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L'eccezione italiana Stampa E-mail
Il nostro Paese è, per molti versi, un'eccezione sociale e culturale. Buona o cattiva?
      Scritto da Giuliano Ferrara
18/07/06
Ultimo Aggiornamento: 09/10/06

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Un vecchio male italiano è il provincialismo, l’idea che siamo sempre un passo indietro rispetto ai Paesi “avanzati”. Un’icona di questo provincialismo è Giorgio Bocca, titolare di una storica rubrica su L‘Espresso: L’Antitaliano. La pensa esattamente al contrario Giuliano Ferrara, titolare su Panorama della rubrica L’Arcitaliano, e autore dell’articolo di cui vi riproponiamo alcuni brani (apparso su Il Foglio del 4-2-2006): non sarà che quanti alimentano il provincialismo lo fanno ad arte, in modo un po’ ipocrita e altalenante, solo quando conviene e solo su certi temi? Non sarà che a volte siamo noi Italiani a poter dettare un esempio, anche se non si tratta di mondiali di calcio?
Papa Benedetto XVI a Valencia, il 9 luglio 2006, durante l’Incontro mondiale delle famiglie, ha detto che “in ogni parte del mondo gli Italiani sono stati sempre stimati per il loro forte legame alla famiglia e ai suoi valori. Auspico che questo patrimonio spirituale, morale e sociale (…) possa essere difeso anche di fronte alle sfide dell'epoca attuale”.
Ma veniamo all’articolo di Ferrara (le evidenziazioni in grassetto sono nostre).

(...)

[L’Italia è] un posto simpatico dove a volte succede l’impensabile, dove in tre su quattro rispediscono al mittente il referendum contro la legge 40, dove la discussione intorno all’aborto si è trasformata da gioco di società in contraddittorio nazionale, dove (secondo quel famoso rapporto Eurostat di fine 2003, che spogliava nudo il mostro europeo, l’antisemitismo di sinistra) l’Italia arriva ultima tra gli stati che hanno paura di Israele e teme invece l’Iran, e non mette al primo posto gli Stati Uniti tra i paesi che minacciano la pace nel mondo (a differenza della Francia e dell’Inghilterra).

Un’Italia che si specchia al contrario nell’ultimo libro di Umberto Eco, “A passo di gambero”, e nella preoccupazione per la storia che, secondo Eco, sta tornando indietro. Ma se si guarda al rovescio, senza gli occhialetti nullisti in fondo così passati di moda, potrebbe essere vero il contrario. Esempio? L’aborto. “E’ bastato che l’altra metà andasse al potere e quello che era ridotto a mugugno amareggiato ha trovato la forza di esprimersi – ha detto Eco all’Espresso – Ed ecco che abbiamo un ministro della Sanità (nel precedente governo – ndr) che… pone in primo piano il problema di quattro pillole acquistate all’estero”. Parlare, discutere, litigare, non dare più per scontato un aborto come contraccezione scacciapensieri, secondo Eco è il passo del gambero per “quattro pillole”, ma è quel che accade e nessuno ci avrebbe scommesso.

Altro esempio? La legittima difesa, il tabaccaio che può perfino difendere quel che ha. Secondo Eco, “il trionfo del borghese piccolo piccolo”, quindi un paese che non applaude soltanto Thelma e Louise ma pensa che perfino il piccolo commerciante con la casetta in periferia abbia diritto a difendersi.

Poi c’è stata la formidabile battuta di Emma Bonino sulle libertà personali da comprare all’estero: “Ormai per farsi uno spinello bisogna andare in Olanda, per abortire con la Ru486 bisogna andare in Svezia, per i Pacs in Francia e per la procreazione assistita in Spagna. Viene da chiedersi se è rimasta la libertà di respirare”. E ha dimenticato il “diritto di morire”, magari a dodici anni su ricetta genitoriale, garantito in Olanda. Basta ribaltare la battuta, ed ecco che l’Italia è talmente in ritardo su quel modello di modernità da risultare disinvoltamente più avanti, culturalmente più attrezzata: un luogo dove ci si sta chiedendo cosa è giusto, e se ha un senso.

Un nuovo dato sull'aborto.

Ma c’è chi non se ne fa una ragione. Esce un sondaggio Eurispes, per esempio, molto strombazzato come prova di un’Italia graniticamente abortista. Ma, a leggerlo davvero, ci dice che il 78 per cento degli italiani non accetta (non accetta più) che una donna possa abortire perché così vuole. Ci dice che sono favorevoli all’aborto per cause economiche solo il 26,4 per cento degli italiani ed all’autodeterminazione della donna solo il 21,9 per cento. Un dato stupefacente, regolarmente rovesciato nei titoli letti in giro.

