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Diritti - Informazioni
La privacy è importante. Ma non diventi un alibi per negare altri diritti Stampa E-mail
Il diritto alla riservatezza deve essere bilanciato con i valori costituzionali
      Scritto da Giovanni Martino
26/01/09
Ultimo Aggiornamento: 25/03/13

L’importanza del diritto alla riservatezza (termine corrispondente all’inglese privacy) è abbastanza intuitiva ed evidente. Sarebbe però troppo rozzo interpretare la riservatezza come “diritto a che gli altri non si impiccino degli affari miei”. Esistono casi, infatti, in cui questo “diritto” entra in conflitto con altri diritti altrettanto – se non più – importanti; casi in cui, quindi, deve essere consentito di “impicciarsi” negli affari degli altri, altrimenti si corre il rischio che la privacy diventi un feticcio, l’alibi per negare diritti di altre persone o della collettività.

È bene dunque, anche con esempî concreti, ragionare sul significato e sull’estensione del diritto alla riservatezza.


Che cos'è la riservatezza, perché è importante che sia tutelata

La riservatezza non è tutelata nella nostra carta costituzionale come diritto in sé.

La Costituzione tutela direttamente, piuttosto, la riservatezza di alcune sfere della vita individuale, dette anche "libertà negative" (libertà che non hanno bisogno dell'intervento di terzi per essere realizzate): la libertà personale (non ammettendo ispezioni o perquisizioni personali, art.13), il domicilio (che è inviolabile, art.14), la corrispondenza e ogni altra forma di comunicazione (la cui segretezza è inviolabile, art.15).

La tutela della riservatezza, però, è uno strumento per tutelare indirettamente anche altri diritti e valori, che appartengono alla nostra cultura e trovano fondamento nella nostra Carta costituzionale.

In Italia si è arrivati per la prima volta nel 1975, con una sentenza della Corte di Cassazione, a definire una sfera della riservatezza meritevole di tutela in quanto tale, intesa come l'insieme di quelle "situazioni e vicende strettamente personali e familiari, le quali, anche se verificatesi fuori dal domicilio domestico, non hanno per i terzi un interesse socialmente apprezzabile".

Questa tutela è stata tradotta in legge in forma organica, per la prima volta, nel 1996. Oggi la riservatezza riceve una tutela legislativa specifica come “protezione dei dati personali” (così recita la rubrica del decreto legislativo 196/2003).

Quali sono gli altri diritti e valori costituzionali per la cui tutela è necessaria la protezione della riservatezza?

Ad esempio, la riservatezza contribuisce a garantire la tutela dei diritti inviolabili della persona “nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” (art. 2 Cost.).
Ognuno di noi vive in contesti sociali in cui cerca, ovviamente, di essere ben accetto. Ognuno tiene, giustamente, al suo buon nome, alla sua onorabilità.

Tutti, a ben guardare, hanno avuto idee o fatto scelte (anche rispettose della legge e della morale) che potrebbero compromettere la propria accettazione in uno di questi contesti.
Ebbene, spetta anzitutto alla coscienza della persona valutare se tenere celati alcuni dati personali, e se questa sia una forma di riservatezza che tradisce o meno il rapporto di fiducia con il prossimo. Non a caso, per fare un esempio concreto, il voto alle elezioni è segreto. Non perché qualcuno debba ‘vergognarsi’ delle sue preferenze politiche; ma per consentire che queste preferenze non offuschino il giudizio sulla personalità di una persona, che deve essere ben più complesso.

Più in generale, la legge offre una particolare tutela ai cosiddetti “dati sensibili”, cioè “i dati personali idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.

Per non parlare dei dati giudiziarî e di tutti quei dati personali che si riferiscono a debolezze o errori commessi: se fossero tutti resi pubblici, avremmo “tribunali delle coscienze” che passerebbero in rassegna ogni elemento della vita delle persone, e – anche per un certo gusto della morbosità che appartiene all’animo umano – si focalizzerebbero solo sugli aspetti più ‘piccanti’, trascurando magari i molti aspetti positivi.

La tutela dei nostri diritti inviolabili è tanto più importante quanto più sia forte il soggetto che potrebbe venire in possesso di quei dati: il nostro datore di lavoro (che può non assumere una donna che aspetta un bambino, o minacciare di licenziamento un dipendente che ha idee ritenute “non in linea”), il padrone di casa (che può non affittare un immobile a un invalido), lo Stato o una grande azienda (contro i quali è difficile avere una tutela legale ad armi pari).

