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Economia - Notizie e Commenti
L'Occidente tramonta perché non fa più figli Stampa E-mail
Un'analisi economica, politica, religiosa, sociale (e demografica) della crisi finanziaria
      Scritto da Giorgio Arfaras a colloquio con Spengler
01/11/08
Una ricostruzione immaginaria del Ponte di Brooklin in rovina
Una ricostruzione immaginaria del Ponte di Brooklin in rovina (da worth1000.com)

Questa intervista a Spengler, misteriosa e seguitissima figura di Asia Times (che ha ripreso il suo pseudonimo da Oswald Spengler, celebre autore de Il tramonto dell'Occidente, ndr), è stata raccolta via e-mail, l'unica via d'accesso concessa. In tre sessioni di tre ore, c'è stato il botta e risposta con Giorgio Arfaras, partito dalla crisi finanziaria e arrivato, come succede spesso anche negli articoli di Spengler, a suggestioni di tutt'altra natura. Spengler ha controllato per bene di non essere frainteso: non gli sfugge nulla, legge anche l'italiano.
 

Herr doktor Spengler, a suo avviso qual è il punto oggi? Tutti parliamo della crisi (finanziaria, ndr), ma potrebbe ben essere che la “vera” crisi stia da un’altra parte, che la “vera” storia non sia nel campo della finanza.

 
Le istituzioni finanziarie in giro per il mondo si sorprendono quando pensano a quanto siano state folli nell’investire nei prodotti detti "strutturati", come le obbligazioni che avevano in pancia i mutui subprime, oppure le obbligazioni rischiose delle imprese, ecc. Il risultato della proliferazione di questi veicoli d’investimento e del successivo collasso del loro prezzo è una classica crisi di “solvibilità”. Se, infatti, sottraiamo al valore dell’attivo delle istituzioni finanziarie il valore del passivo, otteniamo un numero negativo. Questa è la ragione dell’intervento delle banche centrali e dei Tesori, che si sono impegnati a iniettare circa due trilioni di dollari nel settore per evitare il collasso del sistema.
 
Resta la domanda sul perché le istituzioni finanziarie abbiano investito in attività oscure e complesse, invece di investire semplicemente in azioni, obbligazioni e mutui ipotecari. Delle attività finanziarie semplici che oltre tutto conoscevano bene. La risposta al quesito credo stia nel rendimento delle attività tradizionali, quelle “comprensibili”, che era diventato inferiore a quanto gli investitori desideravano. La ragione della caduta del rendimento delle attività tradizionali a sua volta va cercata, e questa è la mia proposta di indagine, nella demografia.
 
La popolazione sta invecchiando ad una velocità che non ha precedenti nella storia. Troppa gente in procinto di ritirarsi dal lavoro deve acquisire attività finanziarie con le quali alimentare la propria vita da pensionati. Ad oggi, il 20% della popolazione dei paesi sviluppati ha più di sessanta anni, ma a metà del secolo, circa il 40% della popolazione dei paesi sviluppati avrà più di sessanta anni, secondo lo scenario dell'ONU. I mercati dei capitali sono, nella loro essenza, le persone anziane che prestano denaro alle persone giovani. Se queste diventano poco numerose, ecco che le occasioni di investimento si riducono e quindi si riduce il rendimento dell’economia reale e finanziaria.
 
La popolazione non invecchia velocemente solo nei paesi sviluppati. La popolazione del mondo islamico è più giovane di quella del mondo sviluppato, ma invecchierà ad una velocità maggiore. L’Iran e l’Algeria, per esempio, hanno oggi soltanto il 6% della popolazione al di sopra dei sessantacinque anni, ma questa percentuale quintuplicherà, arrivando al 30%, verso la metà del secolo.
 
Ricapitoliamo. Primo, il rendimento degli investimenti tradizionali e “comprensibili” è caduto per l’invecchiamento della popolazione; secondo, gli investitori hanno reagito ai rendimenti inferiori comprando strumenti finanziari strani, “esotici”; terzo, ora che questi prodotti magici sono collassati, ed il prodotto esotico è chiamato “tossico”, dobbiamo affrontare la realtà di un mondo capace di generare rendimenti economici modesti, proprio mentre una quota crescente della popolazione si avvicina alla pensione. La conclusione è che la torta da spartire si sta rimpicciolendo …
 
Sia consentito un esempio proprio sul mercato dei mutui ipotecari. Questo dovrebbe essere il caso più chiaro di gente anziana che presta denaro alla gente giovane per ottenere un reddito che li manterrà nel periodo in cui sono pensionati.
 
