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La sentenza d'appello di "calciopoli" ripara in parte i guasti della prima
      Scritto da Domenico Martino*
19/07/06
Ultimo Aggiornamento: 09/10/06
rossi_guido.jpg
il commissario federale Guido Rossi

*Avvocato

Che lo scandalo scoppiato negli ultimi mesi sia il più grave nella storia del calcio, non ci sono dubbi. Non singole partite truccate, ma illeciti continuati e campionati falsati. La buona fede di molti appassionati tradita (di molti, non di tutti: quanti tifosi si turerebbero volentieri il naso pur di vedere la propria squadra vincere?).

Uno scandalo di questa portata non può finire a tarallucci e vino, perché ciò sarebbe un incentivo a riprendere come e peggio di prima. Sull'esigenza di fare giustizia non possono prevalere né l'entusiasmo per la vittoria della Nazionale ai Mondiali, né il timore di scontentare importanti tifoserie, né gli interessi economici in ballo. Il calcio non è il wrestling, è uno sport prima che uno spettacolo o un'industria: senza credibilità, crolla tutto.

Quindi, serviva un giusto processo, in grado di punire in maniera adeguata tutti (e solo) i colpevoli. Ma questi criteri sono stati rispettati? In larga parte, ci sembra di no.

"Fare giustizia" non significa fare la faccia feroce. E invece sembra che si sia ceduto alla tentazione di restituire una parvenza di credibilità all'industria calcio, individuando alcuni capri espiatori in grado di soddisfare i pruriti giustizialisti. Perché tutto, poi, ricominci proprio come prima... Ma argomentiamo le nostre perplessità.

Giusto processo?

Il primo requisito per fare giustizia, evitando che venga coinvolto chi è innocente, o la faccia franca chi è colpevole, è proprio un "giusto processo". Quello sportivo lo è stato? Nelle modalità con cui si è svolto, prima ancora che nella sentenza, assolutamente no.

E' vero che i processi ordinari - che durano anni - sono troppo lunghi. Ma un processo che dura pochi giorni è un processo serio? Si dirà: la giustizia sportiva ha le sue esigenze, e chi fa parte del movimento, sottoscrivendo la cosiddetta clausola compromissoria (la rinuncia a rivolgersi alla giustizia ordinaria), le accetta. Ma dobbiamo fare due precisazioni.

La prima è che, in uno Stato di diritto, esistono diversi processi, esistono diversi tipi di procedure, ma non possono esistere processi senza procedure certe e predeterminate. O il diritto di difesa è pienamente garantito o non vi è giustizia.

Inoltre, circolano tesi assurde sulla "eccezionalità" del processo sportivo, come quella per cui non sarebbero necessarie "vere e proprie prove", ma basterebbero elementi indiziari per essere condannati. Innanzitutto - come vedremo - non è vero; e, in ogni caso, occorre ribadire con fermezza che qualsivoglia condanna che non si basi su prova certa è una condanna ingiusta e contraria ai principi generali dell'ordinamento (quindi impugnabile).

La seconda precisazione da fare è che, anche ammettendo la specificità della giustizia sportiva, non sono state rispettate neanche le regole della giustizia sportiva stessa!

Già un'interpretazione estensiva del codice ha eliminato il primo grado di giudizio, lasciando un unico grado di "merito", chiamato cioè a ricostruire i fatti ed esaminare le prove (la CAF, che normalmente è il grado di appello). Ad esso è seguito direttamente il giudizio di "legittimità" - la Corte federale -, chiamato a verificare la correttezza di comportamento della CAF, con ridotta possibilità di tornare nel merito. Come se non bastasse, il commissario federale Guido Rossi ha stabilito d'autorità tempi massimi di durata del processo (dove si è mai visto!), dimezzando per di più quelli minimi previsti dal codice di giustizia sportiva.

In questo modo, non era evidentemente possibile che lo svolgimento del dibattimento potesse rispettare le garanzie per individuare le vere responsabilità. Lo sottolinea persino l'avvocato Giuliano Pisapia, ex deputato di Rifondazione comunista e tifoso interista: una persona insospettabile!

