risulta persino più vicina di quella italiana), volutamente orientata architettonicamente verso il mare, a fungere da approdo ed accoglienza, come porta della cristianità europea, aperta all'accoglienza dell'umanità mediterranea, mostrando il senso cattolico autentico, universale, lungo quel percorso terrestre più calcato nei secoli e diretto alla Terra Santa. Ebbene questo gioiello architettonico è stato fatto addirittura demolire per sostituirlo, per costruire al suo posto un’altra chiesa, certamente diversa, certamente meritevole di integrarsi nell’ammasso dell’attuale civiltà delle immagini. In terra siciliana, un tempo, le chiese venivano demolite o a causa di invasioni islamiche, oppure quando di queste restavano pochi ed instabili ruderi causati da terremoti. Il suo abbattimento è stato l’emblema del degrado e della confusione, citati precedentemente.
L’autore della chiesa abbattuta, l’architetto e professore Enrico Del Debbio, fra i più illustri dello scorso secolo, nel 2007 ha riscosso onori prominenti in una mostra grandiosa, dell’intero piano di ingresso alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma attraverso i materiali d’archivio (gran parte del Foro Italico fra cui il Palazzo Littorio, attuale Ministero degli Esteri, la Facoltà di Architettura di Roma a Valle Giulia, e così via dicendo): una rievocazione dei suoi premi, dei suoi riconoscimenti e delle sue opere, oggi sono studiate nelle più eccelse università del mondo, opere necessarie alla storia.
Se oggi c’è ancora chi si arroga di giudicare la Chiesa, per aver smarrito, fra il IV ed il V secolo, resti di arte pagana, come verranno giudicati coloro che esaltano il neo-paganesimo di oggi, ad esempio annuendo alla demolizione della chiesa del S.S. Salvatore di Del Debbio, di tanta e rara rilevanza progettuale, di tanta armonia inimitabile fra classicità e modernità, di tanta armonia immortale fra sacralità ed architettura?
Infatti, anche i più eletti critici, esperti, storici d’arte, che non siano veri credenti, possono facilmente venir sedotti da inique visioni artistiche, ovvero sacre solo provocatoriamente, cedendo a scappatoie contemporanee come quelle dell’architettura decostruttivista (come può una chiesa mettersi in mostra come un edificio decostruttivista in caduta libera?!? Può il tempio di Dio presentarsi deformato, come qualcosa di instabile, vacillante, perennemente malfermo? Che la Chiesa sia instabile è fuori dubbio (è dovuto dal peccato originale, connaturato nel genere umano), ma si intende quella Chiesa con la C maiuscola, quella Chiesa intesa come Popolo dei Figli Dio, ovvero della famiglia dei battezzati in Gesù Cristo, non della chiesa come fabbricato! Quali effetti evangelici rassicuranti potrebbe mai cogliere l’uomo (già instabile di propria natura) da una Casa del Signore che si mostra con un’architettura instabile, malferma, insicura, provvisoria, traballante?
Inoltre, le arti sacre sono vincolate dal discernere le funzioni liturgiche, in ogni loro smisurata sostanza. L’architettura sacra, appunto, nelle proprie espressioni multiformi, deve permanere in una correlazione incessante con la magnificenza di Dio e perciò deve sostenere ed avvolgere la liturgia, per dirigere, alla Sua magnificenza incommensurabile, i fedeli, fruitori di quegli spazi architettonici. Pertanto, con liturgia ed architettura non possono sussistere inconciliabilità e/o contrapposizione. Allora se è necessario che vi siano linearità e persistenze teologicostoriche nei cerimoniali liturgici, in queste stesse linearità e persistenze siamo condotti a rintracciare l’autentico linguaggio, riconoscibile e privo di contraddizioni, anche nell’architettura sacra (oltre, ovviamente, in tutte le arti sacre non qui citate, come pittura, scultura, musica e così via dicendo).
Ecco perché la visibilità della vera architettura del cristianesimo non ha mai disgiunto, sia grazia, sia bellezza, dallo studio approfondito della Verità, rimanendo così custode a difesa dell’Annuncio di Dio, ovvero che, con Suo Figlio Gesù, da invisibile si è fatto visibile.
“[...] La mirabile partitura del creato ha bisogno però di un ermeneuta, di un interprete che comprenda tutto questo e sappia riconoscerlo, goderne, comunicarlo, viverlo [...]” (Mons. Marco Frisina, 2009).
Al contrario, ai nostri giorni, l’uomo troppo spesso pretende la sua indipendenza da Dio, autogestendosi fino a compararsi a Dio, in modo che ogni forma di arte, malgrado riproduca grazia e bellezza, le restituisce fini a se stesse, staccate da sensazioni e percezioni di fede, speranza ed amore nell’Assoluto.
Finora si è rimasti paralizzati, davanti ad una Chiesa così tragicamente avvilita dalla follia tormentosa di quei relitti di ritagli iconografici, inabissatisi nelle voragini delle figure di un ultimo e disincarnato espressionismo, a cui l’immaginario collettivo ha infine spalancato i portali, permettendo e divorando di tutto.
Finora si è rimasti paralizzati davanti ad una Chiesa così tragicamente calpestata, demoralizzata, degradata, nell’inconsapevolezza dell’importanza delle immagini, paradossalmente nell’era che si sta vivendo, appunto delle “immagini”, ovvero di tutte le immagini esprimibili dalla natura umana, da chiunque e dovunque (non si dimentichi che ogni mente umana, prima di cominciare ad elaborare le prime idee che saranno la nostra primaria struttura mentale, ha necessariamente già dovuto elaborare delle prime immagini: ovvero le nostre prime idee sono state generate dopo le trasformazioni interpretative che si è estratto delle nostre prime immagini).
In conclusione, oggi, la crisi generale dell’architettura è pertanto palesata particolarmente dalla qualità dell’architettura sacra, che ne è il sintomo e l’emblema storico più evidente ed oggettivo (anche esternamente alle funzioni liturgiche, quindi anche per i non credenti) della stessa crisi. Malgrado ciò, non perdiamo mai la speranza, se si considera che il termine “crisi” è sinonimico di cambiamento, nel senso più relativo all’etimologia greca (Ippocrate, in relazione alle patologie, enunciò il termine crisi come un “effetto di scollinamento” da un decadimento). Potrà allora l’architettura sacra ritrovare la strada della propria “conversione”?
Non resta che riflettere ed operare, per reagire ad un simile decadimento, analizzando l’opportunità per intraprendere un nuovo viaggio formativo, che illumini le coscienze, lungo il cammino critico e poi risolutivo di ogni crisi decisionale, organizzativa, accademica, progettuale. Dunque non si può continuare a schivare quei progettisti in grado di riproporre, in maniera più diffusa ed incisiva, una rinnovata armonizzazione di stilemi classici da riportare alla luce, per ritrovarci fra le geometrie di tracciati regolatori e sezioni auree, in relazione al secolare e sempre vincente rapporto fra sacro ed architettura, che è divenuto nel tempo ed è allo stesso tempo, anche sacralità dell’architettura.
Per ora è bene rispondere adeguatamente, con il massimo controllo nell’uso della ragion pratica-decisionale, al fine di non dar licenza a quei progetti che negano le nostre assolute certezze culturali, certezze che per due millenni le nostre radici cristiane ci hanno rivelato e tramandato, attraverso una cultura popolare che, pur non sapendo leggere, sapeva, certamente meglio di oggi, percepire e comprendere, sia l’ascolto della Parola di Dio, sia la sacralità del Suo Linguaggio, tanto nei luoghi, quanto nelle immagini.