PRIMA PAGINA
faq
Mappa del sito
Temi caldi
Temi caldi
Notizie
Attualitą
Politica
Economia
In Europa
Nel Mondo
Contrappunti
Intorno a noi
Cittą e Quartieri
La Regione
Religione
Notizie e commenti
Cattolici e politica
Documenti ecclesiali
Link utili
Cultura
Libri
Cinema
Musica
Fumetti e Cartoni
Teatro
Arte ed eventi
Storia
Scienze e natura
Rubriche
Focus TV
Sport
Mangiar bene
Salute
Amore e Psiche
Soldi
Diritti
Viaggi e motori
Tecnologia
Buonumore
Login Utente
Username

Password

Ricordami
Dimenticata la password?
Indicizzazione
Convenzioni


Racconti
Casa dolce casa - cap. II Stampa E-mail
Riunione di condominio
      Scritto da Daniele Comberiati

<Precedente

Riunione di condominio

I giorni erano passati e Mario dei vicini aveva quasi perso ogni traccia. Le foglie gialle sugli ippocastani, l’odore di terra umida, il traffico e il campionato di calcio. Era ormai novembre.
Vlado gli aveva detto che Rita per alcuni giorni non era andata a scuola: probabilmente quest’influenza che sta girando, aveva pensato Mario.

Cannoli, paste-sfoglie e creme: il lavoro procedeva abitualmente.

Non aveva pensato più ai Gombri, assorbito dalla routine quotidiana. Aveva visto qualche amico, rivisto una vecchia fidanzata: quell’autunno sarebbe passato in fretta e senza danno.

- Non ve ne andate! Non ve ne andate! C’è l’ultimo punto da discutere! –

Mario non aveva mai amato le riunioni di condominio, ci era andato la prima volta perché costretto dalla nonna, poi, una volta rimasto solo, aveva continuato a partecipare per non scontentare i vecchi amici dell’anziana signora. Aveva l’impressione che per loro vederlo fosse un po’ rivedere lei, di solito non diceva nulla, non rispondeva ai loro commenti poco probabili (tipo “siete uguali, avete lo stesso naso, gli stessi capelli”, quando la nonna aveva un naso rosso e bitorzoluto e Mario cominciava già a perderli, i capelli), guardava tre o quattro volte l’orologio, votava seguendo i voleri della maggioranza e se ne tornava a casa salutando gentilmente tutti. Questa volta, però, tutto sembrava essere differente. I condomini erano alquanto contrariati dall’assenza dei nuovi arrivati, e invece di parlare degli importantissimi punti del giorno (serviva o meno un portiere? La donna delle pulizie ucraina era da licenziare? Chi aveva rotto il portone?), la discussione aveva preso la forma di un immenso pettegolezzo, dove chiunque tirava fuori ipotesi, citava fatti realmente accaduti, arrivava ad importanti deduzioni. Mario non si era reso conto di quanto i Gombri fossero malvisti: e perché poi? Erano così discreti. Sperò che nessuno lo mettesse in mezzo, visto che in realtà l’unico vero vicino dei Gombri degno di questo nome era lui. Per fortuna l’estenuante riunione finì, mentre non cessarono i mugugni, i sospiri sospettosi, i commenti di chi se l’aspettava, fin dall’inizio sembravano un po’ strani quelli, e la moglie lavora? E lui? Davvero lavora da casa? Non hanno nemmeno chiesto scusa per i lavori…

Mario tornò a casa stanco e pensieroso. Mentre riscaldava la cena al microonde (una blasfemia per un pasticcere) si chiese il perché di tanta diffidenza. Mentre si addormentava, distrutto, pensò che forse era proprio quel loro modo di fare discreto, persino un po’ evasivo, a dare fastidio ai condòmini. Col tempo tutto si sarebbe sistemato…

Aveva cominciato a piovere: Mario si accorgeva ogni anno del cambio di stagione dal rumore viscido che facevano le scarpe bagnate dei clienti sul linoleum della pasticceria e, dal caldo del forno, pensava con piacere alla pioggia che cadeva. Quel giorno aveva un grande lavoro: una gigantesca torta nuziale. Mentre fissava gli sposi di zucchero sulla montagna di panna, gli venne da pensare ai Gombri. Era un po’ che non li vedeva, in effetti. Due giorni prima, il solito vecchio con i capelli bianchi gli aveva chiesto informazioni che lui si era ben guardato da dare. Gli dava fastidio il modo in cui li trattavano, quei poveretti.