Negli Stati Uniti hanno incominciato ad impacchettare i mutui e a metterli nelle obbligazioni negli anni Ottanta, e questa era un’idea eccellente. Gli Stati Uniti avevano molta gente anziana con un alto tasso di risparmio al Nord, e, al contrario, molta gente giovane con un basso tasso di risparmio al Sud. Il mercato delle obbligazioni con in pancia i mutui ipotecari (le mortgage backed secutirities, MBS in sigla) facilitava il flusso del risparmio (Nord, anziani) verso gli investimenti (Sud, giovani, settore delle costruzioni). Intorno al 2000 il resto del mondo cominciò a interessarsi dei mutui ipotecari statunitensi. I cinesi e gli altri asiatici dovevano investire gli enormi avanzi delle loro bilance commerciali.
 
Gli investimenti in obbligazioni del Tesoro erano lo sbocco naturale degli avanzi commerciali crescenti. Ma gli investimenti si mossero anche verso le obbligazioni legate al settore immobiliare, quelle che avevano la garanzia implicita dello stato (come Fannie Mae e Freddie Mac), che rendevano poco più dei titoli del Tesoro. Gli acquisti massicci di queste obbligazioni, dal 2003, portarono in alto il loro prezzo e quindi schiacciarono il loro rendimento, fino a renderlo, nel 2006, eguale al tasso di interesse che pagano le banche quando si prestano il denaro fra loro. Insomma, il rendimento delle obbligazioni che contenevano i mutui a basso rischio è sceso per effetto dei risparmi del resto del mondo in cerca di investimenti con un buon rendimento.
 
La ricerca da parte del resto del mondo di buoni rendimenti sul mercato statunitense ha avuto un duplice effetto perverso sui mercati finanziari. In primo luogo, ha abbattuto il costo dei mutui, e favorito il boom dei prezzi degli immobili. Non che i prezzi delle case siano saliti per questa ragione, ma essi sarebbero difficilmente saliti così tanto senza questa spinta. In secondo luogo ha incoraggiato l’industria finanziaria nella ricerca di rendimenti maggiori.
 
Questi maggiori rendimenti si trovavano nel mondo dei mutui ipotecari di minor qualità, che con un eufemismo erano chiamati “subprime” (come qualità al di sotto dei mutui migliori, i “prime”, NdFoglio). Wall Street incominciò ad impacchettare questi mutui di qualità inferiore in obbligazioni. Queste avevano un rendimento maggiore, ed il maggior rendimento si supponeva fosse sufficiente per proteggere gli investitori dal rischio. Molte di queste obbligazioni ora valgono la metà del prezzo originario. Le obbligazioni con in pancia i mutui di minor qualità sono all’origine, sono quello che ha messo in moto la crisi in cui siamo.
 
Non era solo il mercato dei mutui ipotecari ad essere infetto dalla ricerca di rendimenti maggiori. Il rendimento delle azioni (gli utili delle società quotate, al di fuori del settore finanziario e petrolifero, non sono cresciuti molto negli ultimi anni, NdFoglio) era mediocre, e l’industria finanziaria pensò bene di incrementarlo usando una leva (creditizia) maggiore. Per la prima volta nella storia le grandi imprese finanziarie statunitensi si indebitarono al punto da ridurre il proprio merito di credito ai livelli minimi, tipici di chi era giudicato “speculativo”. Di conseguenza il loro debito era equiparato a quello delle obbligazioni “spazzatura” (junk bonds), che sono sì comprate, ma con rendimenti alti. Wall Street impacchettò queste obbligazioni rischiose in altre obbligazioni, il cui nome è collateralized debt obligations (in sigla CDO). Queste ultime, per quasi tre quarti, ricevettero dalle agenzie di “rating” il giudizio massimo di merito di credito, la tripla A.
 
Possiamo affermare che l’economia mondiale, che aveva rendimenti mediocri ma voleva rendimenti stellari, reclutò, per riuscire nell’impresa, Rumpelstilzchen (personaggio della fiaba dei fratelli Grimm sull'illusione di trasformare la paglia in oro, NdFoglio), lasciando ovviamente in ostaggio il proprio figlio. Ora Rumpelstinzchen è tornato, e non è possibile non onorare il credito.
 