La riservatezza è uno strumento per tutelare la “libertà personale” (art. 13 Cost.) anche al di là del divieto di perquisizioni ed ispezioni.

Si capisce facilmente che qualcuno, conoscendo alcuni nostri dati personali (i nostri recapiti, ad esempio), può invadere il nostro tempo (telefonate indesiderate), i nostri spazî (pubblicità non richiesta), ecc.
Per non parlare dei dati sensibili, giudiziarî o comunque imbarazzanti: qualcuno che conoscesse nostri ‘segreti’ (dati personali che non abbiamo interesse a divulgare) potrebbe utilizzare questa sua conoscenza come arma per ricattarci.

Abbiamo sin qui ricercato il fondamento della riservatezza degli individui.

La riservatezza delle imprese trova un fondamento diverso, negli articoli 41 e 42 della Costituzione, che proteggono la libera iniziativa economica privata e la proprietà privata.


Come proteggere i dati personali?

Possiamo individuare tre principî di massima che definiscono i limiti e le modalità con cui possono essere acquisiti e trattati i dati personali:

  • principio del consenso o – in alternativa - della legittimità: i dati personali possono essere utilizzati solo dai soggetti espressamente autorizzati dal titolare, a meno che non si tratti di dati acquisiti per l'adempimento di obblighi previsti dalla legge (attenzione però al rischio che i dati diffusi volontariamente in una situazione divengano di pubblico dominio e possano essere usati in situazioni diverse, sgradite al titolare: un problema di grande attualità sono i rischi per la privacy in internet);
  • principio di finalità: i dati personali possono essere utilizzati dai soggetti autorizzati solo per fini non incompatibili con quelli per i quali sono stati raccolti;
  • principio di necessità: i dati personali possono essere utilizzati dai soggetti autorizzati solo nella misura in cui sono necessarî per i fini per cui sono stati raccolti.

I limiti e le modalità nel trattamento dei dati personali dovrebbero appartenere innanzitutto al buon senso di ognuno. Ma poiché – come visto – la riservatezza ha un fondamento costituzionale, la legge (e in particolare il decreto legislativo 196 del 2003) offre una precisa tutela giuridica.


E se la riservatezza entra in conflitto con altri interessi, diritti, valori?

Come regolarsi quando entrano in conflitto interessi (tutelati anche come diritti) diversi?

In generale, abbiamo ricordato che spetta anzitutto alla coscienza della persona valutare se tenere celati alcuni dati personali, e se questa sia una forma di riservatezza che tradisce o meno il rapporto di fiducia con il prossimo. Ma dovrebbe essere ben chiaro che il modo migliore per instaurare un rapporto di vera fiducia è quello di essere il più possibile aperti e trasparenti, di offrire un’immagine di sé che corrisponda alla realtà.

Non bisogna assecondare curiosità morbose sui “segreti” delle persone? Giusto.
Ma bisogna valutare se alcuni dati riguardano aspetti marginali della persona, o se ne determinano in maniera decisiva l’identità; per cui tenerli segreti significherebbe offrire un’immagine falsata di sé, tradendo radicalmente il rapporto di fiducia.
Un esempio forse banale: un precedente penale per maltrattamenti di minori è un dato che probabilmente si può omettere nel presentare domanda d’iscrizione ad un circolo sportivo; ma non ai genitori di un bambino cui ci si offre come baby sitter...

La libera coscienza della persona deve sempre tener presente il principio di responsabilità: essere 'responsabili' significa saper rispondere delle proprie azioni, sapere che ogni nostro comportamento ha conseguenze su noi stessi e sulle persone che ci sono vicine. Per cui, anche se non siamo perfetti (anzi, proprio perché non siamo perfetti) è meglio evitare di produrre scheletri da conservare nell’armadio; è meglio evitare di fare scelte (magari chiamandole “esperienze” o “ragazzate”) di cui un domani ci potremmo pentire, cercando affannosamente di occultarle.
La “privacy” non può divenire l’alibi di una società sempre più infantile e deresponsabilizzata.

Più in dettaglio: quale criterî utilizzare per risolvere i conflitti tra riservatezza (in particolare quella relativa ai dati personali) e interessi diversi, non solo sul piano della coscienza personale, ma anche sul piano legale?


