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Religione e società - Notizie e Commenti
"Paola, lasciati benedire dal Papa" Stampa E-mail
Perché la Chiesa - oltre che Gesù - è un esigenza di tutti (anche di chi non la sente)
      Scritto da Camillo Langone
10/01/07
le_brun_dioingloria.jpg
Charles Le Brun, Dio in gloria
Pubblichiamo questo articolo, apparso su Il Foglio del 6-1-2006, che - sia pure con qualche provocazione - offre con ironia e vivacità numerosi spunti di riflessione.


Carissima Paola, sei stata laconica: “Ti sembra abbia un senso logico la sovrastruttura della Chiesa nella nostra società? A me no. Non ne sento davvero l’esigenza.”

Io proverò a dimostrarti che, anche se non la senti, l’esigenza ce l’hai.

Non la prenderò da lontano, ad esempio non la prenderò dall’esistenza di Dio. Ho il sospetto che farmi crescere la barba e atteggiarmi a mistico mi farebbe gioco ma la metafisica non è il mio forte. C’è un mio amico che per far colpo sulle donne dice di essere “un uomo in ricerca”. Quando lo sento mi viene da ridere. Io credo nel Creatore perché ho sotto gli occhi la Creazione e non ho mai avuto bisogno di cercare i mari e le montagne, le grandi querce, il vento sull’Appennino, il bambino dentro l’ecografia, le cicale assordanti nei pomeriggi delle estati pugliesi, il vitello che cerca il capezzolo di una madre dagli occhi dolcissimi, il vino rosso, il corpo della donna. Me li sono trovati davanti. Senza ricerca né fatica. Nessuna macerazione, nessuna conversione: solo visione.

Se proprio mi costringessero con la forza tirerei in ballo san Tommaso d’Aquino e la sua prova numero due, all’incirca questa: “Non è possibile che qualcosa sia causa di se stessa, poiché dovrebbe essere precedente a se stessa. Occorre dunque rimandare a una causa prima, incausata: questa causa prima è Dio”. Prova indubitabile ma per me inutile e per gli atei insufficiente, visto che costoro oltre a essere ciechi sono del tutto irragionevoli. A proposito: non sarai atea anche tu? Appunto perché lo sospetto non te l’ho mai chiesto esplicitamente, sono un uomo delicato, il colpo sarebbe troppo forte.


Non si può credere in Gesù e non credere nella sua istituzione. La Chiesa è il proseguimento di quel fare, solo con mezzi più modesti

Spero che tu sia solo una delle tante donne superbe che vorrebbero dividere Gesù dalla sua Chiesa, come Lauryn Hill che nel 1998 fu la mia consolazione (di quel periodo non ricordo niente di più bello della chitarra che entra alla fine di “Ex-Factor”) e nel 2003 la mia disperazione, quando in Sala Nervi, durante il concerto di Natale in Vaticano, con perfetta scelta di tempo e luogo pensò di partecipare al mondo la secrezione della sua testolina: “Credo in Gesù ma non nella sua istituzione. Non credo in nessun rappresentante di Dio in terra.” Bisogna sempre avvisare che non è possibile credere in Gesù e nel contempo non credere nella sua istituzione, appunto perché sua, istituita da lui (E se no da chi altri? Poteva essere san Pietro, pescatore ignorante, uomo vigliacco, a mettere nel serbatoio benzina sufficiente per venti secoli? Mai nella storia umana si sono visti duemila anni di autorità senza soluzione di continuità, e il tentativo fallito da faraoni e imperatori poteva riuscire per merito di quattro preti?).