La posta in gioco è la pensione della popolazione che invecchia. I rendimenti necessari non ci sono, semplicemente. Una conseguenza è che molta gente non potrà andare in pensione, o quantomeno non andrà quando desiderava farlo e non con il reddito che pensava di poter avere. Gli statunitensi non andranno in pensione a 60 o 65 anni, ma a 70 o 75. E lavoreranno per compensare la perdita dei propri risparmi facendo lavori poco pagati.
 
Possiamo trarre una prima conclusione. Il rendimento per le pensioni anziane nel futuro sarà inferiore. Un‘economia con molta gente non ricca, che fa dei lavori poco remunerati, dovrebbe alla fine avere una bassa propensione ad investire in progetti innovativi e rischiosi. Se il capitalismo sono i giovani sognatori che cercano i finanziamenti dalle persone con una alta propensione al rischio, allora, e questa sembra una predizione di sapore schumpeteriano, dovremmo avere una società meno dinamica.
 
Lo crescita della quota degli anziani ha certamente reso l’Europa meno dinamica. Gli europei hanno una propensione al rischio inferiore a quella degli statunitensi e degli asiatici, forse perché sono più vicini all’età della pensione. Ma le circostanze avverse possono spingere la gente a caricarsi di un rischio che altrimenti non avrebbero preso.
 
Un libro eccellente su questo argomento è quello dell’economista canadese Rueven Brenner. Il titolo è A World of Chance, un libro sull’economia della scommessa. Perché mai gli statunitensi scommettono la casa per ottenere una pensione? Nel ragionare di Brenner dobbiamo capire i motivi profondi della propensione al rischio, non scuotere la testa pensando ad un fenomeno di follia collettiva. Ecco la spiegazione di Brenner:
 
“Se qualcuno, giunto a cinquanta o cinquantacinque anni, non 'è riuscito', quali opzioni ha per riuscire ad avere ancora una vita decorosa? Al di fuori di un investimento di pochi dollari in una lotteria, è difficile pensare a molte opzioni. Se la gente si trova ad aver avuto poca fortuna e si trova con poche possibilità di diventare ricca, come potrà alimentare le proprie speranze ed i propri sogni? Quando qualcun altro ti ha sorpassato, è saltato in avanti, come fai a raggiungerlo? Una possibilità è prendere dei rischi”.
 
Un gran numero di Statunitensi è al giro di boa dei cinquanta, dei cinquantacinque anni. Insomma i baby boomers (i nati nel periodo del boom economico, gli anni '50-'60, ndr) si avvicinano alla pensione. Fra il 2005 ed il 2025 i sessantenni passeranno dal 15% al 25% della popolazione. Fra il 1990 ed il 2000 i baby boomers avevano raggiunto l’età nella quale i redditi sono massimi e quindi l’età che si suppone sia quella dove si accumulano i denari per il periodo della pensione. Quelli che hanno investito in azioni negli anni novanta hanno avuto risultati tremendi. Supponiamo che abbiano comprato quando il boom delle azioni stava montando, quindi dal 1996. Nel 2002, durante la crisi, seguita alla fine della bolla della tecnologia, si sarebbero trovati con gli stessi denari del 1996. Se poi avessero tenuto in borsa i propri risparmi fino ad oggi, avrebbero gli stessi denari del 1996, tenendo conto dell’inflazione. In oltre dieci anni, in moneta costante, non hanno guadagnato nulla. (Il calcolo, fatto sugli indici, include i dividendi reinvestiti, ed esclude i costi di gestione e le imposte, NdFoglio)
 
“Il mercato finanziario statunitense non ha offerto un rendimento sufficiente ai baby boomers per finanziare la propria pensione. Segue che quelli che si avvicinano alla pensione non hanno avuto scelta, se non quella di aumentare il rischio, per ottenere un rendimento in grado di finanziarli quando smetteranno di lavorare. Da qui le attività rischiose come i mutui subprime. Gli scommettitori di professione come gli hedge funds hanno raccolto quattro trilioni di dollari per investire sulla parte a rischio del mercato, quello dei mutui e del credito alle imprese. Gli Statunitensi scoprirono che l’inesauribile domanda mondiale di obbligazioni legate ai mutui portava alla fine a condizioni di credito favorevoli per i debitori più rischiosi. Con le case che salivano del 10% ogni anno fra il 1998 ed il 2006, gli Statunitensi scoprirono che potevano usare la leva finanziaria per avere rendimenti molto alti. Per esempio, comprando una casa di 200 mila dollari, anticipando 10 mila dollari, si guadagnano 20 mila dollari, se il prezzo della casa fosse salito solo del 10%”.
 
