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Racconti
Cercavo una donna, nella citta morta... Stampa E-mail
      Scritto da Daniele Comberiati

Prefazione

Il racconto Cercavo una donna, nella città morta… non è direttamente legato al tema dell’Olocausto e dello sterminio degli ebrei. All’inizio, insieme col precedente racconto Lame(nti), era considerato la seconda parte di una trilogia su Roma, poi è diventato semplicemente il terzo di cinque racconti dedicati alle città (Alcuni racconti urbani. Roma e qualcos’altro…), dove il legame con Roma era sì esplicitato, ma non era preponderante.

In effetti in questo racconto il rapporto con Roma è puramente metaforico e onirico: la città distrutta, le macerie e il senso di annullamento enfatizzati in ogni riga sono piuttosto condizioni esistenziali senza spazio e senza tempo e non hanno un punto di riferimento specifico.

La trama è quella di un uomo che cerca una donna in una città distrutta dalla guerra. La paura della perdita dell’amata si sovrappone all’angoscia dei luoghi che ora sono cambiati, ma che si presentano tutti nello stesso identico modo: come macerie. La ricerca della donna amata non è che un espediente narrativo per descrivere il senso di angoscia e di non riconoscimento del protagonista nei luoghi teoricamente familiari.

La scelta di questo testo per inserirlo nelle celebrazioni per “la settimana della memoria” deriva dal fatto che la memoria, nella sua accezione negativa dell’oblio, è il tratto caratterizzante della vicenda. Il dramma del protagonista risiede infatti nel non riconoscere il già conosciuto, nel non ricordare i nomi delle vie e il viso della donna amata, nel confondere i pochi ricordi rimasti. In questa città abbandonata, anche gli oggetti hanno perso il loro nome: il ponte crollato non è più un ponte, la donna è solo un’immagine priva di realtà, nel destino dell’uomo non si intravede un futuro.

L’importanza di ricordare è sottolineata dall’uso dell’imperfetto nel tempo verbale del titolo: “Cercavo una donna”, come se tutto fosse ormai passato e solo il ricordo legasse l’esperienza al presente.

CERCAVO UNA DONNA, NELLA CITTA' MORTA...

Le tue ultime parole, un lontano, lontanissimo appuntamento, e tantissimi anni di assenza da questa città.

Questo sono io, oggi, mentre ti cerco, mentre ti sto cercando.

Nella nebbia e nella polvere che ora hanno invaso questi luoghi (ma è sempre stato così? I miei ricordi dello spazio sono vaghi e negli occhi ho solo le tue parole) la mia ricerca, lentamente, ha inizio.

Respiro male, sono stanco, sporco, ed anche un po' invecchiato. Non sempre mi sorreggono le gambe, non sempre riesco a togliermi la polvere dagli occhi (ma c'è sempre stata tutta questa polvere?), e allora mi aggrappo alla memoria, disperato e speranzoso, con pianti che nascondono ancora un po' di gioia: ti vedrò, ci vedremo. Manca ancora molto? Mi chiedo. Tra poco amore mio, tra poco.

<< Il luogo del mio profumo>>. Il luogo del tuo profumo, questo mi hai detto l'ultima volta (tanti, troppi anni fa), e questo è ora il nostro appuntamento.

No, non ho paura che non verrai, non ho paura che tu mi abbia dimenticato, temo che sia io a non ricordare, a confondermi, a non capire.

La città dorme, riposa, o è morta, ed io domando a fantasmi strade che non esistono, non esistono ancora, o non esistono più.

Il luogo del tuo profumo? Ho dimenticato la strada per arrivarci; ricordo un muro, gli oleandri, ma lo spazio innanzi e quello seguente sono bianchi, calcinosi, e vuoti anch'essi, com'è vuota la città.

Ma la gente vi ha mai vissuto? Altre persone hanno percorso queste vie oltre a noi due? Come posso ricordare, se l'unico ricordo che ho della città è il tuo volto?

Nel silenzio orrendo, qualche tonfo sordo, per lo più lontano. Ma mi dico che non è un uomo a muoversi, sono solo macerie, quasi vive in tutta questa morte, a scontrarsi tra loro.

Non capisco se faccia caldo, io sudo per l'angoscia di non trovarti, per la speranza di vederti.

Ma quanto manca amore mio? Non mi rispondo, attendo ancora.

Ti cerco nei vuoti, nelle assenze di una città che non è più presente, non è più qui, come non sei presente tu amore, e come forse non lo sono io.

Vorrei gridare, ma anche la mia voce è invasa dal silenzio e quasi mi vergogno a muovermi, ad essere vivo, in questo silenziosissimo cimitero.

Percorrendo strade che non conosco, che non riconosco, che non ho mai conosciuto, giungo al fiume, ed altri piccoli ricordi riaffiorano, ma sono piccoli appunto, quasi minuscoli.

Il ponte è stata la prima cosa che hanno fatto crollare perché, mi dico, nelle guerre è sempre così. Il ponte, un  ponte il cui nome è nell'oblio mio e non solo mio, un ponte il cui nome ora è inutile, senza senso, poiché non porta più dall'altra parte del fiume e la città resta divisa, recisa (e io so che tu sei dall'altra parte); un ponte come tanti altri, eppure anche questo abbattuto, umiliato, e ne odo i lamenti mentre muore nel fiume e con lui, con me, è la città intera che geme.

Il legame tra le due sponde della città è annegato nel fiume, il nostro legame è seppellito sotto cumuli di detriti e palazzi affondati, sgretolati, ma un tempo, non troppo tempo fa, eretti e magnifici. Il mio amore rimane, è vero, ma segnato anch'esso da polvere e fatica, quasi brama di morire, di quietarsi.

Cercavo una donna, nella città  morta…

Ma ai vivi non è dato scendere, ai vivi non è dato accedere, ai vivi non è dato penetrare negli inferi.

Ti rivedrò?

                         Tra poco, amore mio, tra poco.

 



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