Quanta parte del nostro vivere, quante emozioni, quanti significati si nascondono dietro una canzone, una melodia, un brano musicale che rimane aggrappato alla nostra memoria. Ci emozioniamo a volte solo nel risentire una breve sequenza di note. Quanta magia nella Musica! Eppure il mercato svolge oggi nei confronti del pubblico un’azione di stimolo al consumo indiscriminato che appare sempre più diffusa, persuasiva e spesso subdola, proprio avvalendosi dei mezzi offerti dal linguaggio musicale. E non solo interessi economici sono in stretta relazione con l’universo musicale, ma spesso veri e proprî obiettivi politici. Ciò è anche in parte comprensibile, se intendiamo la “musica” come lavoro intellettuale-artistico che d’altronde cerca di esprimere particolari idee, cerca di far riflettere, di raccontare.
È il caso di “VOTE FOR CHANGE”, una campagna portata avanti negli Stati Uniti nei tre mesi precedenti le elezioni presidenziali USA, e che ha visto alcuni tra i più grandi artisti della scena musicale americana (“the boss” Bruce Springsteen, James Taylor, Ben Harper, i R.E.M., i Pearl Jam, Dave Matthews Band, John Fogerty, e tanti altri) esibirsi in quello che possiamo definire il più politico dei tour musicali che siano stati organizzati negli ultimi anni. Obiettivo: combattere l’astensionismo tra i giovani americani in vista delle elezioni, ma soprattutto … mandare a casa Bush! Il ”Vote For Change Tour” si è aperto a Filadelfia con l’esibizione del suo paladino, Bruce Springsteen, da sempre poco incline a prender parte a ‘manifestazioni’ di tipo genericamente politico e questa volta più che mai convinto assertore della causa.
La musica potrebbe essere il collante per unire le nuove generazioni sotto una bandiera? Non lo so. Sta di fatto che da sempre è proprio un inno “musicale” che ha emotivamente, e non solo, contribuito a riunire tutte le genti sotto la propria “bandiera” nazionale. Come non poterci emozionare tutti quanti durante le note del nostro inno di Mameli? A tale proposito lo stesso Pat Cox, presidente del parlamento europeo, affermava giorni fa su un quotidiano francese come una delle sfide più importanti del processo europeo sia creare una consapevolezza e un senso di appartenenza all’Europa tra i cittadini dell’Unione. Punto di arrivo simbolico di ciò, per Cox, poteva essere il fatto di giungere ad un momento in cui, come per ogni inno nazionale, i cittadini europei si sentano emotivamente partecipi all’inno europeo. L’inno europeo (Inno alla gioia) è l’adattamento dell’ultimo movimento della Nona Sinfonia di Beethoven, ed è stato adottato dal Consiglio d’Europa nel 1972 e viene utilizzato dall’Unione europea dal 1986. Herbert von Karajan, uno dei più grandi direttori d’orchestra del Novecento, ha realizzato, su richiesta del Consiglio d’Europa, tre versioni strumentali per piano solo, fiati e orchestra sinfonica.
Oltreoceano come nel vecchio continente, insomma, la musica sembra conservare e sviluppare un’importanza che va al di là di quella esclusivamente artistica. Anche perché, forse, l’aspetto qualitativo della Musica che oggi viene venduta e comprata lascia davvero a desiderare; meglio pensare ad altro, allora! Sarebbe interessante invece, dal jazz al rap, dalla classica al rock duro, tentare di scoprire la musica “nascosta” ai più, di parlare con un taglio diverso da quella che invece conosciamo, e di capire che la musica, e l’arte, hanno un qualcosa di più della sola dimensione commerciale, come la nostra società sembra voler farci intendere. Nel frattempo noi aspettiamo, ahimè, San Remo…
“O amici, non questi suoni! Ma intoniamone altri più piacevoli, e più gioiosi. [..] L’uomo a cui la sorte benevola concesse di essere amico di un amico, chi ha ottenuto una donna leggiadra, unisca il suo giubilo al nostro!”, recita una parte del testo originale del nostro inno europeo.