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Economia - Notizie e Commenti
Unipol: la condanna di Bertinotti Stampa E-mail
"I DS non hanno fatto i conti con la parte negativa della storia del movimento comunista"
      Scritto da Roberto Zuccolini a colloquio con Fausto Bertinotti
04/01/06

bertinotti_parla.jpg Pubblichiamo l'intervista apparsa sul Corriere della sera del 4-1-2006


 Fausto Bertinotti, ha letto le intercettazioni delle telefonate tra Fassino e Consorte sulla scalata di Unipol alla Bnl?
 «Ho condannato l'uso delle intercettazioni anche quando si riferivano alle vicende di Bankitalia. Ma quando certe cose vengono rivelate diventano un fenomeno di costume su cui riflettere».
 
 
Che cosa vuole dire?
 «Che quei testi sono irrilevanti dal punto di vista dei comportamenti personali, ma politicamente molto pesanti. In altre parole, proprio perché credo che i dirigenti Ds siano persone integre, il quadro che emerge da quelle intercettazioni è ancora più grave».
 
 
Quali errori avrebbero commesso Fassino e D'Alema?
 «Non è mia intenzione dire che avevo ragione io quando mettevo in guardia dalla scalata alle banche. Mi auguro però che ora si apra una discussione a tutto campo all'interno della sinistra. Perché in questi giorni abbiamo assistito alla caduta di un altro Muro».
 
 
Un altro Muro?
 «È l'idea che le cooperative siano buone in quanto cooperative. Vale a dire l'esistenza di situazioni economiche che, per la sola appartenenza ad un campo politico, garantiscono la bontà del fine che perseguono».
 
 
I Ds hanno sempre parlato di «differenza» del movimento cooperativo.
 «Nell'89 i Ds hanno commesso il grave errore di cancellare, con un semplice tratto di penna, l'intera storia del movimento comunista. Con la conseguenza di non fare i conti con la parte positiva e negativa di quella storia. Una sorta di miope scordammoce o' passato ».
 
 
Con quali conseguenze?
 «Si è evitato di condannare ciò che andava condannato, ereditando quindi dal vecchio Pci, in modo assolutamente acritico, anche il sistema di alleanze con le cooperative. Non ci si è interrogati sul fatto che nel frattempo erano diventate vere e proprie imprese».
 
 
E magari un giorno si è scoperto che volevano comprarsi una banca.
 «Il secondo errore è proprio questo: avere assecondato quelle operazioni senza chiedersi di che natura fossero. Non si può assumere l'innovazione tout court come bandiera politica».
 
 
È una critica simile a quella espressa nei confronti della Cina comunista e capitalista durante la sua visita a dicembre.
 «Certo. Credo che le cooperative diventate impresa siano state trattate dai Ds con la stessa filosofia di Deng Xiaoping quando diceva che l'importante non è sapere se il gatto sia bianco o nero ma se riesce a prendere i topi. È pericolosissima l'idea che la politica diventi pesante solo attraverso un'operazione di supplenza, in questo caso offerta dal supporto economico delle coop».
 
 
Non è in qualche modo accettare il gioco degli altri? Come dire: anche noi abbiamo i nostri «poteri forti»?
 «Questa è la madre di tutti gli errori. Non si può pensare di andare à la guerre comme à la guerre usando le stesse armi degli altri. In questo modo si ereditano dal Pci solo alcune parti negative, la mentalità che ieri giustificava i vari Armellini e oggi le cooperative solo perché compagni di strada. Definendoli non per quello che fanno, ma per l'aiuto che ti danno».
 
 
Come giudica la strategia dei Ds?
 «Sono incerti fra due linee, entrambe negative. La prima è quella dell'arrocco: è la vecchia sindrome della congiura, del nemico "esterno". L'altra è affermare che nelle coop c'erano alcune "mele marce" da eliminare per poi continuare tutto come prima. Sono visioni miopi, minimaliste. Occorre invece chiedersi perché tutto ciò è accaduto. I Ds abbiano il coraggio di aprire una discussione di fondo: da questa storia non si esce con l'istinto di conservazione, ma con una discussione dolorosa».
 
 
Quella sull'anima delle cooperative?
 «È arrivato il momento di discuterne seriamente. Le cooperative sono entrate ormai da tempo nel mondo produttivo e finanziario: in che cosa si differenziano dalle altre imprese capitalistiche? E se davvero arrivassero a comprarsi una banca come sarebbe diversa dalle altre? No, non hanno più gli anticorpi dell'originario movimento cooperativo, l'attenzione alla socialità, ai servizi, alla partecipazione. E, se sono uguali alle altre imprese, possono anche correre gli stessi rischi di Cirio e Parmalat. Mi dispiace dirlo: hanno ormai assunto gli artigli della mentalità mercantilista».

 
 Quali riflessi avrà la vicenda Unipol sulla campagna elettorale dell'Unione?
 «Credo sempre che dal male possa venire il bene, cioè un cambiamento. Ciò però può avvenire solo con il coraggio di rimettersi in discussione. Altrimenti ci si esporrà a rischi seri. Temo l'onda terribile del "sono tutti uguali". Siccome è facile che si affermi questo pensiero occorre subito avviare una grande operazione intellettuale. Senza minimizzare, senza stare sempre a giustificare».



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