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Racconti
I carciofi di Sarina Stampa E-mail
Ovvero come la morte del pontefice diventi un fatto sentito ma inevitabilmente marginale nella vita
      Scritto da Daniele Comberiati
17/04/05

 Anche dopo che era morto il marito, “il sarto più bravo di tutta la Tuscolana” (così diceva lei) aveva continuato a fare la stessa vita. Quei ritmi familiari, sempre uguali da anni, l’avevano aiutata ad alleviare la solitudine.

A settantanove anni Sarina era una vecchietta dolce, con gli occhi azzurri e vitrei, una risata gioiosa e una camminata talmente lenta che rendeva impossibile la presenza di una persona più giovane al suo fianco: nessuno avrebbe resistito a tanta lentezza.

Il ventinove marzo, martedì dopo Pasquetta, Sarina si era incamminata verso la casa dell’amica Angela a Lucio Sestio, due fermate di metropolitana e quasi un’ora a piedi. Insieme, avevano cominciato a parlare di figli e nipoti e di quanto era bella Roma, vent’anni prima. Poi avevano acceso la televisione.

Mentre rientrava a casa Sarina non riusciva a trattenere le lacrime: - povero Papa… ridotto a quel modo… - Sarina piangeva perché la malattia del Papa le ricordava quella del marito: anche lui senza più voce, costretto a parlare con un microfono appoggiato sulle corde vocali. - Povero Papa – pensava Sarina – questa non se la meritava proprio –

Passò al mercato rionale sotto casa per rilassarsi un po’. – C’è Teodoro? – chiese ad un conoscente che stava smontando il banco.

- Se n’è andato, Sari’, lo trovate la domenica, ché siamo aperti… -

- Gli ricordi i carciofi, mi raccomando i carciofi – si era congedata Sarina, preoccupata per il pranzo del mercoledì, quando sarebbe venuto a mangiare, come ogni settimana, il suo amato primogenito.

Una volta a casa Sarina non riusciva a pensare al menù per il figlio: era ancora molto triste. Accese la tv per seguire le ultime notizie, poi lasciò perdere: le mettevano ancora più tristezza.

Quella notte si addormentò con difficoltà.

Quando la incontrai, il sabato seguente, era ancora di umore nero. – E il Papa che sta male mi ricorda mio marito – mi aveva detto non appena mi aveva incontrato – pace all’anima sua, grande, grandissimo sarto, il più bravo della zona, ché ancora se lo ricordano i signori di qua… Come cuciva lui le camicie… e faceva in fretta, ci metteva poco, che poi avevamo sempre il tempo di uscire, mi accompagnava al mercato a fare la spesa. Adorava i carciofi, uh, quanto gli piacevano i carciofi! E io glieli cucinavo sempre, eh! e in tutti i modi: nella pasta, nel risotto, alla giudìa, alla romana, in crema, in zuppa… -

Si era interrotta un attimo per invitarmi a salire da lei a prendere un dolce: venti minuti dopo (avevo seguito il suo ritmo) mi sedeva davanti e mi tagliava una fetta di colomba. – La mangi lei, ché io non posso. Il colesterolo. Dolci non ne mangio più. Da anni. Ah! Ma prima mi piacevano tanto, eh! Proprio tanto… Crostate, torte, creme, ciambelloni… -

Si era alzata per accendere la tivù.

Poi non si era più riseduta. Era inequivocabile ormai: il Papa stava morendo. Gli occhi vitrei e azzurri di Sarina si bagnarono.

- Posso aiutarla signora? – le chiesi imbarazzato. – Mangi la colomba lei. E me ne dia una fetta, và, ché una non può certo fare male. Povero Papa… Povero Papa… -

Ore 21 e 37. Il Papa era morto. Sarina spense la televisione e andò a letto senza mangiare. Quella notte non riuscì a dormire.

La mattina seguente si alzò più tardi del solito e scese lentamente le scale del suo palazzo per andare alla ricerca di Teodoro.

Al mercato tutti parlavano della morte del Papa.

Sarina non aveva voglia di dire niente.

- Che c’avete oggi, Sari’, siete triste per il Papa? – le aveva subito domandato Teodoro che la conosceva bene.

- Eh, il Papa… pover’uomo… è stato malato come il marito mio… il sarto, no? Il sarto più bravo del quartiere. Pure lui c’aveva quel coso sulla gola, e pure lui è stato male tanto, tre anni è stato malato… -

Intanto Teodoro riempiva, riempiva e riempiva il carrello quadrettato di Sarina, tanto che lei dovette faticare molto per portare tutti quei carciofi a casa. Teodoro neanche glieli aveva fatti pagare: - Sono in regalo, Sari’ – le aveva detto, e poi le aveva strizzato l’occhio ed era passato a un altro cliente.

Sarina si era messa subito a cucinare.

L’avevo rincontrata venerdì mattina, il giorno dei funerali del Papa. Mi aveva accolto con un sorriso furbo e si era fatta accompagnare fino al cassonetto dell’immondizia per gettare le foglie dei carciofi. Poi mi aveva invitato a pranzo.

Nel salone la televisione era accesa: stavano trasmettendo in diretta la cerimonia funebre. Sarina non diceva nulla, impegnata ad apparecchiare e a guardare lo schermo.

Mi pose davanti i piatti: i carciofi ripieni con formaggio e pangrattato avevano un aspetto eccellente, le pennette ai carciofi erano al dente e saporite, lo sformato di patate, carciofi e besciamelle una vera delizia.

Mentre mi ingozzavo spense la televisione.

- I funerali mi mettono sempre tristezza. Anche in tivù –

Dopo pranzo mi offrì una fetta di crostata che aveva fatto con le sue mani.

- La mangi questa ché è buona. Pure il Papa ne andava pazzo, l’hanno detto alla tivù –

Ne mangiò una fetta anche lei.

- Per l’occasione – disse – ché un morto lo si ricorda anche così –

Quando la salutai non aveva più gli occhi lucidi: aveva quell’aria serena di qualche settimana prima.

- Venga pure domani – mi urlò mentre scendevo le scale - ché coi carciofi le faccio il risotto… -

 



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