Il bilanciamento degli interessi, il fondamento costituzionale dei diritti

La parola ‘magica’ (anche se non offre soluzioni semplicistiche) è: “bilanciamento”. Bisogna di volta in volta bilanciare gli interessi che vengono in conflitto, per verificare (come ha chiarito la giurisprudenza) il “rango costituzionale” dei valori di cui questi interessi sono espressione.

Da una parte c'è il diritto alla riservatezza, il cui fondamento costituzionale diretto si può rinvenire - come abbiamo ricordato inizialmente - solo per alcune "libertà negative" (libertà personale, domicilio, corrrispondenza).
Per altre sfere della vita individuale, quelle cui afferiscono in generale i dati personali e su cui si fonda la riservatezza in quanto tale, il fondamento costituzionale è solo indiretto.

Sull'altro piatto della bilancia ci sono interessi che entrano in conflitto con la riservatezza e che sono espressione - anch'essi - diretta o indiretta di valori costituzionali.

Il bilanciamento spetta innanzitutto al legislatore nel disegnare le norme; quindi ai giudici nell’emanare le sentenze, alla pubblica amministrazione nella sua azione, infine ai cittadini e alle imprese chiamati a rispettare le norme (sempre senza dimenticare il buon senso in tutti quei casi che non hanno puntuale regolazione normativa).

Esempî concreti (con particolare riferimento alla riservatezza in quanto tale, cioè relativa ai dati personali)?

È evidente che il livello di riservatezza che si può avere con il proprio coniuge è molto inferiore a quello che si può avere con un estraneo. Chi si sposa ha scelto di legarsi per sempre ad un’altra persona, ha condizionato la propria vita (e questo condizionamento resterà indelebile anche in caso di separazione) sulla base della conoscenza che di quella persona aveva. Offrire un’immagine di sé edulcorata, dunque, tradisce profondamente questa fiducia.
Parlavamo di rango costituzionale? Se la riservatezza in quanto tale trova un fondamento costituzionale solo indiretto, il matrimonio trova tutela espressa nell’art. 29 della Costituzione. Articolo che protegge anche “l’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi”, che è evidentemente violata se i coniugi non affrontano il rapporto su un piano di pari sincerità.

Abbiamo in precedenza fatto l’esempio della candidata al ruolo di baby sitter con precedenti per maltrattamenti di minori. Anche se non c’è una norma specifica che obblighi i candidati a posti di lavoro a comunicare tutti i proprî dati personali (anche perché l’art. 35 Cost. tutela il lavoro), è altresì vero che “le parti (...) nella formazione del contratto devono comportarsi secondo buona fede” (art. 1337 c.c., fondato sulla libera iniziativa economica garantita dall’art.41 Cost.). In ogni caso, sono valori di rango superiore il diritto dei genitori di mantenere (proteggendoli) ed educare i proprî figli (art. 30 Cost.), nonché la protezione dell’infanzia (art. 31 Cost.).
Gli stessi valori costituzionali non dovrebbero consentire che un insegnante possa tener "riservate" abitudini private contrastanti con i principî di coscienza civile e moralità che - unitamente alle nozioni della sua materia - deve trasmettere ai suoi allievi.

O ancora: non può certamente sottrarsi all’obbligo di analisi che rivelino lo stato di salute (e l’eventuale uso di sostanze psicotrope) chi esercita professioni (chirurgo, pilota, autista, controllore di volo, ecc.) nelle quali può essere messa a rischio l’incolumità e la salute pubblica (tutelata dall’art. 32 Cost.).

Similmente, non può essere invocata la privacy per ricondurre in una sfera privata le questioni eticamente sensibili, come scorciatoia per ottenere liceità a pratiche come la fecondazione assistita, l'aborto, l'eutanasia.
La salute, nell'art. 32 Cost., rileva come "fondamentale diritto dell'individuo", quindi anche dei soggetti terzi coinvolti in scelte che non sono "private". La salute rileva anche come "interesse della collettività", per cui si impone sempre una regolamentazione pubblicistica di tali materie.
La Costituzione, infine, garantisce i "diritti inviolabili dell'uomo" (il primo dei quali, ovviamente, è la vita) anche "nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità", per cui non esistono zone franche rispetto a tale tutela. 
Non è questa la sede per affrontare gli altri argomenti che i fautori di una certa "cultura della morte" portano a sostegno delle loro tesi. Quel che ci preme qui sottolineare è che il dibattito sui valori costituzionali non può essere eluso invocando a sproposito la "riservatezza" (come purtroppo è avvenuto negli Stati Uniti, con la sentenza della Corte Suprema Roe vs. Wade del 1973 in materia d'aborto; al di là del fatto che si tratta di un ordinamento costituzionale diverso dal nostro, va rilevato che negli USA è sempre più contestata la legittimità di tale sentenza).