Con il senno di poi sembra incomprensibile che i baby boomers possano aver pensato che i prezzi delle case potessero raddoppiare, mentre se le scambiavano fra loro a prezzi crescenti, fino a finanziare la propria pensione. Come gruppo i baby boomers non hanno mezzi sufficienti per poter andare in pensione e, data la condizione odierna dei mercati finanziari, potrebbero non guadagnare abbastanza sulle attività tradizionali. Perciò essi hanno fatto il “salto nell’incertezza”, per usare un’espressione di Brenner.
 
Potremmo avere un maggior dinamismo, almeno in altre parti del mondo. La Cina è il paese da seguire. La Cina ha tentato di investire i propri risparmi in attività sicure, negli Stati Uniti, ed ha scoperto che semplicemente non esiste un porto sicuro per i risparmi di una vita di un miliardo e mezzo di persone, che mettono da parte la metà del proprio reddito. I cinesi non hanno quindi preso rischi finanziari nel proprio paese. Quel che veramente converrebbe alla Cina è investire i propri risparmi in infrastrutture, in energia, e forzare la crescita della produttività dell’economia domestica, specialmente di quella agricola dell’interno. Se la Cina non investe i risparmi nel miglioramento della propria economia, commette un grave errore, perché finirebbe con il mettere a repentaglio la propria crescita di lungo termine. Quel che sembrava la politica più sicura per investire i propri risparmi, metterli in un luogo sicuro per i giorni peggiori, la politica di investire sui mercati finanziari statunitensi, pare oggi la più rischiosa che si potesse concepire. Se i cinesi investissero nella propria economia, alla fine la crescita mondiale ne trarrebbe giovamento. La Cina, divenuta un motore di domanda, accrescerebbe il dinamismo del sistema.
 
Come far convivere un’economia prona al rischio, ossia la combinazione di sogni imprenditoriali e capitale di ventura, con il suo frutto naturale fatto di grandi guadagni e di grandi perdite, con un sistema politico come quello cinese? Potrebbe essere il risultato ultimo della gran crescita cinese un capitalismo dinamico ma senza disuguaglianze, come è il sogno di molti europei, che desiderano e le innovazioni e l’equità? Infine, che cosa pensa del problema demografico cinese?

L’ultima domanda per prima. Il problema demografico cinese preoccupa, ma non è catastrofico. Per la metà del secolo, circa il 30% della popolazione avrà più di sessanta anni. Assumendo che il reddito pro capite cresca soltanto del 4%, quindi meno del 10% degli ultimi anni, la Cina quintuplicherà la propria economia per la metà del secolo, così riuscendo a mantenere i pensionati. La Turchia, l’Iran e l’Algeria avranno una dinamica demografica simile a quella cinese, ma crescendo meno, saranno molto più poveri della Cina. Ed è qui che vedo problemi demografici catastrofici. L’Iran e la Turchia semplicemente non avranno le risorse per mantenere i propri anziani. Tutto quel che la Cina deve fare alla fine è rimuovere la politica “del figlio unico”, perché la crescita della popolazione riprenda.
 
Non penso di essere in grado di fare previsioni sulla politica cinese nel breve periodo, ma la Cina ha da sola molte più persone nella fascia di età fra i 15 ed i 24 anni di tutte quante le economie sviluppate. Questa gente giovane non ha soltanto ambizioni di benessere materiale, ma anche di risultati artistici ed intellettuali. La Cina ha oggi 30 milioni di persone che studiano il pianoforte, ed i suoi musicisti probabilmente domineranno la musica classica occidentale in una generazione. Una volta che il governo cinese ha aperto le porte al pieno sviluppo degli individui, mette in moto una generazione in grado di ottenere risultati come non si sono mai visti al mondo. Se la Cina non consentisse lo sviluppo delle opportunità per i propri giovani, i migliori emigrerebbero, e gli Stati Uniti ne sarebbero il massimo beneficiario.
 