Pisapia, in un'intervista al Corriere della Sera del 7 luglio, afferma: «Nessuno ha sottolineato che qui i giudici decidono solo sugli atti portati in aula dalla pubblica accusa. Leggo l'articolo 37 del codice: "Il dibattimento si svolge in contraddittorio tra la procura federale e le parti... Al termine del dibattimento il rappresentante della procura formula le proprie richieste". Bene, qui il dibattimento non c'è stato. Perché il dibattimento è il luogo dove si verifica la tesi accusatoria e si forma la prova». Alle difese non è stato consentito di produrre prove, di citare testimoni (come anche ammetterebbe lo stesso art.37). E la pubblica accusa ha formulato le sue richieste di condanna ancor prima che iniziasse il dibattimento! Come succedeva in Unione Sovietica...

Spiega ancora Pisapia: «Anche per i giudici più imparziali e più autorevoli come quelli scelti in questo caso, è ben difficile arrivare a una sentenza equa se il loro giudizio, come sta avvenendo in questo processo, si basa solo sugli atti della pubblica accusa (gli atti dell'ufficio indagini della Figc, guidato da Borrelli)». Insomma, la difesa non può produrre prove d'innocenza. Ma il bello è che non può neanche mettere in discussione le prove fornite dall'accusa! Anche sulle carte che arrivano dalla magistratura ordinaria, sottolineava Pisapia, «non c'è stata la possibilità di intervento della difesa: e tutto ciò esclude un giudizio equo in quanto non c'è neanche la possibilità di invertire l'onore della prova».

Conclude Pisapia: «Non è così che si fa pulizia del marciume diffuso. La si fa solo creando una situazione per cui tutti i tifosi, di qualsiasi squadra siano, alla fine del processo non possano recriminare che vi sia stato un giudizio sommario in cui sono stati lesi i diritti della difesa».

La pensa allo stesso modo un esponente della giustizia sportiva come l'avvocato Giuseppe Benedetto, giudice federale per il settore giovanile e scolastico, che in una lettera al commissario della Figc Guido Rossi ha clamorosamente annunciato le dimissioni: "Non intendo in questa sede approfondire il merito della sentenza. E' il metodo usato, nel processo e con il processo, che mi induce a urlare: il diritto e' un'altra cosa! Non mi interessa far parte di questo mondo. Voglio continuare a indignarmi. Esercito la professione di avvocato e intendo continuare a farlo, a posto con la mia coscienza. Si trovi un altro giudice''.

Insomma, perché tanta fretta nei giudizi? Innanzitutto per definire in tempo utile quali squadre dovranno partecipare alle competizioni europee. Quindi... questione di soldi!

Le sentenze: punizioni "adeguate"?

- La sentenza di primo grado della CAF

La fretta eccessiva avrebbe potuto essere "compensata" da un giudizio equo, che tutelasse almeno nella sostanza (laddove non lo aveva fatto nella forma) i diritti della difesa. Ma un'altra regione della fretta era forse che l'impostazione di fondo delle sentenze era probabilmente già segnata (e un tempo più congruo 'rischiava' di fare emergere i fatti con più chiarezza...). Non rifacciamo qui il processo per definire le diverse responsabilità; ma alcune enormità sono evidenti, soprattutto per l'assenza di una reale graduazione delle pene.

La Juve era stata trattata con una certa severità, ma aveva scampato la pena che ci si attendeva per la "condotta continuativa" dei suoi dirigenti volta all'alterazione dei campionati: la serie C. Pena scampata perché la si sarebbe condannata al fallimento e si sarebbe scontentata la piazza più grande d'Italia.

Discorso simile col Milan: trattamento severo (Berlusconi non è certo nelle simpatie politiche di Rossi e Borrelli), ma non severissimo: anche in questo caso per il seguito di opinione pubblica, nonché per la capacità di controffensiva politica e televisiva.

