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Politica - Notizie e Commenti
La coscienza della sinistra lacerata su immigrazione e legalità Stampa E-mail
Quelli che “discuto coi fasci, ma con Veltroni no”
      Scritto da Stefano Di Michele
02/11/07

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 Walter Veltroni
 Piero Sansonetti
Ormai, non c’è quasi più niente da dirsi. Non solo abissale differenza politica, ma antropologica, di linguaggio, di sguardo sul mondo. Due entità separate, la sinistra moderata e quella radicale, estremista, che nessuna legge elettorale o accordo di desistenza potrà più tenere insieme. La feroce vicenda della donna massacrata a Roma dall’immigrato rumeno ha prodotto la definitiva lacerazione tra due mondi che, se non simili, erano certo contigui.

Qualcosa che ieri balzava agli occhi leggendo i commenti di Liberazione e del Manifesto, e mettendoli a fianco a quelli dell’Unità e di Repubblica. O l’analisi di uno scrittore come Vincenzo Cerami sul Messaggero: “Una cosa va detta subito. L’orrore a Roma di oggi che crea sgomento e profonda inquietudine è la conseguenza dell’eccesso di tolleranza di ieri”. Ancora più secco il titolo: “Fine della tolleranza”.

Poi basta ascoltare Piero Sansonetti, direttore del quotidiano di Rifondazione, che così spiega il ruolo di Veltroni nella vicenda: “Lui fa le prove di leadership e di campagna elettorale cogliendo al volo il massacro di una signora. Un cinismo mai visto in politica: né nei vecchi democristiani né nei vecchi comunisti e neanche nei vecchi fascisti. Terrificante. Con un cinismo di questo tipo, ogni discussione è impossibile”. E dunque, se queste sono ora le parole che si usano, se queste sono le accuse che si lanciano, cosa resta da spartire insieme? Il governo? Per l’editoriale, il giornale bertinottiano si affida ad Angela Azzaro, che non è più lieve del direttore, e chiama in causa, oltre a Veltroni, Prodi e Amato e Napolitano: hanno “usato il corpo di quella donna, di tutte le donne, per affermare il loro potere. Un potere maschile e xenofobo”. E’ il racconto di un evento che è tutt’altro racconto da quello che, per esempio, si ritrova nelle parole scelte per il suo commento sull’Unità da Vincenzo Vasile, che parla di città italiane che “funzionano come il miele per le mosche di uno sciame incontrollato che viene dall’est di Europa. E in specie dalla Romania… Sono rumeni i protagonisti di gran parte della cronaca nera spicciola, quella che attanaglia la gola alla gente comune, che trema chiusa in casa...”.

Stesse cause e responsabilità dei dolori del mondo, che però forniscono linguaggi diversi alla sinistra. Sul Manifesto, Mariuccia Ciotta evoca “il suono delle catene provenienti ieri dal palazzo del governo, e che ha calpestato ogni sentimento di dolore, sembra inaugurare piuttosto un’epoca post morale, dove una donna gettata in un canale serve da pretesto per accelerare un disegno di legge che chiede repressione e galera”. Su Repubblica, invece, Miriam Mafai difende a spada tratta il decreto del governo, “superando un antico tabù della sinistra, più attenta alle ragioni, alle miserie e alle difficoltà di chi delinque che alle ragioni e ai diritti delle vittime”. E al telefono spiega: “Si sta allargando il fossato tra noi e questa sinistra radicale, estremista, che si rifiuta di guardare la società per quella che è”.

E’ stato soprattutto l’intervento di Veltroni nella vicenda, le durissime parole usate, a far scattare una violentissima reazione politica. “Per me l’antiveltronismo è un valore, proprio sul piano della costruzione simbolica, culturale. A questo punto, credo che una condivisione non ci sia più”, argomenta Azzaro. Feroce Sansonetti: “Io discuto pure con i fascisti, sono andato da Azione giovani, ma non si può discutere con uno così. Insieme ad Amato, Veltroni ha agito solo per vantaggio elettorale: escludo che possa pensare le idiozie che ha detto”.

Certi universi non si ricostruiranno più, non hanno più neanche una lingua comune con cui parlare. Da tempo il fossato si allargava: con le vicende estive dei lavavetri, con Michele Serra che metteva sotto accusa a sinistra “la virtuosa ma inconcludente abitudine a spostare l’analisi sempre di parecchi palmi più in là, a costo di trascurare la cocente banalità del quotidiano”, con i sindaci sul piede di guerra. La paura della gente, ecco. Paura vera per cui servono risposte, dice la sinistra riformista. “Bisogna decostruire la costruzione della paura”, risponde invece Azzaro. Taglia corto Miriam Mafai: “Ha ragione Veltroni. Questi delinquenti vanno restituiti al loro paese, vadano a delinquere lì. Dobbiamo pure difenderci…”. Quasi tutti, pure a sinistra, la pensano come Mafai e come Cerami. A Sansonetti l’opinione dello scrittore, ovviamente, non piace per niente. “Trent’anni fa scrisse ‘Un borghese piccolo piccolo’, romanzo sul forcaiolismo. E’ una perfetta analisi del Cerami di oggi”. Ma la paura diffusa? L’opinione della stragrande maggioranza delle persone? Il direttore di Liberazione replica in questo modo: “In America pure il linciaggio era un fatto popolare, mica d’élite. Un grande fatto democratico: una maggioranza di bianchi che bruciava una minoranza di neri… Le sinistre non sono due, ma una sola, e molto piccola”. Parole lontanissime da quelle di Cerami che evoca “il nervo scoperto del vero allarme sociale italiano. Quello che investe il diritto alla sicurezza, alla serenità e dunque alla vita”. Ma lontanissime pure da quelle del suo ex giornale, l’Unità, che senza complessi scrive di “un’umanità brutta sporca e cattiva, e falò di prostitute, e scorrerie di disperati e randagi, un campo di rom…”. Una stessa storia d’orrore, ma raccontata con linguaggi così diversi, tanto diversi che alla fine non sembra neanche più la stessa storia. (sdm)


Pubblicato su Il Foglio  



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