Un'altra materia di stringente attualità è quella della lotta all'evasione fiscale, in cui l'esigenza di riservatezza può venire in conflitto con l'esigenza di equità fiscale, quando questa è perseguita con strumenti come la "tracciabilità" dei pagamenti.
Di questa materia, e del bilanciamento tra le diverse esigenze, ci siamo occupati nell'ultima parte di un articolo sull'evasione fiscale.

Quanto ai dati riservati delle imprese, gli stessi articoli della Costituzione che ne tutelano indirettamente la riservatezza (41 e 42) pongono limiti espressi a questa tutela in ragione della necessità di garantire l’utilità (o la funzione) sociale di iniziativa economica e proprietà privata, nonché la sicurezza, la libertà, la dignità umana.

Non dimentichiamo, infine, che sono espressamente proibite le associazioni segrete (art. 18 Cost.).


La riservatezza dei dati personali personaggi pubblici e dei cittadini coinvolti in fatti di rilevanza pubblica

Un altro valore con cui può entrare in conflitto la riservatezza è il diritto di cronaca, espressione della libertà d’informazione protetta dall’art.21 della Costituzione. Poiché la libertà di espressione e di informazione è uno dei principî cardine di una democrazia, laddove vi sia un interesse pubblico a conoscere determinati fatti il diritto alla riservatezza dei dati personali (che non ha fondamento costituzionale diretto) recede.

Il nodo, come ben si capisce, è individuare quando un fatto – un dato personale – sia di “interesse pubblico”.

Se osserviamo l'atteggiamento dei mezzi d’informazione, notiamo che il loro metro di giudizio è abbastanza opportunista: sono molto invadenti con i comuni cittadini coinvolti in fatti di cronaca, e con alcune categorie di personaggi pubblici (soprattutto quelli dello spettacolo). Mentre sono molto più timorosi a rendere noti dati personali (che potrebbero senz’altro essere di pubblico interesse) di uomini di potere (politico, finanziario).

In realtà, dovrebbe essere utilizzato un metro di giudizio più obiettivo.
Attinente innanzitutto alla valutazione sul fatto in sé, cioè sulla rilevanza pubblica di una notizia indipendentemente da chi ne sia protagonista.
Se invece l'interesse pubblico di una notizia deriva dal carattere pubblico (per notorietà, per incarico) del personaggio, bisogna rilevare che, in linea generale, la sfera di riservatezza dei personaggi pubblici è più circoscritta.

In primo luogo, perché è da ritenersi che i personaggi pubblici abbiano maggiori strumenti per difendersi pubblicamente, se ritengono che le notizie riservate rese pubbliche siano anche diffamatorie.
In secondo luogo, perché i dati personali che li riguardano possono avere un'oggettiva rilevanza connessa al loro ruolo.

Un caso che merita particolare cautela è quello delle notizie riservate che riguardano i giornalisti. Non perché la 'casta' di chi dà le notizie debba godere di assoluta immunità (sono anche loro uomini pubblici e di potere). Ma perché bisogna assolutamente evitare che la diffusione di notizie riservate possa essere uno strumento di intimidazione, che finisce col limitare proprio la libertà di informazione che il diritto di cronaca dovrebbe tutelare (come il caso Feltri-Boffo insegna).

Viceversa, un caso che merita minore cautela è quello dei politici e dei titolari di cariche pubbliche.


La riservatezza dei dati personali di politici e titolari di cariche pubbliche

Quello della riservatezza dei dati personali degli uomini politici è un elemento che riemerge periodicamente, ad esempio quando vengono diffuse intercettazioni telefoniche o fotografie “compromettenti”. Ne avevamo parlato a proposito del “caso Sircana” o del "caso Berlusconi".

Riflettevamo sul rischio che la diffusione di dati personali di un politico, o le accuse rivolte contro di lui, siano mirate a colpire la sua posizione politica: una diffusione faziosa di talune notizie potrebbe costituire un elemento di inquinamento della vita pubblica. Una tutela particolare della riservatezza dell'uomo politico, dunque, potrebbe servire a difendere i diritti politici dei suoi elettori (protetti in particolare dall’art. 49 Cost.), oltre che la sua dignità.