Paura dei giudici di apparire deboli di fronte all'opinione pubblica? E allora serie B per Lazio e Fiorentina. Punizioni non lontane da quella della Juve, anche se le responsabilità di queste squadre sono lontane anni luce da quelle del sistema Moggi-Giraudo.

La Fiorentina ha sì commesso una "pluralità di illeciti", ma dopo essere stata ripetutamente vessata per la sua opposizione politica ai vertici del calcio. Non meritava nessuna attenuante? Il fatto è che in questo caso i nuovi potenti avevano pensato che la loro severità avrebbe trovato una resistenza politica più blanda, da una piazza viola che è più debole ed è già stata "beneficiata" tre anni fa con la promozione in B per meriti sportivi.

Quello della Lazio è il caso più clamoroso. Per la stessa CAF (nelle motivazioni della sentenza) la società capitolina era stata "dichiarata responsabile di un solo illecito". Anzi, di un tentato illecito mal riuscito, visto che si riferisce ad un Lazio-Brescia in cui la squadra romana pareggiò, restando alla fine danneggiata dall'arbitro Tombolini. Anzi, di un presunto tentato illecito, visto che non esistono intercettazioni telefoniche in cui si senta il presidente Lotito parlare con i designatori arbitrali o chiedere un intervento per quella partita, ma si conosce solo la sua richiesta ai vertici istituzionali di tutela contro i torti subiti (anzi, la si desume da una telefonata tra Carraro e Bergamo, in cui peraltro il Presidente federale dice al designatore: "se il Brescia è più forte, vinca"). Era stato applicato alla società l'art. 9 del codice di giustizia sportiva, per cui la responsabilità della società (per l'intervento con cui Bergamo chiede all'arbitro Tombolini di arbitrare con attenzione, visto che l'ambiente romano era in fermento) si considera presunta. Inoltre, non esiste nessuna delle aggravanti previste dal comma 6 dell'art.6 (pluralità di illeciti, alterazione del risultato, vantaggio in classifica). Anche volendo ammettere una violazione del principio di lealtà e correttezza (che però non è ravvisata dal vecchio procuratore federale De Biase - che mandò la Lazio in serie B nel 1980 -, o dal vice procuratore uscente Stagliano - tifoso romanista -: gente che di giustizia sportiva se ne intende), troviamo proporzione, nella pena, con quella comminata alle altre squadre? Il fatto è che, pure qui, i vertici del calcio sapevano di trovare minore resistenza in una piazza laziale non compatta a difesa della società, vista la guerra implacabile che gli ultras conducono da mesi contro il presidente Lotito.

Una simile "livella" la riscontriamo nelle pene ai tesserati: Moggi e Giraudo cinque anni di inibizione, Della Valle quattro, Lotito tre e sei mesi: aveva un senso tutto questo?

Ci sia concessa un'annotazione su un'altro dei luoghi comuni che alimenta la presunta "eccezionalità" della giustizia sportiva: quello per cui il tentativo di illecito verrebbe sanzionato come se l'illecito stesso sia stato compiuto. Ebbene, occorre ricordare che il tentativo, per potersi configurare - e, quindi, essere punito - come tale, non può essere limitato a una semplice conversazione, ma deve concretizzarsi nel compimento di atti concreti (art.6 comma 1 del codice di giustizia sportiva; atti che, come spiega analogicamente l'art. 56 del codice penale, devono essere idonei, diretti in modo non equivoco a commettere il delitto).

Un'ulteriore, incredibile stranezza: se il sistema di potere malato (anzi, la CAF preferisce parlare non di sistema, bensì di "atmosfera inquinata") si basava sul condizionamento degli arbitri, com'è possibile che quasi tutti gli arbitri siano stati assolti? De Santis e Dondarini potevano alterare da soli i campionati?

