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Libri - Recensioni e Profili
Stiamo freschi. Perché non dobbiamo preoccuparci troppo del riscaldamento globale Stampa E-mail
Un'analisi critica del rapporto costi-benefici degli interventi proposti dall’allarmismo ecologista
      Scritto da Piero Vietti
27/05/08
Ultimo Aggiornamento: 24/11/13

Bjørn Lomborg
Stiamo freschi. Perché non dobbiamo preoccuparci troppo del riscaldamento globale 

ed. Mondadori, Milano 2008


L’autore del libro, Bjørn Lomborg, è un professore di statistica, già membro di Greenpeace. Ha abbandonato l'ambientalismo dopo che i suoi studi gli hanno rivelato la natura astrattamente ideologica di tanti allarmismi ecologisti. È divenuto famoso nel 2003 con il suo primo libro, L'ambientalista scettico, dove analizza con rigore (il volume ha oltre 500 pagine, con 3.000 note e una bibliografia di oltre 1.800 titoli), ma al tempo stesso con linguaggio comprensibile e arguto, i falsi miti dell’ambientalismo: effetto serra, biodiversità, inquinamento, sovrappopolazione, esaurimento delle risorse naturali.
Nel più recente
Stiamo freschi, pubblicato nel 2008, Lomborg si concentra sul tema del “riscaldamento globale” (global warming). La prospettiva di analisi scelta, quella del rapporto costi-benefici degli interventi invocati per combattere il fenomeno, offre spunti di riflessione originali e di grande significato, rendendo il testo di grande attualità.
Pubblichiamo di seguito alcuni estratti di una recensione a questo volume apparsa su
Il Foglio a firma di Piero Vietti (le evidenziazioni in grassetto sono nostre).


"Dobbiamo garantirci un vasto supporto di base e catturare l’immaginazione del pubblico, il che implica un’amplissima copertura mediatica. Quindi dobbiamo presentare scenari spaventosi, fare dichiarazioni semplicistiche ma drammatiche, tralasciando di citare i dubbi che potremmo avere”. A parlare è Stephen Schneider, uno dei più famosi esperti di global warming al mondo; la dichiarazione è contenuta nell’ultimo libro di Bjørn Lomborg, “Cool it”. La frase di Schneider riassume alla perfezione l’ideologia da disastro ambientale che Lomborg intende ridimensionare. Quando nel 2001 scrisse “L’ambientalista scettico”, lo scienziato danese venne prima accusato di “disonestà scientifica”, poi – con disprezzo – di appartenere alla sempre più nutrita schiera dei “climate change deniers”, i negazionisti del cambiamento climatico, e infine di avere un modo di pensare agli esseri umani molto simile a quello di Adolf Hitler. Quest’ultimo paragone fu avanzato da R. K. Pachauri, presidente dell’Ipcc, il panel dell’Onu che studia i cambiamenti climatici, organo con cui l’ex vicepresidente statunitense Al Gore ha diviso il Nobel per la pace. Nel frattempo il biondo ex militante di Greenpeace è stato però anche inserito dal Time nell’elenco delle cento persone più influenti al mondo e meno di un anno fa definito dal giornale inglese The Guardian “una delle cinquanta persone che possono salvare il pianeta”.

L’idea di Lomborg è semplice: l’allarmismo che negli ultimi anni si è scatenato sul problema del riscaldamento globale è semplicemente esagerato. E comunque le misure che si vogliono prendere per contenerlo sono inefficaci e molto anti economiche
. Con una spesa decisamente inferiore a quella prevista per portare a termine i grandi programmi sul clima si potrebbe intervenire in modo risolutivo sulle grandi malattie, il problema della fame nel mondo e della denutrizione e la mancanza di acqua in molte parti del globo. In “Stiamo freschi” Lomborg spiega, dati e studi approfonditi alla mano, come questa sua idea non sia il sogno utopistico di un visionario ottimista ma un progetto concretamente realizzabile. Così non contesta la teoria secondo cui l’aumento della temperatura mondiale negli ultimi anni sia dovuta alle emissioni di gas serra provocate dagli uomini (per quanto i dati successivi mettano in discussione questa tesi. Ricordiamo anche che a fine 2009 scoppiò il Climategate, lo scandalo dei dati truccati per attestare un riscaldamento meno evidente del previsto. Ndr), ma la prende sul serio e dimostra come le misure previste dal protocollo di Kyoto e da eventuali nuovi accordi ancora più restrittivi non solo siano irreali ma spesso controproducenti.

Il punto di partenza di Lomborg è – trattandosi di riscaldamento globale – la temperatura che aumenta. Benissimo, scrive, “e che cosa succede quando aumenta la temperatura?”. I media hanno capito che l’associazione di pensiero “global warming” uguale a “paura, terrore e disastri” fa vendere molte copie e pubblicare copertine particolarmente suggestive; i politici hanno capito che promuovere politiche sui tagli alle emissioni di CO2 e nel frattempo inevitabilmente aumentarle dà un’ottima immagine di sé all’opinione pubblica mondiale anche se alla fine non risolve nulla (Lomborg cita l’esempio della Gran Bretagna di Tony Blair che annunciando la volontà di ridurre del sessanta per cento le emissioni entro il 2050 intanto le ha aumentate del tre per cento; o l’ancora più divertente dato che spiega come negli otto anni della presidenza Clinton-Gore l’America abbia aumentato dell’undici per cento le sue).