Molte cose possono interrompere lo sviluppo cinese, ma vi sono molte ragioni per essere ottimisti per tutta questa gente giovane e per tutti questi talenti che stanno entrando nell’età adulta. Detto ciò, non sarà l’eguaglianza la forza principale della Cina nella prossima generazione. I benefici maggiori saranno per i giovani fortunati che hanno frequentato le migliori università. Queste ineguaglianze non dovrebbero essere un problema, posto che la Cina continui a crescere e a distribuire i frutti del progresso economico alla propria popolazione, perché le ammissioni alle università avvengono con i concorsi. La Cina è in qualche misura un paese meritocratico. L’ineguaglianza per merito non dovrebbe quindi alimentare il risentimento sociale.
 
Possiamo assumere che nel futuro prevedibile la Cina continuerà ad avere tutto l’interesse per la salute economica degli Stati Uniti, e quindi che continuerà ad assorbire tonnellate di debito pubblico statunitense?
 
La Cina ha un duplice interesse a riguardo della salute dell’economia statunitense. Primo, la sua economia è trainata dalle esportazioni verso gli Stati Uniti. Secondo, le sue riserve sono investite soprattutto in attività finanziarie statunitensi.
 
Queste riserve comprendono non soltanto le riserve “operative” (quelle che finanziano nel breve termine le importazioni, o consentono di difendere il cambio, NdFoglio), ma anche quelle che servono per i “giorni peggiori”. I mercati finanziari cinesi non sono abbastanza sviluppati, perciò il governo accumula fondi per le emergenze e le avversità future sotto forma di riserve valutarie. La Cina impiegherà anni ad orientare la propria economia verso la domanda domestica, a cambiare il traino dalle esportazioni ai consumi, e quindi sarà vulnerabile alla forte riduzione delle importazioni di merci cinesi d’origine statunitense.
 
I mercati asiatici, includendo anche quello cinese, non sono in grado di assorbire i risparmi che si formano nella regione. Per avere idea, il mercato statunitense del reddito fisso alla fine del 2007 aveva un valore di 30 trilioni di dollari, un numero pari al 220% del PIL statunitense. Secondo l’Asian Development Bank, i mercati asiatici del reddito fisso erano pari, alla stessa data, al 46% del PIL del continente. Insomma il mercato asiatico è pari ad un quarto di quello statunitense. Per questa ragione i risparmi asiatici volti a costituire i fondi pensionistici devono essere investiti nei mercati esteri.
 
Resta aperta la domanda su quanto debito del Tesoro statunitense possa essere assorbito dai cinesi. Le monete asiatiche sono cadute molto in rapporto al dollaro, da quando la crisi del credito ha rotto gli argini, con il fallimento di Lehman Brothers e con il quasi fallimento di AIG, il gigante delle assicurazioni. La Cina può dover usare una parte delle riserve per tenere il cambio, come ha fatto ultimamente la Corea.
 
Durante i periodi di debolezza del dollaro, le riserve cinesi crescono molto velocemente, perché gli speculatori comprano yuan vendendo dollari, e la banca centrale deve comprare dollari per mantenere la parità del cambio. Comprando dollari (e poi con questi comprando titoli del Tesoro, NdFoglio) aumenta le proprie riserve. Per questa ragione le riserve cinesi crescono più di quanto crescerebbero per effetto del solo surplus commerciale. Ormai tutti accettano l’asserzione che i rendimenti delle obbligazioni statunitensi sono minori di quanto altrimenti sarebbero stati, e questo grazie agli acquisti delle banche centrali, in particolare di quella cinese. Un punto sottolineato da Ben Bernanke nel 2004.
 
Potremmo affermare che il mercato dei titoli di stato è stato spinto in alto dalla stessa leva che ha creato la bolla immobiliare. Passo uno. Centinaia di miliardi di dollari finivano negli hedge funds che investivano nei paesi emergenti. Passo due. Questi hedge funds compravano la moneta dei paesi emergenti per fare gli investimenti nei paesi emergenti medesimi allo scopo di spingere in alto i propri rendimenti. Passo tre. Questo meccanismo spingeva le banche dei paesi emergenti a comprare dollari per tenere fermo il cambio e con i dollari i titoli del Tesoro statunitense. La conclusione è questa: il meccanismo del cambio fisso dei paesi emergenti trasmetteva la loro espansione monetaria, frutto degli afflussi di capitali degli hedge funds, sul mercato dei titoli del Tesoro.
 
Ora siamo in un periodo in cui la leva si muove nella direzione contraria. Questo avviene in parte perché gli hedge fundsd liquidano i propri investimenti (vendono le attività finanziarie dei paesi emergenti e con il controvalore chiudono le linee di credito che avevano acceso sul mercato d’origine, NdFoglio). Ed avviene in parte perché, con la caduta del prezzo delle materie prime, molti paesi emergenti hanno minori introiti valutari, o hanno deficit commerciali.
 