- La sentenza d'appello della Corte federale

L'equilibrio nel merito che non aveva trovato la CAf, lo ha poi trovato la Corte federale (forse con eccessiva indulgenza per il Milan). E' vero che alcune società continuano a parlare di pene eccessive, ma, come ha dichiarato lo stesso presidente della Corte Sandulli, "è stata ripristinata una più corretta gradualità delle pene tra chi ha organizzato un sistema e chi ha tentato di giovarsene, riuscendoci o no".

Forse la Corte federale è stata più brava della CAF. O forse era tutto un gioco delle parti: il primo giudizio severissimo serviva a far accettare meglio il secondo, visto come scampato pericolo...

Puniti tutti i colpevoli?

Altri filoni di indagine della magistratura ordinaria (caso GEA, falsi in bilancio) e sportiva faranno partire nei prossimi mesi nuovi processi. E magari verranno fuori elementi che potevano essere determinanti per quello in corso... Ci chiediamo però se debbano finire in archivio altri episodi di malcostume che la vecchia - e compromessa - giustizia sportiva aveva frettolosamente archiviato: i Rolex d'oro agli arbitri? Il doping? Le false fideiussioni? I falsi passaporti (il dirigente dell'Inter Oriali ha patteggiato la pena - riconoscendo la sua responsabilità - per il caso Recoba)?

Conclusione: era reale - e sembrava inevitabile dopo la sentenza di primo grado - il rischio di un  ricorso ai tribunali amministrativi (TAR, Consiglio di Stato) e ordinari da parte di squadre e tesserati che si sentivano ingiustamente danneggiati. Anche perché non sono in ballo solo l'interesse e la passione di milioni di tifosi, ma veri e propri diritti soggettivi: dei dipendenti delle società, dei titolari di azioni delle società quotate in borsa, degli sponsor, ecc. Ricordate il caso Catania? Iscrizione al campionato ordinata d'ufficio dal TAR, calendari rivoluzionati, ritardi, la giustizia sportiva che dovette infine ammettere i propri errori e allargare i campionati... La nuova legge dello Stato che regola la materia ha limitato, ma non ha escluso, le ipotesi di ricorso alla giustizia ordinaria, soprattutto se sono lesi status e diritti soggettivi (appunto...): le intimidazioni del commissario Rossi, che minaccia di non iscrivere ai campionati le squadre che ricorrano alla giustizia extrasportiva, sono quindi illegali, e gettano un ulteriore velo di preoccupazione sulla gestione del nuovo calcio.

L'alternativa è divenuta quella delle ulteriori tappe (Camera di conciliazione del CONI, arbitrato) interne al sistema sportivo. I "giustizialisti" diranno che si sono volute "annacquare" le sentenze, che hanno ripreso coraggio i vecchi poteri (anche con l'elezione di Rosella Sensi alla vicpresidenza della Lega?). A noi sembra piuttosto che si è cercato di evitare i giustificati ricorsi al TAR, di arginare i guasti di un procedimento farraginoso, antigiuridico, che cercava la gogna mediatica più che l'accertamento delle responsabilità.

Alla fine, non si può parlare di pene irrisorie (anche perché va considerata - per Juve, Fiorentina e Lazio - l'esclusione dalle coppe, con i danni economici conseguenti). Se vogliamo uscire dalla faziosità provinciale (per cui i tifosi delle squadre coinvolte gridano innocenza, quelli delle squadre - ancora - non coinvolte invocano la gogna e sperano in vantaggi), dobbiamo ribadire: niente perdonismi, né giustizialismi, ma giustizia vera. Altrimenti iniquità si aggiungerà ad iniquità, ed il gioco più amato dagli Italiani, di cui ci piace quel certo "sapore antico", precipiterà in una spirale di veleni infiniti.

P.S. Il ministro Melandri afferma che "le sentenze non si commentano". Avesse detto "preferisco non commentare", avremmo rispettato la sua prudenza. Ma la pretesa di mettere a tacere ogni critica ci conferma che la signora non si intende né di calcio, né di giustizia (quindi potrebbe finire col sostituire Mastella...).



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