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Economia - Notizie e Commenti
Perché non piace a Romiti il capitalismo di Marchionne Stampa E-mail
"La Fiat di oggi lavora in un contesto sociale più semplice. E non ha sciolto alcune contraddizioni"
      Scritto da Ferruccio De Bortoli a colloquio con Cesare Romiti
25/09/07

romiti_cesare.jpgPubblichiamo l'intervista del direttore de Il Sole 24 Ore, Ferruccio De Bortoli, a Cesare Romiti (amministratore delegato della Fiat quando era presidente Gianni Agnelli) apparsa su Il Sole del 25 settembre


Cesare Romiti non ama i pullover. «Continuo a portare la cravatta, quella non me la tolgo di sicuro». L'ex amministratore delegato e presidente della Fiat, 84 anni, si toglie invece qualche sassolino dalla scarpa dopo aver letto, domenica sul Corriere della Sera, l'intervento del suo successore alla guida della Fiat, pronunciato al convegno pugliese della rivista prodiana L'Industria. Un discorso molto applaudito, soprattutto a sinistra. «Una società liberale che vuole durare nel tempo - sostiene Sergio Marchionne, 55 anni - deve difendere chi è colpito dal cambiamento».

L'artefice della rinascita del gruppo torinese critica l'arida ricerca del profitto del capitalismo anglosassone, rivaluta le virtù del welfare europeo, rilancia il dialogo con i sindacati, ma non manca di sottolineare l'importanza del mercato, la centralità del merito, dell'efficienza e della competitività. Piero Fassino intravede nel manifesto di Marchionne una forte impronta riformista e socialdemocratica, quasi un nuovo modello capitalista. «Sono pronto ad allearmi con lui».

Nella sua casa milanese, Romiti scuote il capo e premette di avere una grande stima di Marchionne, ma di non aver digerito affatto alcuni passaggi di quell'intervento, in particolare quando, parafrasando Dickens, si dice che la Fiat «sta facendo molto, molto meglio di quanto non abbia fatto, sta andando verso un posto migliore, molto migliore di quanto non sia mai stata». Come se chi fosse venuto prima di Marchionne possa essere paragonato al perfido Fagin o al triste Sower di Oliver Twist.

No, argomenta con calma Romiti: la storia della Fiat, ma di qualsiasi altra grande impresa, va giudicata tenendo conto del contesto politico e sociale del tempo. Se questo, forse, è un capitalismo più avanzato, quello di prima non era né reazionario né insensibile ai temi sociali. Non c'è un modello buono e uno cattivo.
«Non dimentichiamoci che cos'era l'Italia della fine degli anni 70: scioperi, conflittualità e la minaccia del terrorismo». Marchionne cita, nel suo intervento, Mel Gibson nel film Braveheart: «Gli uomini non seguono gli uomini, gli uomini seguono il coraggio ». E quanto coraggio, dice Romiti, bisognava avere negli anni in cui cadevano Ghiglieno (dirigente FIAT assassinato da Prima Linea nel 1979, ndr) e Casalegno (giornalista de La Stampa, assassinato dalle Brigate Rosse nel 1977, ndr)? Quando vivevamo sotto scorta e ogni giorno qualcuno veniva gambizzato? Era quello un capitalismo cattivo e pavido? Che cosa sarebbe oggi la Fiat, ma anche il Paese, se non vi fosse stata la marcia dei quarantamila e, prima, il licenziamento di quei 61 dipendenti, fra i quali vi erano molti sospetti collusi con la lotta armata?

I ricordi si moltiplicano, anzi si affollano. «Gli anni del terrore furono anni terribili, durante i quali fare impresa, andare in ufficio o in fabbrica ogni giorno equivaleva a compiere un atto di coraggio civile che metteva a repentaglio la vita propria e dei propri collaboratori ». Romiti parla di Ghidella, Callieri, Mattioli, Annibaldi (suoi collaboratori dell'epoca, ndr). «E Guido Rossa (sindacalista e operaio dell'Italsider di Genova, assassinato dalle BR nel 1979 per averne denunciato l'infiltrazione in fabbrica, ndr)? Io stesso fui oggetto di un tentativo di sequestro. Ma lasciamo perdere».
Gli anni passano, dottor Romiti, e qualche errore lo fece anche lei, lo ammetta. «Sì, ma la crisi della Fiat è stata il risultato di una serie di decisioni sbagliate, e di persone sbagliate. Soprattutto dopo il '98, da quando lasciai la presidenza. Marchionne è stato bravo, lo riconosco. Ma il dialogo con il sindacato lo avevamo anche noi, aprivamo asili, colonie per i figli dei dipendenti, case, servizi». Insomma, Romiti non lo dice, ma trova molto ingeneroso il silenzio di Marchionne sugli anni difficili della Fiat. «Gli scioperi dopo la marcia dei quarantamila (i lavoratori che a Torino protestarono contro i picchetti in fabbrica, reclamando il diritto di tornare al lavoro, ndr) nell'80 finirono. Non se lo ricorda più nessuno. Ora non ci sono più? Sono contento, anche se mi sembra che a Termini Imerese qualche sciopero ci sia stato ancora, recentemente». La Fiat di Romiti diversificò le proprie attività, con successo. La Fiat di Marchionne si concentra sull'auto. Con successo. «Bene, ma allora perché non cede la partecipazione in Rcs (l'editrice Rizzoli-Corriere della Sera, ndr), visto che è cambiato il modello di capitalismo?».

Ma il successo è innegabile o no? Romiti, alla fine, a mezza voce esprime qualche dubbio persino sul fatto che la ripresa di Torino sia così forte e stabile come appare e come testimonia la quotazione in Borsa. E poi ci sono le stock option, che proprio non gli vanno giù (le stock option sono diritti di acquisto di azioni di una società ad un prezzo inferiore a quello di mercato, conferiti come benefit ai manager. Se il manager esercita il diritto, può rivendere le azioni al prezzo effettivo, guadagnandoci. Questo sistema dovrebbe incentivare la produttività, ma alcuni osservano che i manager possono cercare di influenzare l'andamento di breve termine del titolo, per massimizzare il loro guadagno. Ndr). Qualcuno ha fatto il calcolo, sostiene, di quanti secoli deve lavorare un dipendente Fiat per mettere insieme l'ammontare degli emolumenti del proprio amministratore delegato? «Una volta il rapporto fra quanto guadagnava un top manager e un dipendente era molto inferiore». Sì, ma la sua liquidazione, dottor Romiti, fu di diverse decine di miliardi. «Così si stabilì con l'Avvocato, ma le stock option condizionano giornalmente le scelte del manager. Non sempre quello che va bene per lui va bene per l'azienda». La conversazione termina ancora sul pullover. «Ho letto che poi se lo è messo anche Prodi...». Il cronista traduce non autorizzato: stia attento Marchionne, straniero in Patria, a non indossare, senza volerlo, oltre un pullover, una casacca.



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