Ma è anche vero che il rischio descritto non dovrebbe impedire ai cittadini di sapere a chi va il proprio voto. I cittadini possono esprimere un voto “libero” (art. 48 Cost.) e “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (art. 49 Cost.) solo se il loro voto è consapevole.

A noi sembra che un punto di equilibrio vada ricercato ragionando su cosa significhi "privato" per un politico. La dimensione riservata di un personaggio titolare di un mandato pubblico, che ha particolari doveri verso la collettività, e che da questa deve essere giudicato con il voto, non può avere la stessa estensione di quella di un privato cittadino.

I fatti meritevoli di essere resi pubblici non sono solo quelli penalmente rilevanti. Ha ormai stancato la litania difensiva di molti politici: “i fatti che mi vengono attribuiti non hanno rilevanza penale”. Però possono avere rilevanza politica! (Una litania che è tanto più ingiustificata quando non si riferisce a comportamenti privati, ma a comportamenti pubblici).
Possono essere meritevoli di divulgazione fatti che, pur personali, hanno rilievo sociale: le 'raccomandazioni' fatte o ricevute, le amicizie, la coerenza con quanto affermato pubblicamente.
L'interesse pubblico a conoscere determinate notizie è evidentemente maggiore che non per i privati cittadini: la differenza tra morale personale e morale sociale, per il titolare di cariche pubbliche, ha un confine diverso. Soprattutto se comportamenti 'disdicevoli' sono assunti senza misura, ovvero con disinvoltura e spregiudicadezza. 

La tutela del ruolo istituzionale non va ricercata tanto nella segretezza, quanto nella trasparenza delle notizie pubblicate: devono essere vere (non calunnie o 'voci'), acquisite legalmente (non violando, ad esempio, il segreto istruttorio), usate dai mezzi di informazione con correttezza (non come arma di ricatto, o distinguendo tra politici amici e nemici per inquinare l'opinione pubblica).

Inoltre, deve sempre entrare in gioco il senso di responsabilità del cronista, che deve soppesare interesse pubblico ad acquisire l'informazione e dignità della persona che ne é oggetto.

Va detto, a titolo di cronaca, che negli Stati Uniti le maglie del diritto di cronaca rispetto alla critica a personaggi pubblici sono molto più larghe.

Come evitare, in ogni caso, che il confronto politico degeneri in scambio di pettegolezzi e colpi bassi?
La soluzione non può risiedere solo nella definizione di regole - giuridiche e deontologiche - iperdettagliate. Il pettegolezzo colma il vuoto lasciato dalla politica. I politici possono avere le spalle robuste per tollerare indiscrezioni sulla loro vita privata, a condizione che non la esibiscano come vetrina politica; e che dimostrino di avere idee forti e la capacità di realizzarle.

Oltre a definire criterî che regolino da parte di terzi (gli organi di stampa) la diffusione di dati personali dei politici e dei titolari di cariche pubbliche, sarebbe probabilmente opportuno rendere obbligatoria la diffusione di alcuni dati.
Ad esempio, i criterî con cui sono conferiti incarichi pubblici retribuiti non elettivi, con l’importo delle retribuzioni riconosciute.
Oppure la disponibilità patrimoniale precedente e successiva all’espletamento di un mandato (estesa anche ai familiari del titolare), per valutare se si sono verificati arricchimenti illeciti: la cosiddetta “anagrafe patrimoniale”.

Non esistono ostacoli costituzionali all’adozione di tali misure.
Ma gli uomini di potere, ovviamente, non le vedono di buon occhio.
E i cittadini, che amano inveire contro la “casta”, non le richiedono. Vuoi perché in un modo o nell’altro fanno parte di un sistema di potere, e hanno paura di perdere i loro piccolissimi privilegi. Vuoi perché la sensibilità democratica non è - oggi come oggi - così diffusa...


Quando la “privacy” è invocata per coprire le inefficienze della Pubblica Amministrazione

“Scusi, posso sapere qual è il funzionario che segue la mia pratica?” “No, mi dispiace, c’è la privacy”.

“Scusi, vorrei prendere visione degli elaborati dei concorrenti che mi hanno preceduto in graduatoria nel concorso cui ho partecipato”. “Beh, vede, andremmo a violare la loro privacy”.

