pubblichiamo uno stralcio dell’articolo apparso su Il Foglio
(...) La seconda coincidenza [tra la morte di Moro e i fatti degli anni a venire , ndr] è la fine della Repubblica. La continuità formale è assicurata anche ora che nasce un governo senza più un ministro cattolico, ora che tra leghisti, bambine, imprenditori del nordest e sindaci postfascisti si vede bene quanto poco abbia resistito del nostro passato storico, ora tutti dovrebbero riconoscere che con l’esecuzione di Moro nel carcere del popolo, atto conseguente di una logica combattente di tipo rivoluzionario, le brigate rosse si esposero all’immenso rischio tattico di non riuscire a resistere alla reazione della macchina repressiva dello stato, rilegittimata dal partito della fermezza, ma conseguirono il loro obiettivo strategico, e il cuore dello stato subì un infarto devastante, da cui quella Repubblica dei partiti non si è mai più definitivamente ripresa. Ci vorranno quindici anni per arrivare all’esito delle feroci lotte tra gli eredi di Moro, sui quali il suo sangue ricadde come il prigioniero aveva previsto nella celebre maledizione, ma il terrore si presentò puntuale all’appuntamento nel 1993, nella forma dell’attacco giudiziario contro un sistema sradicato in blocco come corrotto e mafioso. Quindici anni dopo l’esecuzione del prigioniero politico, i partiti in blocco che avevano firmato la Costituzione, quelli sopravvissuti al crollo del muro di Berlino, furono tutti presi prigionieri. Era saltato l’equilibrio.
Quei quindici anni, aperti dalla morte catastrofica di Moro e subito dopo da quella dello sconfitto Paolo VI, il vero creatore della democrazia cristiana repubblicana reso impotente dalle brigate rosse, il vero custode della classe dirigente italiana che la riunì un’ultima volta in Laterano per opporre al disegno di Dio un interrogativo tragico sul perché non avesse “esaudito la nostra supplica”, furono poi segnati dall’arrivo del profetismo polacco, cioè l’apertura di un altro capitolo mondiale del cattolicesimo, con l’abbandono al suo destino della diletta nazione italiana, sballottata tra le onde della fine della guerra fredda e della vittoria dell’occidente cristiano e della ritrovata Europa centrale sul comunismo dell’est. Poi un altro ciclo di quindici anni ci ha portato alla coincidenza dell’oggi: il cattolicesimo politico tradizionale, quello preparato come classe dirigente negli anni del fascismo, quando a Mussolini fu strappata l’agibilità per l’Azione cattolica, quello appunto di Moro e degli universitari cattolici, quello della vera eredità dc che attraverso un Andreatta era arrivata fino a Prodi e in qualche modo perfino alle code di cometa del doroteismo come Casini, si inabissa definitivamente nella vittoria schiacciante, plebiscitaria degli homines novi.