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Musica - Recensioni e Profili
"La Risurrezione" di Bruce Springsteen Stampa E-mail
Il simbolismo religioso nella produzione del rocker americano, sino all'album "The Rising"
      Scritto da Antonio Spadaro S.I.
05/10/02

sprigsteen_oggi_chitarra.jpg

pubblicato su Civiltà Cattolica n.19, quaderno 3655, del 5-10-2002 IV 3-106

Dopo sette anni di assenza Bruce Springsteen, "the Boss", come lo chiamano i fans, torna nelle classifiche mondiali con un disco ispirato ai drammatici eventi dell’11 settembre 2001 dal titolo decisamente evocativo: The Rising. Noto come musicista, Springsteen si rivela autore di testi di varia ispirazione e sensibilità: ora visionari, ora lirici, ora narrativi. Anzi si può riconoscere una sorta di percorso nella sua produzione, che si muove da versi densi di immagini astratte e intense a testi che raccontano storie con una precisione di linguaggio, intrecciato di metafore, allitterazioni, allegorie, che ne fa racconti in forma di poesia(1). Tratto caratteristico dei suoi album è un realismo innervato di sogni e desideri in cui tutti possono ritrovarsi. La sua arte non si distacca dalla vita comune: egli desidera riconoscere la dignità o, meglio, la «nobiltà»(2) del quotidiano. Per trarre ispirazione il Boss dunque non è andato lontano: ha guardato alla propria vita personale — intrecciata di alti e bassi, crisi affettive e desideri di una vita serena — e a quella della gente attorno a lui, stretta tra un irrealizzabile American Dream e il crudo quotidiano della periferia.  (Per un profilo musicale di Springsteen vedi anche, nel nostro sito, Il segno del Boss - NdR)

È questa corda a farlo vibrare all’unisono con scrittori come John Steinbeck e Flannery O’Connor. Ma tra le sue fonti d’ispirazione è da porre anche la Bibbia. Springsteen viene da una famiglia cattolica di radici italo-irlandesi, tuttavia il suo rapporto con la religione non è mai stato idilliaco. Egli ha fatto risalire il suo rifiuto della fede a un’esperienza negativa avuta da bambino: «Dio fu usato puramente come uno strumento di controllo. Quando compii tredici anni ne avevo abbastanza e dissi: “Basta!”»(3). Il Dio immaginato e rifiutato è dunque il Dio controllore. Di recente alcuni semplici gesti del Boss hanno fatto riflettere sulla sua percezione del sacro(4).

Ogni considerazione legata alla coscienza personale del musicista sarebbe però indebita. Quel che qui ci interessa non è dire se Springsteen sia credente o meno, né se la sua musica esprima genuinamente la fede o se la tradisca, anche perché la sua produzione in questo senso non è affatto univoca. Intendiamo però far notare come, in modo consapevole o meno, la sua ispirazione sia ricca di figure, termini e simboli di valore religioso. Se, infatti, alcune sue canzoni giovanili appaiono blasfeme e banali e sono frutto più di uno sfogo acido che di vera ispirazione, ciò che balza evidente a una lettura completa dei suoi testi è il fatto che, alla palese ribellione degli anni dell’adolescenza, fa riscontro una sensibilità per il linguaggio e i simboli della fede cristiana. Del resto, già vari teologi — sia cattolici sia protestanti (Andrew Greeley, Jerry H. Gill, Kate McCarthy, William D. Romanowski…)(5) — hanno notato come l’opera di Springsteen abbia una qualità «redentiva»: essa gioca i suoi simboli e i suoi temi principali (strada, macchina, oscurità, amore…) in una dialettica di perdizione e speranza, adoperando di frequente immagini e termini della tradizione biblica.