Domenica li provo ad invitare di nuovo, pensò. Poi si rimise al lavoro: si era distratto e gli sposi di zucchero erano affondati nella panna montata.

In realtà incontrò i Gombri, o almeno due di loro, molto prima della seguente domenica. Il giorno stesso, mentre tornava dal lavoro riparandosi dalla pioggia sotto un grande ombrello, vide Rita e Mimmo che aspettavano accanto al portone. Sembravano terrorizzati.

- Serve aiuto? – chiese loro Mario con un gran sorriso (gli faceva piacere vederli).

Rita e Mimmo non risposero subito: continuavano a guardarlo con quella loro aria spaurita e al tempo stesso terrorizzata, avevano appoggiato per terra le buste della spesa.

- Così si bagnano! – disse Mario e si chinò per prenderle. Aprì il portone e fece segno ai due di entrare. Rita si precipitò dentro, senza neanche guardarlo. Solo quando entrò nel palazzo, all’asciutto, si girò all’improvviso e disse, quasi per giustificarsi: - Noi… siamo tutti bagnati –

Mimmo era entrato per ultimo e continuava a guardarsi preoccupato la manica della giacca che grondava acqua. Mario era un po’ in imbarazzo: per sicurezza attese che i ragazzi entrassero in casa.

Il viso pallido di Vittorio fece capolino dallo spiraglio della porta. – Entrate! Entrate! – gridò ai figli (Mario si rese conto che era la prima volta che lo sentiva gridare).

- Mario – continuò – grazie… davvero. La inviteremo a prendere un tè. Lei lo prende la domenica, no? Alla stessa ora dell’altra volta –

Stava per chiudere la porta senza attendere la risposta di Mario, poi aggiunse: - Ah! Si ricordi lo zucchero. Noi non ne abbiamo in casa –

In pasticceria Mario provò a raccontare ad un collega le stranezze dei nuovi vicini; quello pareva proprio non capirlo: i problemi con la fidanzata, il campionato mediocre della squadra del cuore, una litigata con il cugino, come poteva avere tempo per stupidaggini del genere?

- Che faccio? Ci vado? – si era chiesto più volte Mario in quella settimana. Poi si era deciso ad andarci, in fondo quella domenica si prospettava grigia e molle come tante altre, gli avrebbe fatto bene qualcosa di diverso.

Mario era arrivato con cinque minuti di anticipo. Aveva indossato le scarpe e il cappotto, sentiva i brividi di fine autunno. Vittorio lo accolse con quello che doveva essere un grande sorriso: - Mario! Mario! Benvenuto! Il tè è quasi pronto, è Rita che lo ha preparato! –

Mario si sedette stanco sul divano.

- Scusatemi, non resterò a lungo. Mi sento davvero stanco –

Rita s’incupì immediatamente, Rossella chiese preoccupata: - Che c’è? Non si sente bene? –

- La classica influenza di fine autunno. Ci sono abituato, sono anni ormai che viene, sempre puntuale. Quando andavo a scuola ero contento, saltavo almeno una settimana, con il lavoro è un po’ più complicato… -

- Il tè lo beve lo stesso? – gli chiesero in coro.

Mario bevve con gusto la bevanda calda, questa volta senza zucchero.

– Tanto ho il naso otturato, non sento gli odori –

I Gombri parvero apprezzare.

Dopo qualche minuto sentì la gola bruciata, un liquido caldo che scendeva nelle viscere e una stanchezza che gli faceva quasi chiudere gli occhi. Tornò in fretta a casa e per tre giorni non andò al lavoro.

Dicembre si preannunciava gelido. Il proprietario della pasticceria cominciò a sospettare che i frequenti attacchi influenzali di Mario celassero qualcos’altro. Gli concedeva sempre i giorni richiesti, certo, ma con aria sempre più seccata e, ultimamente, anche con qualche frase borbottata e appena appena percettibile. Aveva chiesto anche alla donna delle pulizie, che era l’unica al lavoro che lo conoscesse un po’ meglio, se per caso fosse successo qualcosa di nuovo nella casa di Mario, che so, una fidanzata, una disgrazia o qualcosa del genere.