Sono proprio molti leader mondiali ad aver visto nel global warming “un’occasione per elevarsi al di sopra dell’irridente dibattito politico, vestendo gli abiti di filantropi e di statisti coinvolti nel grande tema della sopravvivenza del pianeta”, scrive Lomborg. E prosegue: “Il riscaldamento del globo è da tempo un tema perfetto. Perché permette loro di toccare argomenti grandiosi ma al tempo stesso vicini al cuore della gente, rende alcune tasse popolari e aiuta a relegare nell’ombra i veri costi della politica”. Tutto ciò ha molto appeal sulle folle, che arrivano anche a cantare, come durante una recente manifestazione ambientalista a Londra, cori con queste parole: “Che cosa vogliamo? Tasse sul biossido di carbonio! Quando le vogliamo? Ora!”. Cittadini che inneggiano alle tasse: probabilmente il sogno di qualunque uomo di governo. Che poi gli impegni che tanti politici stanno assumendo in questi anni abbiano scadenze talmente lontane da ricadere sulle spalle di chi prenderà il loro posto, questo lo dicono in pochi, sottolinea maliziosamente l’ambientalista scettico.

La paura da cambiamento climatico ha sempre eccitato la fantasia delle persone, come se si fosse davanti a un “evento a luci rosse”, scrive Lomborg. Fanno sorridere i titoli dei giornali all’inizio del XX secolo: nel 1912 il Los Angeles Times titolava che “La quinta era glaciale è in arrivo: la razza umana dovrà lottare contro il freddo per salvaguardare la propria esistenza”, e appena dieci anni dopo il Chicago Tribune spiegava che “Uno scienziato afferma che il ghiaccio artico spazzerà via il Canada”. Titoli che per lo meno ridimensionano “storie di copertina” di riviste come U.S. News & World Report che in questi anni annunciavano che “il riscaldamento globale avrebbe provocato siccità, malattie, sconvolgimenti politici, pestilenze, carestie, guerre e flussi migratori”. Se poi si pensa che negli anni Quaranta guerre e carestie erano previste entro l’anno 2000 per colpa del raffreddamento globale, l’invito a “discutere di questi temi in modo pacato” dello scienziato danese è condivisibile.

Stiamo calmi, oltre che freschi, sembra dire Lomborg dalle righe del suo ultimo libro: è vero, la temperatura aumenta, e forse è anche colpa dell’uomo, ma questo non significherà affatto guerre, carestie, inondazioni, uragani e malattie. Un caso per volta, l’ambientalista scettico danese prende i capisaldi della propaganda ambientalista “alla Al Gore” e dimostra come con misure più razionali e meno costose i tanti problemi per cui secondo i media abbiamo i giorni contati siano in realtà facilmente risolvibili. Lo scioglimento dei ghiacci fa annegare gli orsi polari? Applicando Kyoto ne salveremmo 0,06 all’anno. Diminuendo la caccia quarantanove. Milioni di persone muoiono per colpa della temperatura? Partendo dal presupposto che nel mondo la gente muore più per il freddo che per il caldo, con Kyoto ci sarebbero circa 84.000 morti in più, con misure alternative (più verde nelle città, diversi materiali con cui costruire le abitazioni…) ci sarebbe una netta diminuzione di queste morti. L’elenco è lungo, e va dai danni causati dagli uragani al numero di persone infettate dalla malaria, passando per i morti per fame e il deficit idrico mondiale fino al problema da Lomborg considerato il più grave e urgente: la lotta all’Hiv e all’Aids. Il costo annuo per applicare il protocollo di Kyoto sarebbe di 180 miliardi di dollari a fronte dei 52 spesi con misure alternative, definite “veramente efficaci”.

(…) Nel mondo però ottengono ascolto (e fondi) solo gli scienziati che sostengono la teoria catastrofista delle conseguenze da riscaldamento globale. E qui Lomborg lancia un atto d’accusa innanzitutto deontologico ai colleghi scienziati: citando un altro noto climatologo scettico, Richard Lindzen, ricorda che “gli scienziati che si sono dissociati dall’allarmismo hanno visto i fondi per la ricerca sparire e il loro lavoro venire deriso, e sono stati diffamati come tirapiedi dell’industria, scienziati da strapazzo o peggio. Quindi le menzogne sui cambiamenti climatici hanno credito anche quando cozzano contro la scienza che dovrebbe esserne alla base”. Analizzando infatti i dati in possesso dello stesso Ipcc e di molti climatologi nel mondo, appare evidente come le conclusioni catastrofiste siano il frutto di una lettura deviata, a tratti ideologica, degli stessi dati.