Vabbè che repetita iuvant ma io mi sono stufato di ripetere sempre la stessa citazione, se ti interessa la trovi nel Vangelo di Matteo, capitolo 16, versetti 13-19. Gesù ci tiene moltissimo a lasciare un’istituzione che trasmetta il suo messaggio dopo la sua morte, e parla di pietre, di chiavi, di cose utili e pratiche, e anche quando riappare dopo la resurrezione eccolo che ribatte sullo stesso tasto, e dà ordini di tipo organizzativo, non dice agli apostoli siate buoni, non toccatevi il pisello, percuotetevi il petto nel chiuso della vostra cella, niente di tutto questo, dice predicate, andate, fate, e nel Vangelo di Giovanni c’è questa bella scena sul lago di Tiberiade in cui lui dopo aver mangiato un pesce arrostito (non era mica vegetariano, anche questo bisogna sempre ricordarlo) si preoccupa di martellare nella testa di Pietro la missione da compiere: “Pasci i miei agnelli”, “Pasci le mie pecorelle”, “Pasci le mie pecorelle”. Lo dice tre volte conoscendo bene la dura cervice di quell’uomo in particolare e degli uomini in generale.

Ma a questo punto Paola voglio fingere che tu non creda a Matteo, a Marco, a Luca, a Giovanni, e nemmeno a Paolo che negli Atti degli Apostoli ha riferito un discorso simile. Cinque uomini che non avevano alcun interesse a scrivere Vangeli e Atti (nessuna speranza di diritti d’autore bensì prospettiva di stenti e martirio). Fingerò che tu non creda ai numerosissimi testimoni che videro Gesù da vivo, da morto e poi da risorto, che tu non creda nemmeno agli storici romani e ai papiri del Mar Morto, che tu non creda in nulla o che in nulla tu creda abbastanza.

La tua incredulità non toglie molto all’esigenza di avere la sovrastruttura Chiesa, come la chiami tu. Io sto con René Girard, il massimo filosofo vivente, per il quale il Vangelo è valido anche se Cristo non è risorto, e figuriamoci se. In splendidi libri di non troppo facile lettura ha dimostrato come i quattro Vangeli siano gli unici testi capaci di svelare la natura umana più profonda e nello stesso tempo di fornire una ricetta efficace per mitigare la violenza intrinseca al cuore del singolo e della comunità. Tutta la sua opera sembra lo sviluppo dell’intuizione di Simone Weil, l’ebrea che incontrò Cristo ad Assisi nel 1937: “Prima di essere una teoria su Dio, una teologia, i Vangeli sono una teoria sull’uomo, un’antropologia.” Ma dire teoria è dire troppo poco, di teorie è pieno il mondo: Gesù mette anche in pratica. E anche dire pratica non basta: la pratica cristiana è buona. Gesù non dice armiamoci e partite come Muhammad, Maximilien de Robespierre, Napoleone Bonaparte, Vladimir Ilic Lenin, Josif Stalin, Benito Mussolini, Adolf Hitler, Mao Tse-tung, Ruhollah Mosavi Khomeyni, Osama bin Muhammad (guarda chi si rivede) bin Awad bin Laden. Gesù parte lui e parte disarmato.

La Chiesa è il proseguimento di quel dire e di quel fare con mezzi più modesti, e ci mancherebbe, ma sui cui risultati non è saggio sputare, esattamente come non si sputa nel piatto dove si mangia. I risultati dell’addomesticamento cristiano della bestia umana, immenso interminabile lavorio, li mangi e li bevi tutti i giorni, Paola.


Cara amica, ricorda che i risultati dell’addomesticamento cristiano della bestia umana proprio tu li mangi e li bevi tutti i giorni

Io non posso dire di conoscerti, ma quei pochi minuti di quei pochi incontri mi sono bastati per accorgermi se non delle tue esigenze almeno delle tue evidenze, che mi ritrovo stampate nella mente in numero di tre: 1) i capelli, 2) i pantaloni, 3) il vino. Evidenze, nient’altro che evidenze, perché sono un uomo superficiale: la tua anima voglio salvarla, non pretendo di conoscerla, odio gli obiettivi ambiziosi. Pertanto quando penso a te penso ai tuoi capelli neri, lucidi, splendidi. Ai tuoi pantaloni, che pur non essendo Incotex (la mia marca-ossessione) cadevano perfetti, chissà perché. Al vino che ci siamo ripromessi di bere nel nostro prossimo incontro, già fissato a Milano se non ricordo male in zona Magenta (purché non all’omonimo bar, magnifico bancone, d’accordo, ma il legno non si beve).