Scollamento della coscienza del paese dalla Chiesa? Un centrodestra provvisoriamente al potere che dà voce alle istanze reazionarie, fregandosene dell’umore popolare e delle manifestazioni che “esconodalsilenzio”? Anche sui Pacs regnano l’imbarazzo e l’equivoco. I big dell’Unione non ne parlano volentieri, men che mai Romano Prodi, perennemente in confusione se lo costringono ad affrontare l’argomento. E si capisce. Se due italiani su tre, stando al sondaggio Eurisko (su Repubblica del 17.09.05), reclamano la possibilità di estendere ai conviventi parte dei diritti finora riservati alle coppie sposate, meno di uno su tre (il 31 per cento del campione interpellato) rimane della stessa idea nel caso di unioni tra persone dello stesso sesso.

Ma se fosse l’Italia a fare scuola? Se quella che Eco e soci descrivono come la retroguardia oscurantista tra le nazioni dell’occidente illuminato, si rivelasse la più lungimirante di tutte? Il sospetto è lecito, a leggere un editoriale del New York Times di due domeniche fa, a firma di William Saletan: “E’ ora che il movimento abortista dichiari guerra all’aborto”, dice. E aggiunge che un politico liberal dovrebbe avere il coraggio di dire: “Io e anche i miei avversari siamo a favore della vita. Vogliamo evitare più aborti possibile. La differenza è che io ho fiducia nel fatto che le donne collaborino con me, il mio avversario no”.

Qui di Saletan non se ne vedono. In compenso c’è Monica Bellucci, che ancora si deve riprendere dalla sconfitta dei referendum e trova spazio sul quotidiano fondato da Antonio Gramsci per un vibrato j’accuse: “Saremo costretti a comprare le cellule staminali ed embrionali all’estero, guarderemo agli altri paesi che avanzano e noi restiamo indietro”. Può sempre, all’occorrenza, rivolgersi alla boutique del dottor Hwang, l’ex eroe della clonazione umana made in Corea che si è inventato tutto di sana pianta. Gridano all’attacco alla salute della donna anche gli ottantatré europarlamentari (non manca la Gruber) che ieri hanno denunciato le “ingerenze ecclesiastiche in Italia” per ostacolare l’adozione della pillola abortiva, definita “la forma meno intrusiva e traumatica di aborto”. Anche loro fuori tempo massimo. Dopo, cioè, che la Food and drugs administration americana e il New England Journal of Medicine hanno diffuso l’allarme sui gravissimi pericoli per la salute della donna imputabili alla pillola abortiva. E dopo che l’argine italiano alla Ru486 trova emuli anche altrove (in Australia, per esempio, una serie di associazioni femministe, sicuramente indenni da influenze papaline, la scorsa settimana hanno organizzato una manifestazione contro la kill-pill).

Ma l’eccezione Italia, ancora senza divorzio breve, senza pacs e con la legge 40, è davvero il passato che ritorna e il futuro che s’allontana, come sostiene Eco? Davvero gli appelli alla modernità, a quel “così fan tutti” che è stato la colonna sonora assordante nella campagna referendaria contro la legge 40 ha lasciato tre quarti dell’elettorato per via di una Chiesa oppressiva e di un centrodestra gaglioffo e autoritario?

L’inadeguatezza culturale.

Lo storico Ernesto Galli della Loggia pensa che “anche Eco ripropone la solita interpretazione del ritardo italiano come conseguenza di fattori storico-ideologici, la vecchia litania di chi ci ricorda che non abbiamo avuto la Riforma protestante e la Rivoluzione francese ma ci sono toccati invece la Chiesa cattolica, il fascismo e la Democrazia cristiana. L’Italia non sarebbe abbastanza moderna per questo. Ma il vero deficit di modernità lo scontiamo sulle istituzioni della vita collettiva, dalle ferrovie agli ospedali alle scuole, che non funzionano. Qualcosa cioè che dipende dal corporativismo italiano, scomodo da evocare perché coinvolge tutti, visto che ci sono dentro la sinistra, i sindacati, l’assistenzialismo”. E poi gli italiani, “su certi temi sensibili non credono all’astrattezza dei puri principi (laici o cattolici) mentre sanno ben applicare il principio di precauzione”. Sarebbe a dire che “sanno come una cosa proposta come buona possa produrre effetti contrari. Si difendono come possono dall’eterogenesi dei fini”.

(...)



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