E’ anche vero però che nell’ultimo periodo molti scienziati si stanno rendendo conto di “aver creato un mostro” e stanno correggendo il tiro e abbassando i toni apocalittici, anche se chi si è costruito una carriera sull’allarmismo continua a svicolare: interrogato dagli scettici, Al Gore è solito rispondere in questo modo: “Il quindici per cento della gente crede che l’atterraggio sulla Luna sia stato girato su un set in Arizona e una percentuale appena inferiore crede ancora che la Terra sia piatta. Potrebbero riunirsi tutti un sabato sera, insieme con quelli che negano il riscaldamento globale, e festeggiare”. Appare fin troppo chiaro quanto sia difficile il dialogo che Lomborg auspica, ma la tesi del suo libro è che con un approccio più realista in futuro si potrebbero spendere molti meno soldi e risolvere problemi più gravi dell’aumento dell’anidride carbonica nell’aria. “Apprezzo il sotteso intento di aiutare l’umanità, ma l’incrollabile certezza che le riduzioni di anidride carbonica siano il modo migliore per farlo è problematica” scrive Biørn Lomborg in uno degli ultimi capitoli di “Stiamo freschi”. Con un paragone efficace qualche pagina dopo Lomborg spiega che circa il 90 per cento degli incidenti stradali mortali si verifica nei paesi del Terzo mondo e che si è calcolato che tra quindici anni questo tipo di incidenti sarà la seconda causa di morte al mondo. “Nel giro di ventiquattro ore”, dice lo scienziato, “potremmo salvare 1,2 milioni di vite umane, eliminare 500 miliardi di dollari di danni e impedire che milioni di uccelli rimangano uccisi dalle automobili ogni anno, e così facendo si rimedierebbe a una piaga che colpisce in primo luogo i paesi del Terzo mondo”. Basterebbe infatti abbassare i limiti di velocità a cinque chilometri orari: non morirebbe più nessuno. Ha senso? Lo faremo?, si chiede Lomborg. Ovviamente no: il rapporto tra i benefici del viaggiare velocemente e i costi in vite umane ci appare sproporzionato. Il ragionamento da fare sull’utilità dell’applicazione del protocollo di Kyoto (o simili misure) per risolvere l’aumento della temperatura è lo stesso.

Lomborg dice senza giri di parole che l’applicazione di Kyoto o di un’eventuale Kyoto II (…) è dannosa oltre che inutile. (…) “Kyoto si propone di cambiare in quindici anni modelli energetici centenari, finendo per costare una fortuna e non produrre praticamente nulla”. Cosa che militanti ambientalisti come Al Gore continuano a non ammettere senza dare risposte dirette, ma controattaccando gli interlocutori con la tesi che “molte delle organizzazioni che pubblicano ricerche in cui si mettono in dubbio gli effetti del riscaldamento globale sono finanziate dai peggiori inquinatori”.

Fatto sta che man mano aumenta il numero di queste ricerche, che ad esempio dimostrano come il tanto temuto aumento del livello dei mari di parecchi metri nel giro di pochi anni per via dello scioglimento dei ghiacciai è in realtà valutabile in un massimo di trenta centimetri in cento anni: lo stesso aumento dei precedenti centocinquanta. E’ vero che “il dibattito sul global warming è un dibattito sulla nostra missione generazionale” come dice il già citato ex vicepresidente americano, conclude Lomborg, ma nel senso che costringe a questa domanda. “In pratica, che cosa vogliamo realizzare nei prossimi quarant’anni?”. L’autore di “Stiamo freschi” non ha dubbi: la soluzione di piaghe come l’Hiv, la malaria, la mancanza di risorse idriche, la fame nei paesi in via di sviluppo sono risolvibili in tempi brevi e porterebbero vantaggi economici e di vite umane salvate tali per cui a quel punto si avrebbero strumenti, sviluppo e capacità per contenere i danni che deriveranno dai cambiamenti per riscaldamento globale. Cambiamenti che comunque non saranno mai come quelli agitati da tanta scienza catastrofista e che al massimo sarebbero posticipati di qualche anno appena con la diminuzione delle emissioni gassose. Senza tenere conto che sarebbero in linea con i molti cambiamenti già avvenuti nella storia. Tanto che, nota con ironia Lomborg, “se chiediamo a una persona molto anziana di ricordare i fatti più importanti accaduti nel XX secolo, probabilmente citerà i due conflitti mondiali, la Guerra fredda e forse la rivoluzione informatica, ma è alquanto improbabile che aggiunga: ‘Ah, e l’aumento del livello del mare…’”.

P.S.:
Il libro si conclude con queste parole: “Spero che potremo guardare negli occhi le nuove generazioni e dire loro che non abbiamo fatto solo ciò che ci sembrava utile in base alle mode del momento, ma che abbiamo migliorato a fondo il mondo grazie a strategie semplici, sperimentate e sensate; non abbiamo fatto solo qualcosa che ci faceva sentire bene, ma qualcosa che faceva davvero bene."



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