Questo meccanismo che ora gira al contrario rende più difficile il finanziamento del Tesoro degli Stati Uniti. Ed è quello che sta succedendo. Se prendiamo il rendimento dei titoli di stato degli Stati Uniti, quelli indicizzati all’inflazione, che fino ad agosto 2008 rendevano circa un 1,5%, vediamo che ora rendono circa un 2,5%.
 
Lo scenario economico globale è stato definito. Da nessuna parte, almeno fino ad ora, abbiamo trovato alcunché di rilevante che tratti del nostro beneamato continente, l’Europa. La storia si muove e la sua trazione è nel Pacifico. Noi Europei siamo nelle stadio finale della decadenza?
 
Da un punto di vista economico, l’Europa non si trova nello stadio finale della decadenza, ma nel penultimo, quello in cui la forza lavoro comincia a ridursi. Mai nella storia del mondo si è avuto un paese che crescesse con una forza lavoro in declino. I dati sono noti, ma farei un esempio che rende bene la natura del problema. Nel 2005 gli Stati Uniti e l’Italia avevano un rapporto di dipendenza di circa 50, ossia la metà della popolazione che lavora e la metà no, ossia i giovani e gli anziani. A metà di questo secolo il rapporto di dipendenza sarà di 62 negli Stati Uniti e di 85 in Italia, ossia il 15% degli italiani che lavora contro un 85% che non lavora, perché è giovane o perché è anziano. Gli italiani sopra i 65 anni saranno a metà del secolo il 40% della popolazione. Nulla di simile si è mai visto nella storia, mai si è avuta questa esperienza della scomparsa della generazione successiva. Possiamo discutere a lungo sulle ragioni, la mia ricerca mi porta alle stesse conclusioni di Philip Longman ed altri, ossia che la morte delle religioni è la causa decisiva dello spopolamento. Ma restiamo ancora nel campo dell’economia.
 
L’unica scelta dell’Europa è di accettare una massiccia immigrazione. La domanda allora è: quale immigrazione si vuole? Il cardinale Biffi fu all’origine di uno scandalo, quando nel 2000 propose che l’Europa accogliesse attivamente gli immigrati cattolici. Questa però oggi sembra un’idea eccellente. L’Argentina sta entrando in crisi profonda e ci sono milioni d’argentini d’origine italiana che possono pensare ad un flusso migratorio volto al contrario. Gli stati falliti del Sud America mostrano bene il punto. L’Ecuador ha perso la metà della popolazione in età da lavoro, che se ne è andata in Spagna o negli Stati Uniti, tanto che vi sono interi paesi senza popolazione maschile. Con la fine del boom delle materie prime e con la crisi di molte economie dell’America Latina, vi è un gruppo cospicuo di persone che potrebbe emigrare, gente con un forte desiderio di lavorare e culturalmente affine con l’Europa del Sud. Sembra chiaro che l’Europa possa assorbire più facilmente cattolici latinoamericani di quanto non possa assorbire i mussulmani del Nord Africa o della Turchia.
 
Il declino europeo non è assolutamente irreversibile. Si ha ancora tempo a disposizione per bilanciare il declino della popolazione con gli immigrati. La Francia sembra aver avuto successo con le politiche a favore della natalità, ed è probabile che politiche molto decise volte a ripristinare tassi di fertilità maggiori possano avere effetto.
 
Detto ciò, le prospettive economiche europee per il breve termine sono preoccupanti. Le banche europee sembrano avere problemi dello stesso ordine di grandezza di quelle statunitensi, ma in assenza di quel che ha originato il problema oltre atlantico, ossia il collasso della bolla immobiliare. Perché mai le banche europee sono state coinvolte nella crisi? Sembra che la ragione sia la quota sproporzionata d’investimenti fatti nei prodotti strutturati d’origine statunitense, di cui abbiamo parlato. Questo non sorprende, i mercati finanziari non essendo altro che gli anziani che prestano ai giovani. In Europa non ci sono abbastanza giovani per mantenere gli anziani. In termini finanziari questo vuol dire che non ci sono abbastanza case da costruire o fabbriche da fondare capaci di assorbire i risparmi degli anziani per poi mantenerli nella età della pensione con i redditi generati, con gli affitti e con i profitti. I risparmiatori europei, ossia i prossimi pensionati, hanno dovuto cercare all’estero le occasioni di investimento ed il primo posto che hanno guardato sono gli Stati Uniti.
 