Da «flash» visionari a storie scure

Springsteen, nato nel 1949 in una cittadina del New Jersey, già nel 1965 suonava nei circuiti del Greenwich Village di New York(6). Nel ’72 un’audizione con il producer John Hammond gli apre le porte dei sogni e così nel ’73 esce il suo primo album: Greetings From Asbury Park, N.J. Colui che veniva lanciato come una sorta di nuovo Bob Dylan già presentava uno stile acerbo ma personale, che lo renderà capace di muoversi con una certa libertà tra folk, rhythm n’blues e rock. Gli scenari di quest’album sono composti di rapine, malavita, donne ubriache, drammi on the road ritmati dalla fuga. Nel brano Growin’ Up sembra trovare la chiave dell’universo nel rombo di una vecchia auto. Le inquietudini del musicista ventitreenne al suo esordio sono distillate in una vertiginosa successione di flash e visioni: quelle canzoni, dirà Springsteen anni dopo, «erano dei lampi, autentica energia. Scrivevo come in preda a una febbre. Non avevo soldi, nessun posto dove andare, niente da fare. Era inverno, faceva freddo e scrivevo»(7).

Il suo secondo disco, un collage di fotogrammi e ampie sequenze tenuto insieme dal pianoforte, The Wild, The Innocent And The E Street Shuffle (1974), segna l’inizio della sua collaborazione con la «E Street Band». Springsteen canta la sopravvivenza dei disperati alla ricerca di un approdo, di un futuro migliore, di una «redenzione». In quel capolavoro che è New York City Serenade canta: "Scrollati allora, scrollati di dosso la tua vita di strada / scrollati di dosso la tua vita di città e afferra il primo treno". Le visioni rapide del primo disco qui già sembrano cominciare a distendersi in forma di storie e di descrizioni.

Born To Run (1975) è il disco che fa diventare il Boss una delle star più acclamate del rock mondiale. D’ora in poi il «mito» Springsteen si consolida. In questo disco incastra in modo cinematografico i simboli del mondo da cui proviene: gabbia, ribellione, fuga. La direzione è il Nord-Est, cioè Manhattan attraverso l’Holland Tunnel (Meeting Across The River e Jungleland), che diviene culla di sbandati e derelitti. La tensione espressa nella potenza dell’auto, nella magia della notte e nella direzione infinita della strada si muove verso una liberazione vagheggiata in termini dal sapore religioso. Springsteen infatti usa parole come faith (fede), redemption (redenzione), promised land (terra promessa), fino a invocare un saviour: che da queste strade si levi un salvatore: "Se la notte è buia, il marciapiede è illuminato / e foderato dalla luce e nella notte è possibile trovare un varco / per l’anima. Occorre crederci, stringendo la fede tra i denti. La direzione resta verso quel posto / dove veramente vogliamo andare / E finalmente cammineremo nel sole / Ma fino ad allora i vagabondi come noi / Sono nati per correre". 

Nel 1978 esce Darkness On The Edge Of Town. Springsteen assapora la realizzazione del suo sogno di successo, ma si accorge che è soltanto «un’illusione di salvezza»(8). E quindi la domanda: «Dov’è che sta bene l’uomo con la sua chitarra? Qual è il mio posto nel mondo(9). La domanda apre scenari cupi e sequenze notturne in bianco e nero dai forti contrasti. L’obiettivo non è puntato sulla fuga, ma sulle difficoltà del percorso. Ancora una volta il linguaggio religioso diventa un modo per dire l’esperienza puramente umana. In Adam Raised A Cain — ispirata al romanzo East of Eden di Steinbeck — Springsteen canta il suo rapporto con il padre parlando di un peccato ereditato e del "venire al mondo pagando / per i peccati del passato di qualcun altro". Chiaramente, anche se le parole usate sono quelle della fede, la visione è cupa e, a tratti disperata, inaccettabile per una prospettiva illuminata dalla speranza cristiana.

