Gentile direttore,
da quando i cattolici italiani hanno perso un punto di riferimento partitico preciso, ormai circa quindici anni, si trovano periodicamente a dover fare scelte elettorali all’interno di contenitori politici che in diversa misura sentono distanti.
Accantonata, a torto o a ragione, l’idea di una sostanziale unità partitica dei cattolici, si è aperto uno scenario che vede protagoniste altre classi dirigenti (politiche ed economiche): quelle che l’esperienza dei cattolici uniti aveva tenuto lontane dalla gestione della società.
Più precisamente, il blocco sociale, economico e politico che i cattolici avevano organizzato intorno alla Democrazia Cristiana riusciva a coinvolgere, mediare e depotenziare spinte di diversa natura.
Così, diverse classi dirigenti - comunisti in attesa della rivoluzione proletaria, fascisti riorganizzati pronti per qualche golpe, forti lobbies economiche internazionali (un ricordo particolare meriterebbe Enrico Mattei) e nazionali - si trovavano costrette a mediare con questa forza politica.
Una mediazione che, di fatto, ridimensionava e depotenziava le loro istanze e le loro aspettative, nel quadro di una costante e rilevante crescita del sistema democratico e delle libertà individuali e collettive.
Quell’esperienza ha coinciso con il periodo di maggior sviluppo dell’Italia in tutti i settori.
Finita la Democrazia Cristiana, il Paese è diventato un campo di battaglia per tutte quelle forze prima compresse.
Così, giganteschi conflitti di interesse, fascisti revisionisti, comunisti in eterna lotta contro il capitalismo, secessionisti e populisti di varia natura hanno diviso e paralizzato l’Italia.
L’Italia si è fermata.
Dal punto di vista esteriore le varie forze in campo non hanno assunto atteggiamenti anticattolici (tranne le solite ali estreme), ma sviluppano intense azioni per la conquista del voto dei cattolici.
Esse vogliono il voto dei cattolici, indispensabile per vincere le elezioni, ma non riconoscono le ragioni dei cattolici.
La libertà di coscienza che tali forze si riservano nelle decisioni sui temi etici è il caso più eclatante. L’idea e la pratica di una politica senza etica condivisa è riscontrabile nei contenitori organizzati intorno alle classi dirigenti sia di “destra” sia di “sinistra”.
Ad onor del vero, il ruolo sociale dei cattolici viene talora riconosciuto, specialmente dove l’impegno di altre forze nella soluzione dei problemi reali sarebbe impossibile o risulterebbe troppo oneroso in termini di impiego di risorse pubbliche: pensiamo alla sanità, all’assistenza, in parte alla scuola.
Di volta in volta queste nuove classi dirigenti (specialmente in occasione delle campagne elettorali) si fanno paladine di alcuni interessi cari all’elettorato cattolico; per poi, una volta passate le elezioni, dimenticarli.
Parallelamente a questa situazione, persiste nel mondo cattolico una forte divisione culturale: da una parte l’idea (peraltro mai completamente chiarita) che l’unità politica dei cattolici sia un errore, e dall’altra la constatazione dell’irrilevanza della propria presenza quando ci si suddivide in diverse formazioni politiche.
Mancando un convincente punto di riferimento, il voto dei cattolici si è sparso ovunque, senza essere decisivo nelle elaborazioni culturali, negli indirizzi programmatici e nella concre-tezza dell’azione delle varie formazioni politiche.
Prevale, quindi, la scelta del personaggio o dello schieramento politico che viene percepito come meno distante dalla propria impostazione culturale.
Siamo quindi di fronte ad una prima difficoltà: il voto non è convinto, ma “di necessità”.
Il problema sorge, però, intorno alla percezione di affinità culturale.
Questa percezione viene talmente manipolata, da far apparire una “destra” e una “sinistra” senza storia, nei momenti elettorali, compatibili con la visione cristiana della società.
Questa percezione viene talmente manipolata, da far apparire ragionevole un cattolico che voti un candidato sostenitore della pena di morte, oppure un candidato iscritto alla massoneria, oppure un candidato con trascorsi da terrorista.
Questa percezione viene talmente manipolata, da far apparire addirittura doveroso votare un non cattolico.
Questa opera interessata spinge i cattolici ad un annientamento politico, dividendoli e condannandoli all’irrilevanza.
A questo bisogna reagire.
La reazione è di tipo culturale e di tipo pratico.
Dal punto di vista culturale, occorre chiarire che i cattolici non possono aderire a formazioni o movimenti che non abbiano specificatamente un’ispirazione cristiana, che i cattolici non possono affidare la propria rappresentanza a personaggi non cattolici e che i cattolici impegnati in politica devono testimoniare con i loro comportamenti la propria ispirazione.
Dal punto di vista pratico, coloro che hanno medesime sensibilità è naturale che si ritrovino in medesimi contenitori.
Questo non significa un’acritica accettazione di formule preconfezionate, non significa una delega in bianco a nessuno, non significa, in nome dell’unità, l’accettazione di comportamenti non condivisibili secondo la nostra morale.
Significa semplicemente che se saremo uniti saremo forti, se saremo forti saremo liberi...
Luigi Milanesi