Enrico Brignano, dopo 23 anni, è finalmente approdato al SISTINA di Roma come one–man-show. Ma tale “avanzamento di carriera” gli ha realmente giovato? Ha alimentato la sua vena artistica? Francamente, a parere di chi scrive, non sembrerebbe.
L’altro giorno mio marito è tornato a casa con due biglietti per lo spettacolo di Brignano. Memori dello spettacolo “fiume” di due anni fa, a causa del quale ci hanno fatto male per una settimana i muscoli facciali per le tre ore di eccessive risate cui ci ha “costretto”, siamo stati lieti che lo spettacolo fosse di domenica pomeriggio, alle 17,00: così, abbiamo pensato, “finirà per l’ora di cena”. E, in effetti, è terminato intorno alle 20,00, ma lasciando un senso di incompiuto.
Non si vuole dire che le sue battute non siano sempre esilaranti, specie quando affronta “i grandi temi della vita”, quali i rapporti uomo - donna, le dinamiche familiari oppure “la dipendenza da telefonino”, ma la sensazione netta è che Brignano sia stato per così dire imbrigliato in rigidi schemi di sceneggiatura, nella quale sono stati inseriti, a volte senza un reale nesso logico con le storie raccontate, patinati balletti che si prendono troppo sul serio per uno spettacolo comico!
La bravura di Enrico Brignano, infatti, è sempre stata nella sua naturale spontaneità, che non consiste solo nel recitare a perfezione un copione, ma anche nell’improvvisare o meglio lasciarsi prendere dalla foga della comicità; tanto da apparire non un attore su un palcoscenico, ma un amico che incontri al bar e che ti fa fare quattro risate rendendo la vita di tutti i giorni, anziché una quotidiana routine, una commedia di cui noi tutti siamo involontari protagonisti. Ed è proprio questa sensazione che domenica è mancata, anche se ha fatto capolino in alcuni momenti: durante lo spettacolo, quando un bambino si è messo a piangere; e, alla fine, durante gli applausi, peraltro meritatamente scroscianti.