In realtà, Mario quell’anno si stava scoprendo incredibilmente fragile, malaticcio e anche un po’ sfortunato. Non c’era raffica di vento, pioggia, freddo improvviso che non lo cogliesse impreparato; spesso le poche centinaia di metri che lo dividevano dal posto di lavoro gli sembravano infinitamente lunghe sotto la pioggia e il gelo e, le poche volte in cui aveva vinto la pigrizia e si era deciso a ritornare a casa, aveva subito conseguenze inimmaginabili dal repentino cambio di temperatura. Cominciava ad interessarsi tantissimo al tempo atmosferico, proprio lui che fino a pochi mesi prima non ci aveva mai fatto alcuna attenzione: non era raro sentirlo parlare da solo, nella strada che lo conduceva al lavoro, mentre espirava sbuffi di sollievo per una bella giornata di sole invernale o malediceva l’ennesimo cielo piovoso. Tutti quelli che lo conoscevano almeno un po’, non poterono negare di aver notato in lui piccoli cambiamenti: non ne erano certi, ma gli sembrava che l’amico fosse più nervoso, più teso e in certe occasioni un tantino più distratto.

Anche Mario, naturalmente, sentiva che piccoli cambiamenti intervenivano (o interferivano?) poco a poco nella sua vita. Era sempre stato una persona estremamente semplice, dalle poche e quasi sempre soddisfatte ambizioni, ora questa strana ansia, questa latente, strisciante, nuova insoddisfazione gli metteva paura. Pensò da quanto tempo non frequentava una donna, provò a credere che fosse il lavoro monotono e senza scosse a renderlo così. In breve dovette ammettere che provava sì piacere, ma sempre minore e ad intervalli di tempo sempre più lunghi, nel fare cose che solo qualche mese prima gli trasmettevano entusiasmo o almeno serenità.

Non sopportava più i suoi condomini: ogni volta che ne vedeva uno al portone di entrata del palazzo, si affrettava a farsi vedere molto impegnato, a far capire di non poter rimandare gli impellenti doveri, ma magari un’altra volta, sì, sì, sicuramente un’altra volta…

Solo i Gombri gli mettevano serenità: quello scambio di tè senza raccontarsi molto, quei volti timidi e riservati, quei saluti mai invadenti cominciavano a rassicurarlo.

Mentre pensava queste cose, Mario si stese sul divano e accese la televisione per vedere i risultati del campionato di calcio, nel corso di un’altra domenica senza sapore.

Un segno tangibile e concreto del particolare periodo che stava attraversando, Mario lo ebbe un mercoledì pomeriggio, al rientro a casa dal lavoro. Pioveva da tre giorni e gli abitanti del quartiere, fra ossa umide e orli dei calzoni perennemente bagnati, non erano certo di buon umore. Davanti al portone due vecchiette stavano conversando e avevano appoggiato per terra la busta per la spesa. L’argomento, come spesso accadeva negli ultimi tempi, verteva sulle ultime novità in casa Gombri. Non c’era alcuna accusa specifica, nessun commento insultante e, in definitiva, nessuna menzogna nelle parole delle vecchie: solo un tono leggermente più seccato del normale ed un incomprensibile riferimento ad un precedente periodo, senza i Gombri, in cui la vita nel condominio sembrava andare decisamente meglio.

Mario passò davanti alle signore con passo deciso. Non rispose ai loro saluti. Mentre quelle si rivolgevano uno sguardo di reciproca sorpresa Mario, intento ad aprire la porta di casa, le congedò con un sarcastico “Buonasera” urlato a gran voce, prima di chiudersi la porta dietro le spalle.

Le donne restarono senza parole e, dopo qualche attimo di attesa, si decisero a riportare la spesa in casa, ché quella sera avevano probabilmente chiacchierato troppo. Mario, una volta in casa, si fece una doccia piuttosto lunga e mangiò senza appetito davanti alla televisione.  

Fu nella successiva riunione di condominio, però, che le cose precipitarono definitivamente. Le intenzioni dei condomini si sarebbero potute capire fin dall’inizio: ai Gombri non era neanche stato recapitato il comunicato dell’assemblea. In un clima da incontro massonico e, per una volta, di segreta intesa comune, i partecipanti iniziarono le discussioni.

- Un inverno come questo non arriverà mai più – cominciò uno. – E se fossero solo le prime avvisaglie? Il tempo sta cambiando, non lo vedete? Sta cambiando definitivamente… - ribatté sicuro un altro.