Sono risposte che ancora capita di sentire nella Pubblica Amministrazione. Frutto spesso di pressappochismo, o di un’autodifesa un po’ maldestra rispetto alle inefficienze degli uffici. A volte, però, c’è anche malafede, il tentativo di occultare comportamenti scorretti.
In ogni caso, si tratta di casi in cui la riservatezza è invocata a sproposito, perché non è certamente l’unico principio che informa l’attività della pubblica amministrazione.

La trasparenza è definita dall’art.1 della L.241/90 quale criterio che (unitamente a economicità, efficienza, pubblicità) regge l’attività amministrativa. Si tratta di un principio che si esplica con diverse modalità: partecipazione al provvedimento e accesso ai documenti amministrativi, regolati nella L.241/90; integrità del contenuto e chiarezza del linguaggio, regolati nell’art.7 del D. Lgs. 445/00 e nella Direttiva del Ministro della Funzione pubblica dell’8/5/2002. Del principio di trasparenza è stato altresì riconosciuto il fondamento costituzionale, poiché è condizione necessaria per il dispiegarsi del principio di imparzialità dei Pubblici Uffici garantito dall’art. 97 della Costituzione (anche l’art.22 comma 2 della L.241/90, inserendo l’accesso ai documenti amministrativi tra i “diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” ex art. 117 lett. m Cost., offre copertura costituzionale al principio di trasparenza).

Anche della riservatezza dei dati personali, abbiamo visto, è stato rinvenuto un fondamento costituzionale. Tale fondamento, però, è meno pregnante di quello del principio di trasparenza, per cui, in caso di conflitto tra i due principî (verificato eventualmente il “rango” costituzionale dei diritti ad essi sottesi), prevale la trasparenza (artt. 59 e 60 D. Lgs. 196/03; art. 24 comma 7 L. 241/90).

Il contemperamento dei principî di trasparenza e riservatezza, peraltro, deve sempre garantire il rispetto del principio di buon andamento dell’amministrazione, direttamente posto dall’art.97 Cost. quale criterio dell’organizzazione dei pubblici uffici.

Non sono pertanto mai ammissibili comportamenti – anche omissivi - che possano nuocere al buon andamento degli uffici, limitare la tutela dei diritti di terzi, ostacolare il rispetto degli obblighi istituzionali di un’amministrazione pubblica. Si tratta di regole che valgono anche per enti e aziende concessionarî di pubblici servizi.

Per cui, limitandoci solo agli esempi fatti poc’anzi, è sempre obbligatorio comunicare il nominativo del responsabile di un procedimento amministrativo (art. 5 L. 241/90). E tutti i documenti che sono stati oggetto di valutazione comparativa in un concorso (curriculum, prove scritte) o in una gara (offerte) fuoriescono dalla sfera della riservatezza, e sono accessibili ai soggetti che hanno un interesse diretto, concreto e attuale (artt. 22 ss. L. 241/90).


La riservatezza nel caso delle "libertà negative", costituzionalmente tutelate. Il caso delle intercettazioni.

Abbiamo sin qui passato in rassegna una serie di esempî in cui la riservatezza in quanto tale, cioè relativa ai dati personali, non avendo fondamento costituzionale diretto, appare recessiva rispetto ad altri diritti costituzionali.

Diverso è il caso, però, in cui la Costituzione tutela direttamente le sfere di riservatezza legate ad alcune "libertà negative": libertà personale, domicilio, corrispondenza. Qui la tutela è piena, e queste sfere possono essere intaccate solo con le procedure costituzionalmente previste, per le quali è posta riserva di legge assoluta e rafforzata, nonché riserva di giurisdizione (necessità di atto motivato dell'autorità giudiziaria).

Per cui - come visto - un marito/moglie può ben esigere trasparenza dal coniuge (o un datore di lavoro, per determinati aspetti legati alle funzioni da svolgere, dal dipendente); ma non per questo può perquisirlo...

Un caso particolare al centro del recente dibattito politico è quello delle intercettazioni di comunicazioni telefoniche, di cui il Governo Berlusconi vorrebbe regolamentare in maniera più severa sia la praticabilità sia la diffusione dei contenuti ad opera dei media.