Partiamo dai capelli e dai pantaloni. Sai bene che l’esibizione dei primi e l’utilizzo dei secondi non è affatto scontata. Guarda che cosa è successo in Egitto, l’Egitto di Kavafis, di Marinetti, di Ungaretti, e per venire più vicino a noi l’Egitto della giovinezza di Magdi Allam, quando “per le strade del Cairo le donne indossavano le minigonne, così come sulle spiagge di Alessandria esibivano il bikini”. Sono passati pochi anni e la maggioranza delle donne egiziane porta il velo. In Iran sono previste fino a 100 frustate in pubblico per chi porta “pantaloni stretti” e i pantaloni che ti ho visto addosso temo che meritino questa definizione. Non penserai di essere al sicuro solo perché vivi in Europa. I politici di questo continente fradicio, di destra o di sinistra cambia poco, sono tutti zapateriani: i desideri della maggioranza sono legge. Salvo il miracolo di una conversione di massa per la quale prego intensamente, fra non molto alcune città olandesi e qualche quartiere italiano diventeranno a maggioranza maomettana e a quel punto ci sarà il rischio che tu debba cambiare abbigliamento o studiare bene i percorsi da fare, prima di uscire di casa. Ci saranno sempre più luoghi e situazioni in cui il tuo modo di apparire potrà risultare offensivo.

Ti auguro di avere presto un bambino e davanti alla scuola, all’ora dell’uscita, potresti imbatterti in una quantità di velate e di barbuti. Scommetto che a quel punto sentirai l’esigenza di una scuola cattolica. Nel generale collasso della ragione, chi può difendere la dignità e la verità? Prodi, il cattoabortista che in chiesa riceve il Corpo di Cristo e alla commissione Moro giura di aver saputo l’indirizzo del covo brigatista facendo il gioco del piattino nel corso di una seduta spiritica? D’Alema allevato e invecchiato nella doppiezza togliattiana? Veltroni che vuole “mettere d’accordo tutte le diversità del mondo” distribuendo film alle plebi, alla maniera di Maria Antonietta con le famose brioche? O Gianfranco Fini, l’uomo che vuole introdurre lo studio del Corano nella scuola italiana? (L’aspirante capo della presunta destra ritiene indispensabile che anche ai più piccini giunga la seguente esortazione del Profeta: “Uccidete gli idolatri dovunque li troviate, prendeteli, circondateli, appostateli ovunque in imboscate”. Oppure quest’altra, sempre tratta dalla Sura della Conversione, che si riferisce a noialtri bevitori di vino e mangiatori di prosciutto: “Combattete coloro che non ritengono illecito quel che Dio e il Suo Messaggero han dichiarato illecito. Combatteteli finché non paghino il tributo uno per uno, umiliati”).


Ugo Grozio diceva che “senza il primato del Papa non ci sarebbe più modo di porre un termine alle dispute e di stabilire la fede”

La dignità e la verità, alla fine della fiera e al netto degli interessi, le difende solo il Papa, un vecchio studioso senza vanità da soddisfare né elettori da compiacere (ecco l’importanza della nomina a vita) né figli da sistemare (santo celibato!). “Non havvi dubbio che, senza la presenza del papato a Roma, l’Italia sopra gli Appennini sarebbe divenuta una provincia tedesca. E la parte peninsulare della regione italica, sarebbe da gran tempo una provincia musulmana, seguendo le sorti della Seconda Roma, Costantinopoli”. Sono le parole nuovamente attuali di Ludovico Antonio Muratori, storico del Settecento, sul centro di gravità permanente che ha consentito all’Italia di non essere scaraventata fuori da se stessa, a dispetto di una geografia rischiosa e di un’antropologia disastrosa. L’unica differenza è oggi la Germania, che con 1,37 figli per donna non fa più paura nemmeno al Lussemburgo.
Tu forse no, ma i tuoi capelli sciolti e i tuoi pantaloni stretti sentono l’esigenza di quella finestra di piazza San Pietro, là dove parla il 265° vicario di colui che elevò la donna da oggetto (quale era nel mondo pagano) a persona e che a Gerusalemme pronunciò parole inaudite contro il totalitarismo: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Dove si vede chiaramente come la libertà discenda dall’autorità. “Senza il primato del Papa non ci sarebbe più modo di porre un termine alle dispute e di stabilire la fede” scrisse il giurista Ugo Grozio. E infatti nell’islam, dove non esiste un’autorità suprema ma un gran numero di capi e capetti in sanguinosa lotta fra loro, su capelli e pantaloni non riescono a venirne a capo e siccome anarchia fa rima con ferocia (nessuna eccezione, per quanto è lunga la storia) a farne le spese sono le donne che capitano sotto le loro grinfie.