Ma l’argomento atmosferico era, come si poteva facilmente sospettare, un semplice espediente per arrivare al punto focale della riunione. Apparentemente generici, i discorsi su tempo e clima rappresentavano l’ideale introduzione all’astio e alla paura verso i nuovi condomini che si erano insinuati nell’animo dei vecchi abitanti del palazzo. Fra tutte quelle frasi qualunquiste infatti, in mezzo a quei discorsi in cui tutti, senza esclusione, erano d’accordo, sarebbe stato piuttosto facile o meno doloroso inserire un po’ dell’atavico odio fra vicini.

- A proposito, i nuovi – disse uno che solitamente stava sempre in silenzio alle riunioni (altra mossa politica atta a sensibilizzare i più scettici) – sembra che soffrano terribilmente il freddo. Raramente li si vede fuori casa. E continua a infastidirmi, onestamente, la loro assoluta indifferenza alle questioni condominiali. Viviamo o non viviamo una vita in comune? –

Cenni di assenso e piccoli commenti seguirono le sue parole. In breve la riunione fu trasformata in un processo in cui la parola era solo all’accusa e nel quale l’accusato, eccezionalmente, era assente e impossibilitato a difendersi. – Ma l’amministratore ha già deciso, eh! – si lasciò scappare uno a mo’ di simbolica conclusione del processo – non gli rinnova mica il contratto a quelli. Meglio perderci qualche soldo, ma mantenere la tranquillità! –

Fu in quel preciso momento che qualcuno, Mario non ricorda con precisione chi, cominciò a puntarlo con gli occhi, quindi a indicarlo e infine a rivolgergli direttamente la parola, davanti a tutti: - Lei, signor Mario, lei che li conosce bene, mi pare, dica la verità: non li trova un po’ strani i Gombri? Voglio dire: tutta questa riservatezza, tutto questo mistero… a proposito: ha mica capito che lavoro fa il padre? –

Mario fu colto di sorpresa, già non era abituato a parlare alle assemblee condominiali, in questa occasione poi… Rispose tentennando: - Lui fa… è… cioè, mi sembra… -

Il suo interlocutore aveva ottenuto ciò che voleva: - Ecco vedete – si rivolse trionfante all’assemblea – Neanche a lui lo ha detto. Il mistero s’infittisce, dunque. E pensate che questo sia un bene per il nostro condominio? –

La riunione, per quella volta, si concluse con un nulla di fatto, ma i condomini, ormai, erano decisi: i Gombri se ne sarebbero dovuti andare, in un modo o nell’altro, al termine dei sei mesi –

Mario ricorda come fu da quel giorno che, in un climax crescente di sospetto e diffidenza, i Gombri da corpo estraneo si trasformarono in entità dannosa e odiata dagli altri condomini. Lui, nei loro confronti, si sentiva piuttosto in colpa: avrebbe voluto avvertirli, avrebbe voluto difenderli, ma che cosa poteva dire se lui stesso li conosceva così poco? E poi Mario non aveva proprio la stoffa dell’eroe, la capacità e la volontà di battersi contro tutto e tutti solo per seguire i principi dell’etica e della giustizia. No, Mario era un uomo normale, era sempre stato un uomo normale, un aiuto-pasticcere di un quartiere medio-borghese di Roma, senza grilli né preoccupazioni per la testa, con l’unico obiettivo di vivere bene, per quanto possibile, se non di essere addirittura felice.

Ora questa storia lo metteva in crisi e gli istigava dubbi nuovi, come nient’altro prima nella sua vita.

(2. Successivo >)



Giudizio Utente: / 0

ScarsoOttimo 




Ricerca Avanzata
Aggiungi questo sito ai tuoi preferitiPreferiti
Imposta questa pagina come la tua home pageHomepage
Agorą
Lettere e Forum
Segnalazioni
Associazionismo
Comunicati
Formazione
Dagli Atenei
Orientamento
Lavoro
Concorsi
Orientamento
Impresa oggi
Link utili
Informazione
Associazionismo
Tempo libero
Utilitą varie
Link consigliati
Zenit.org
La nuova Bussola
   Quotidiana
Storia libera
Scienza e fede
Il Timone
Google
Bing
YouTube
meteo
mappe e itinerari
Google Maps e
  Street View
TuttoCittà Street
  View



Questo sito utilizza Mambo, un software libero rilasciato su licenza Gnu/Gpl.
© Miro International Pty Ltd 2000 - 2005