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Cinema - Recensioni e Profili
"Il Signore degli Anelli" - La Trilogia Stampa E-mail
Grande azione ed effetti speciali, ma soprattutto una parabola a pił livelli sulla condizione umana
      Scritto da Domenico Martino
02/04/02
Ultimo Aggiornamento: 17/07/11
gandalf_battaglia.jpg

Il Signore degli anelli: La Compagnia dell'Anello; Le due torri; Il ritorno del Re  
(The Lord of the Rings: The Fellowship of Ring; The Two Towers; The Return of the King)
di Peter Jackson (dall'opera letteraria di J.R.R. Tolkien
Con Viggo Mortensen, Liv Tyler, Elijah Wood, Sean Astin, Ian McKellen, Christopher Lee, Orlando Bloom
USA, Nuova Zelanda 2000/2003
 

Chi ha avuto modo di vedere i film della trilogia sarà restato colpito, nel primo impatto, dagli straordinari effetti speciali, che per la prima volta nella storia del cinema hanno reso la fantasia assolutamente realistica.

Oltre la confezione, però, c’è la sostanza: i tre film hanno vinto in totale ben diciassette Oscar, in praticamente tutte le categorie, compresa quella di miglior film per l'ultimo episodio (che ha vinto l'Oscar per tutte le 11 candidature).

Il successo (anche di pubblico: gli ultimi due episodi sono tra i cinque maggiori incassi nella storia del cinema!) non sta nella forza delle megaproduzione hollywoodiana, ma era ben precedente. La vera forza sta nell’ispirazione fornita da una saga letteraria - la trilogia pubblicata tra il 1954 e il 1955 dallo scrittore inglese J. R. R. Tolkien, e poi racchiusa in un un unico libro - che nel mondo è la più amata e la più letta da decenni (oltre 150 milioni di copie vendute). Una popolarità, va detto, fondata solo su un gigantesco passaparola, perché la cultura “ufficiale”, i mezzi di comunicazione, hanno - soprattutto in Italia - sempre boicottato questo capolavoro.

Il fatto è che, a partire dagli anni ‘60, l’influenza del marxismo impose la teoria per cui avevano dignità letteraria solo i testi “impegnati”, che esprimevano una dimensione socio-politica, possibilmente di contestazione. La restante poesia e letteratura era considerata produzione di serie “B”; figuriamoci una trilogia, come quella del Signore degli Anelli, che fonda una nuova epica cavalleresca!

A partire dagli anni ‘70 si è assistito anche ad un’appropriazione dell’universo tolkieniano da parte della destra giovanile, che chiamò Campi Hobbit i suoi raduni. Le ragioni non mancavano: un mondo di eroi, di esaltazione del coraggio e dello spirito, per di più ripudiato dalla sinistra...

Ma sarebbe fuorviante appiccicare a Tolkien l’etichetta “di destra”. Il tratto culturale alla base della sua opera, lungamente elaborata (la gestazione della trilogia durò quattordici anni!) è quello - come ha ribadito più volte lo stesso autore - di "un lavoro fondamentalmente religioso e cattolico", che ha voluto ricongiungere fiaba e religione.

Il tratto fondamentale dell’eroe di Tolkien - oltre al coraggio - non è la forza, bensì la purezza. L’Anello del Potere può essere custodito solo da chi non ambisca a farne uso: un piccolo hobbit; che non ha scelto di essere eroe, ma è stato “chiamato”. Il vero eroe sembra essere il più umile tra gli hobbit, colui che resta fedele anche nell'ingiustizia patita: Sam. Non è però l'eroismo che salva la Terra di Mezzo: Sam si sarebbe liberato di Gollum, ed è invece la misericordia di Frodo che offre alla Provvidenza il modo di distruggere (proprio attraverso Gollum) l'anello.
L'eroe tolkeniano non combatte per la gloria, ma per il bene dell’uomo.
L’eroe tolkeniano non è autosufficiente, ma vive la sua avventura in gruppo, in comunità. Ha l'umiltà di lasciarsi consigliare dai personaggi che esprimono la virtù della saggezza: Gandalf, gli Elfi. Il protagonista Frodo ha bisogno persino di lasciarsi portare in spalla: da Aragorn, dal cavallo degli elfi e, alla fine, da Sam.
C'è una sorta di eroismo collettivo, che si esprime nella prontezza al sacrificio e alla rinuncia. Un sacrificio che nasce non da un astratto senso del dovere, ma dall'amore: Gandalf sul ponte di Moria; Boromir presso le cascate di Rauros; Éowyn contro il Signore dei Nazgûl; Sam contro il grande ragno. Senza dimenticare Arwen, la principessa elfa che per amore di Aragorn rinuncia alla sua immortalità.