Il problema - diciamolo subito - esiste, ed è una delle modalità con cui si manifesta l'uso politico della giustizia che è stato fatto (ed in parte si continua a fare) in Italia.
È un problema legato al fatto che l'Italia è uno dei Paesi che fa più largo uso al mondo dello strumento intercettazioni.
Un problema legato all’uso indiscriminato di tale strumento, a prescindere da una precisa notizia di reato (le cosiddette “intercettazioni a strascico”: intercetta, intercetta, qualche cosa verrà fuori…).
Un problema legato ai costi incontrollati.
Un problema legato alla possibilità di utilizzo ricattatorio delle informazioni acquisite, custodite da soggetti esterni alla magistratura (compagnie telefoniche).
Un problema legato alla difesa della dignità di persone di cui vengono diffuse le intercettazioni di conversazioni private pur non essendo indagate, sol perché parlavano con un indagato.
Un problema legato all’aggiramento di leggi, come quelle che impediscono di intercettare un parlamentare senza autorizzazione della Camera di appartenenza (sai che faccio? Indago una persona che parla abitualmente con lui, e dico che il parlamentare è stato intercettato “casualmente”).
Un problema legato alle intercettazioni fatte filtrare ad arte dagli uffici giudiziarî (quali intercettazioni vengono fatte filtrare? Con che criterio? L'anomalia non riguarda solo la politica. Vedi l’esempio di calciopoli: il colonnello dei carabinieri che trascriveva le intercettazioni, interrogato dal Tribunale di Napoli, ha riferito di aver ritenuto “rilevanti per le indagini” solo alcune intercettazioni - riguardanti Juventus, Milan e Lazio -, e su quelle è stato costruito un processo sportivo che ha avuto implicazioni finanziarie enormi. Oggi si scopre – grazie alla difesa di Moggi – che esistono intercettazioni anche più imbarazzanti a carico di Inter, Roma, Cagliari, Reggina, …).
Un problema legato a clamorose forzature della legge ammesse persino da alcuni magistrati: come quando sostengono che le intercettazioni contenute negli avvisi di garanzia consegnati agli avvocati difensori diventano "pubbliche" (mentre la pubblicità è solo quella del dibattimento: sino ad allora i difensori venuti in possesso del materiale istruttorio devono cooperare al segreto d'ufficio); o come quando diffondono intercettazioni non penalmente rilevanti, sostenendo che servono a "disegnare il quadro ambientale (vedi il caso Bisignani e la diffusione di intercettazioni contenenti pettegolezzi tra ministri).

Va anche detto che Berlusconi, invocando genericamente l'esigenza di "difendere la riservatezza", contribuisce - forse per semplificare il messaggio politico - a creare confusione giuridica. Se fosse solo una questione di riservatezza, si potrebbe facilmente obiettare che la repressione dei reati (per cui i magistrati ordinano le intercettazioni) e il diritto di cronaca (per cui i giornalisti pubblicano il contenuto di alcune intercettazioni) sono valori con maggiore garanzia costituzionale.

Il valore in questione, in realtà, è quello costituzionalmente garantito della libertà e segretezza della corrispondenza (anche telefonica).

Come effettuare, quindi, il "bilanciamento"?

Non è questa la sede per esaminare puntualmente le diverse proposte che si sono succedute.

Ci limitiamo a osservare, in linea generale, che una più attenta regolamentazione dell'uso delle intercettazioni da parte dei magistrati si impone.
È vero che l'art.15 della Costituzione ammette una limitazione della segretezza della corrispondenza privata, e che bisogna fare attenzione a non pregiudicare l'azione di contrasto alla criminalità (in particolare quella organizzata).
Ma è anche vero che l'utilizzo attuale dello strumento-intercettazioni presenta un eccessivo sbilanciamento a favore del valore della sicurezza pubblica.
Inoltre, una maggiore regolamentazione dello strumento servirebbe a garantire anche maggior tutela dei diritti politici dei cittadini, danneggiati - come visto - da alcune distorsioni nell'uso delle intercettazioni.

Quanto invece al rapporto col diritto di cronaca, ci sembra che in questo caso si dovrebbe realizzare uno sbilanciamento a favore della segretezza delle comunicazioni private (e quindi un capovolgimento dell'attuale situazione), visto che la Costituzione prevede una riserva di giurisdizione nelle limitazioni a tale diritto.
I media, più che riportare il contenuto delle intercettazioni non ancora oggetto di un pubblico dibattimento, dovrebbero poter riportare le notizie legate ai reati emersi (o ipotizzati) a seguito dell'utilizzo delle intercettazioni da parte della magistratura.



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