Alla conferenza di Teheran organizzata da Ahmadinejad per dare giustificazioni storiche all’auspicata distruzione di Israele c’erano ovviamente vari maomettani ma anche qualche rabbino ebreo, ansioso di diventare sapone. Non c’era e non poteva esserci nessun prete cattolico perché in tal caso non sarebbe più stato tale, sarebbe stato scomunicato: la Chiesa sbaglia spesso ma non delira mai. Se hai l’esigenza di ragionare, la Chiesa ti aiuta almeno a non perdere la testa. “La Santa Sede ha contro di sé soltanto l’orgoglio” scrisse Joseph de Maistre, lucido quanto i tuoi capelli. Perfino in questa Italia senescente e tarlata alberga la folle idea di poter sfangarla da soli. Un bel corso di educazione civica, una visita al Quirinale e un fervorino multiculturale ed ecco che i nostri scolaretti diventeranno buoni cittadini. Auguri vivissimi.

E ora il vino, che entrambi non disdegniamo. La vera religione ha fatto più di un milione di sommelier per la diffusione del succo d’uva fermentato, che Cristo (carnivoro e bevitore) nell’Ultima Cena ha voluto diventasse il suo sangue. Stavolta il nemico principale non viene da sud, la capricciosa proibizione coranica dell’alcol, ma dal nord, la guerra di Bruxelles contro la vita. Già i bevitori non possono più guidare, se non a rischio di forti sanzioni. Secondo gli europarassiti dovrebbero essere ulteriormente combattuti. Gli amanti di Aglianico e Lambrusco dovrebbero trovare difficoltà a curarsi, ad assicurarsi, a farsi assumere. E’ una guerra religiosa, chiaro, l’aggressione dell’ateismo militante allo stile di vita cristiano. Purtroppo papa Benedetto XVI non ha ancora, mi sembra, parlato pubblicamente in favore del consumo di vino, ma penso che lo farà siccome da cardinale ha scritto: “Questo legame tra liturgia e mondanità (Chiesa e osteria) è sempre stato considerato tipicamente cattolico e lo è per davvero”. Hai letto bene: Chiesa e osteria. E la chiami sovrastruttura, orpello inutile, quell’entità che per statuto difende tutto quello che rende la vita amabile, compresi il vino, i vigneti, i vignaioli, le vinerie?

Ogni volta che il Papa prende la parola, prende la parola per difendere te, quello che ora sei, quello che sono stati i tuoi avi, quello che saranno i tuoi figli. Non è un sindacalista, non salva i vecchi affossando i giovani, non risparmia i lavoratori dipendenti buttando a mare i precari. Il Papa è cattolico, katholicòs quindi totale, universale. Si fa carico anche degli ingrati che non se lo filano ma che campano grazie a lui, perché a Roma molti atei e agnostici dovrebbero cercarsi un vero lavoro se non ci fosse la Santa Sede, e nel resto d’Italia idem perché l’arte che tiene in piedi il turismo è per il 90 per cento cattolica apostolica e romana. Il Papa difende anche i deficienti che in ogni bar, in ogni tavolata ancora attribuiscono all’influenza vaticana l’assenza in Italia di casini legali (che invece sono stati chiusi da una moralista di sinistra, mentre ai tempi bonaccioni del Papa Re, 1526, nella capitale vivevano millecinquento puttane regolarmente censite e tassate su una popolazione di cinquantamila abitanti). Il Papa difende anche gli insulsi che la domenica non vanno a messa senza sapere che la domenica possono poltrire grazie a quelli che a messa ci vanno. Io sono papalino, come no, ma anche tu hai l’esigenza di avere un padre.

Che la benedizione del Papa ti raggiunga.

Camillo



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