I capitali di tutto il mondo si sono presentati davanti alla porta degli Stati Uniti, meglio alla porta dei mercati finanziari statunitensi, cercando rifugio. Gli Stati Uniti potrebbero produrre una quantità notevole di attività finanziarie buone, in grado di soddisfare la domanda mondiale. Wall Street ha invece costretto questa domanda proveniente da tutto il mondo a comprare attività di bassa qualità come se fossero attività di qualità alta, con la benedizione di queste chiese secolari del credito che sono le agenzie di rating. L’Europa può aver perso la religione, ma non la fede, visto che ha creduto che la parola delle agenzie di rating fosse sacra. Il risultato è stato un disastro per le banche europee, disastro della stessa dimensione di quello delle banche statunitensi.
 
All’origine della crisi troviamo la popolazione che invecchia. Perciò emerge il problema dell'immigrazione come soluzione dei problemi europei. Se gli immigrati sono omogenei, come accade quando hanno la stessa religione, allora il problema dell'immigrazione potrebbe non essere troppo difficile da affrontare. Ma la mentalità del Progresso potrebbe non accettare questa conclusione.
 
Uno non vede i dirigenti europei che si muovono nella direzione della soluzione del problema. Il presidente francese Sarkozy ha recentemente domandato un maggior insegnamento dell’arabo nelle scuole francesi, osservando che l’arabo è ormai la seconda lingua parlata in Francia. Suppongo che i Romani del V secolo avessero lo stesso incentivo dei Francesi di oggi ad apprendere il gotico. Geert Wilders (politico olandese fortemente critico verso l'immigrazione di matrice islamica, ndr) sembra il bambino della fiaba che salvò i Paesi Bassi con il dito infilato nel buco della diga, ma resta un personaggio minore della politica olandese. Wilders è uomo impegnato, intelligente, un centrista della vecchia scuola, per niente un estremista di destra, e le sue vicende sono assolutamente da seguire. D’altro canto uno potrebbe aspettarsi manifestazioni maggiori di scontento, anche alla luce del 30% dei voti presi dai partiti austriaci di destra.
 
È certamente vero che il paradigma dell’illuminismo liberale, che considera la religione un relitto di antiche superstizioni, fa fatica a fare distinzioni culturali fra gli immigrati. Il paradigma europeo dopo l’ultima guerra è stato il tentativo di neutralizzare il nazionalismo, probabilmente a ragione, viste le sue tragiche conseguenze. Ma quel che resta dopo la scomparsa del nazionalismo è abbastanza modesto.
 
Molti di noi, quelli preoccupati per l’impoverimento della cultura europea e per lo spopolamento dell’Europa, hanno cercato in Benedetto XVI una guida nel rapporto con l’Islam, allo stesso modo in cui Giovanni Paolo II fu una guida, una generazione fa, nel rapporto con il Comunismo. La conversione di Magdi Allam davanti al Papa alla vigilia di Pasqua ha attratto l’attenzione del mondo, ed ha spinto molti di noi a sperare che il Papa avrebbe continuato il confronto con l’Islam, iniziato a Ratisbona nel settembre 2006. Negli ultimi mesi non abbiamo sentito più nulla dal Papa e questo è un pò scoraggiante.
 
Può darsi che le persone che vengono da altri paesi cristiani siano più “elastiche” di quelle che vengono dai paesi non cristiani. Ma anche esse, in media, hanno ricevuto un’educazione di tipo patriarcale e vengono da paesi corrotti. L’ultima domanda. La campagna presidenziale (americana, ndr) sta finendo, ed invece di meno tasse contro più tasse, meno libertà sessuale contro più libertà sessuale, abbiamo qualche cosa di nuovo. Obama è sia una persona con un'educazione di notevole livello sia un organizzatore di comunità…
 
Precisamente chi e che cosa sia Obama lo scopriremo. Se eletto, Obama non sarà soltanto il primo afroamericano diventato presidente, ma anche il primo con genitori stranieri, due se contiamo il padre adottivo, indonesiano. Nelle sue stesse parole, Obama si identifica profondamente nella cultura tradizionale del Terzo Mondo, contro l’anomia e l’alienazione dell’Occidente. È il profilo classico del radicale anti-imperialista che leggeva Franz Fanon e guardava la Battaglia di Algeri negli anni sessanta. Profilo curioso da incontrare, tanto più alla Casa Bianca.
 