La profondità della saggezza, nell'opera, si contrappone alla povertà della semplice conoscenza. Sauron, l'occhio che tutto vede, si lascia sfuggire il passaggio di Frodo: non può penetrare tutta la realtà, perché non ha la capacità di amare. 
Frodo accetta il peso della missione dicendo: "porterò io l'anello, ma non conosco la strada". Non conosce la strada, ma la sua generosità e la sua umiltà gli forniscono la vera saggezza, gli strumenti più veri per arrivare a destinazione.

Nell’opera non c'è divisione manichea, non ci sono buoni e cattivi predefiniti (la "scissione di coscienza" di Gollum/Smeagol è esemplare). C'è però la consapevolezza che esistono un Bene e un Male assoluti, i quali si contendono il cuore dell’uomo (le creature della Terra di Mezzo simboleggiano i vari aspetti della personalità umana): la grandezza dell’uomo è nella scelta del Bene, nella ricerca della vittoria spirituale anche quando ciò comporti una sconfitta materiale; nella capacità di volgere al bene anche l'esperienza vissuta a contatto col male (Frodo ha compassione di Gollum anche perché lui stesso, sia pure per poco, ha sperimentato la forza seduttiva dell'anello).

Un’opera che ha un fascino quasi rivoluzionario, in un’epoca in cui chi è incapace di aspirare a grandi traguardi vuol farci credere che non esistono bene e male, bianco e nero, ma solo grigio, solo mediocrità, solo verità soggettive e parziali. Noi sappiamo che l’uomo ha molti limiti, ma che non può rinchiudersi in essi.

Molti altri sono i temi che Tolkien ha voluto mettere in evidenza, non solo nel disegnare la trama e nel delineare i personaggi, ma anche nel costruire il meraviglioso e complesso mondo della Terra di Mezzo: la salvezza, la speranza, l'umiltà, l'amicizia, l'amore, la pietà/misericordia che offre la possibilità di riscatto/redenzione (e che non sempre è accolta da chi la riceve), la Provvidenza (ciò che appare un danno si rivela un vantaggio; e, come visto, è proprio la Provvidenza a salvare la Terra di Mezzo) ... 

Si è molto discusso sulla fedeltà del film di Jackson al romanzo di Tolkien.
In generale, il regista ha privilegiato i momenti di azione rispetto a quelli più "arcadici" o di riflessione filosofica. In particolare, sono stati sviluppati alcuni personaggi che nel romanzo erano minori (Arwen), o ne sono stati trascurati altri che invece erano rilevanti (Tom Bombadil); sono state effettuate alcune 'correzioni' per rendere immediatamente comprensibili allo spettatore alcuni passaggi.
Tirando le somme, ci sembra che le modifiche presenti nel film rispondano soprattutto alle necessità del linguaggio cinematografico, e all'esigenza di racchiudere l'immensa quantità di materiale in tre lungometraggi (peraltro di notevole lunghezza). Possiamo perciò esaltare la capacità di Jackson di creare un prodotto altamente spettacolare e, al tempo stesso, capace di riproporre gran parte dei temi dell'opera letteraria.

E dopo avere assaporato il film, ci rituffiamo nella lettura dei libri che lo hanno ispirato, i quali non sono una semplice sceneggiatura, ma un vero capolavoro letterario, che offre - come detto - spunti ancora più ampi della trasposizione cinematografica.


Riferimenti bibliografici

Paolo Gulisano
Tolkien. Il mito e la grazia
Ancora editrice, Milano 2007

Andrea Monda, Saverio Simonelli
Tolkien, il signore della fantasia
Frassinelli editore, Milano 2002



Giudizio Utente: / 7

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