Si considerino alcuni passaggi dal libro I sogni di mio padre. Quello in cui Obama definisce il mercato delle merci indonesiano “un ordine intelleggibile, con i costumi di una generazione che venivano fuori ogni giorno ….”. Questa è una nostalgia anti-imperialista, quella che spinse sua madre a sposare due uomini di colore del Terzo Mondo, e ad abbandonare il proprio giovane figlio per la carriera di antropologa. Gli europei di una certa età riconoscono il tipo all’istante, lo hanno già visto e sentito. In altri passaggi delle sue autobiografie Obama si definisce come una lavagna sulla quale altri possono scrivere i propri desideri politici. Questa può essere una caratterizzazione accurata, ma dice poco sull’uomo. Sappiamo però con quale tipo di persone si trova a suo agio. La madre era arrabbiata con gli Stati Uniti a tal punto da passare gran parte della propria vita al di fuori degli stessi, difendendo i piccoli artigiani indonesiani dalla globalizzazione “predatrice”. La moglie Michelle è una donna arrabbiata, il cui rancore verso gli Stati Uniti è emerso durante la campagna elettorale, poi messo sotto controllo dai collaboratori di Obama. Il suo consulente spirituale, Jeremiah Wright, è finito in uno scandalo dal quale Obama ha preso le distanze, senza però spiegare come mai ha frequentato la chiesa di questo signore per due decenni. Obama ha una storia pubblica limitata, ed ha rivelato poco di se stesso, al punto che sappiamo poco di lui, sebbene quanto ha rivelato ci dice che la sua attitudine verso il suo paese è ambivalente nel migliore dei casi, negativa nel peggiore.
 
Per quel che riguarda il resto del mondo, viene in mente Platone quando afferma che i folli non devono pregare gli dei, perché rischiano di ottenere quel che desiderano. Tutti quelli che detestano l’arroganz ia e l’unilateralismo degli Stati Uniti stanno per assistere al manifestarsi dei propri desideri, visto che probabilmente avremo un presidente che condivide le loro opinioni.
 
Da un lato ci possiamo attendere un'instabilità violenta in certe parti del mondo. L’Iran, ed ormai la pensano così quasi tutti, è di fronte ad un collasso demografico che emergerà in una generazione. Ha la stessa dinamica di invecchiamento della popolazione di un paese europeo, ma non ha la stessa ricchezza, che possa aiutarlo ad affrontare il problema. La caduta del prezzo del petrolio ha fatto precipitare la sua economia. A questo punto non ha niente da perdere. Si muoverà in fretta per acquisire la potenza nucleare, ed userà la propria influenza religiosa nel mondo sciita per controllare parti dell’Iraq. Questo allo scopo di controllare una quota maggiore di petrolio. Ho pensato per anni che il successo militare statunitense nel cosiddetto “surge” iracheno riflettesse alla fine un accordo temporaneo con gli iraniani. Gli iraniani quietavano le forze irregolari irachene in cambio della distrazione degli Stati Uniti sul programma di armamenti nucleari, sulle ambizioni iraniane in Libano, e via dicendo. Dopo le elezioni gli Stati Uniti non avranno più bisogno di tenere in vita questa messa in scena, mentre gli iraniani avranno ogni incentivo a giocare le proprie carte in Iraq. Gli Stati Uniti possono essere alternativamente la pecora o l’agnello.
 
Allo stesso tempo, abbiamo l’emergere di due potenze islamiche nella regione, la Turchia ed il Pakistan, entrambe in procinto di abbandonare il decennale orientamento secolarista a favore dell’Islam politico. Queste due potenze sono sunnite e non sciite. Il risultato sarà il trionfo dell’Islam politico dal Libano all’Afghanistan, che porterà all’equivalente mussulmano della Guerra del Trent’anni, una guerra di attrito combattuta da forze regolari ed irregolari, guerra che devasterà la regione. La guerra sarà combattuta anche in Europa, in maniera diretta o indiretta. Gli europei aspetteranno che gli statunitensi li aiutino, attendendo speranzosi che compaia un altro Ronald Reagan. Uno che guidi gli Stati Uniti fuori dal pantano e che ristabilisca la sicurezza per tutti.
 

 Pubblicato su
Il Foglio
 Sullo stesso argomento abbiamo pubblicato un articolo del banchiere Ettore Gotti Tedeschi



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