La poetica di Springsteen suona in consonanza con quella della scrittrice Flannery O’Connor che John Landau, recensore della rivista Rolling Stone e poi suo manager, gli aveva consigliato di leggere(10). Sebbene egli non riesca a cogliere appieno la profondità teologica della scrittrice cattolica, la lettura di questi scritti fu per lui una «grande, grande rivelazione»(11). Questa lettura, maturata alla soglia dei 30 anni, produsse un notevole effetto. Springsteen si appassionò al racconto A Good Man Is Hard To Find, tanto che scrisse una canzone con lo stesso titolo, e al romanzo Wise Blood, oltre poi che alla versione cinematografica realizzata da John Huston nel 1979. Proprio Hazel Motes, il protagonista di questo romanzo, afferma che «nessuno ha bisogno di giustificazioni se va in giro con una buona macchina». Questa frase potrebbe essere messa sulla bocca dei personaggi delle canzoni di Springsteen(12): infatti tutti sono, realmente o metaforicamente, lanciati su una strada, su una macchina, che è luogo di giustificazione, di assoluzione, di redenzione. Il mondo dei personaggi del Boss è cupo. Per la poetica della O’Connor la grazia agisce «in un territorio tenuto in gran parte dal diavolo»(13). Springsteen sembra però troppo accecato dall’oscurità (darkness) e dai bassifondi (badlands), per usare due delle tante metafore possibili, per vedere l’azione di una forma di «grazia». In ogni caso se luce ci può essere, qui essa brilla solamente se ci sono tenebre. Darkness On The Edge Of Town lascia l’uomo inchiodato alla propria condizione radicale: il peccato. Si intravede la tentazione che conduce a un atteggiamento disperante fin troppo insistito. Tuttavia una forma di tensione redentiva resiste, seppure soltanto in direzione orizzontale e dunque insufficiente a raggiungere i confini di una reale salvezza. Forse essa appare da lontano: "correremo / fino al mare / E laveremo questi peccati dalle nostre mani" (Racing in the street). "Sono un uomo — afferma ancora in The Promised Land — e credo in una terra promessa".

Nel doppio album The River (1980) si avvertono brusche contrapposizioni di stati d’animo tra la mancanza di un centro e il desiderio di fuga tra strade e fiumi. I sogni assumono la forma di un’inquietudine inesauribile come in Hungry Heart, che la teologa svedese Ola Sigurdson ha letto accostandola alle Confessioni agostiniane(14), lì dove si legge: «Il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te». La lettura può apparire troppo generica, perché, in fondo, il cuore di ogni uomo è sempre inquieto. Tuttavia, in effetti, nella canzone notiamo il contrasto tra l’affermazione che "Ognuno ha bisogno di un posto in cui riposare / ognuno vuole avere una casa" e, d’altra parte, il fatto che il protagonista, pur avendo moglie e figli, esce per un giro e poi non torna più a casa e va come un fiume che non sa dove scorre. Alla fine Springsteen strappa a se stesso un desiderio: "E vorrei che Dio mi mandasse una parola / Qualcosa da aver paura di perdere" (Drive all night).

Nel 1982, quando sul mercato dominano videomusica ed elaborazioni postmoderne e frizzanti, Springsteen esce con l’album Nebraska, che fu definito «risolutamente e provocatoriamente fuori moda» per il «cantato monotono e semplice, la musica essenziale, lenta e disadorna»(15). Le canzoni sono presentate nella forma acustica provvisoria senza arrangiamento elettrico. In scenari sbiaditi vengono messi a fuoco i fallimenti umani(16). A partire da questa esperienza, Springsteen sviluppa in termini simbolici un’implicita poetica del peccato, per così dire(17). La canzone My Father’s House dice il ritorno di un figlio alla casa del padre e il modello è quello del «figlio prodigo», ma ribaltata nel suo significato. La conclusione è infatti amara e deludente: il padre si è trasferito o non c’è più e "la casa resta fredda e isolata / Splendendo al di là di questa scura autostrada dove i nostri peccati / giacciono non espiati". Il Boss sembra dunque escludere un intervento che provenga dall’«alto» e cioè dal di sopra del nastro d’asfalto su cui è lanciata l’auto. Dopo tragedie della follia, immagini di vuoto, desolazione, galera ed esecuzioni, è lanciata un’ultima preghiera, un urlo secco e acuto: liberami dal nulla (State Trooper). Nonostante i toni cupi, Nebraska però riesce a distillare anche qualche parola di compassione (cfr Highway Patrolman) e speranza, come quelle che albergano nelle lunghe strofe di Reason To Believe. Alla fine, nonostante le tragedie quotidiane, c’è sempre quella cieca, incomprensibile speranza che porta i personaggi a credere che "alla fine / di ogni giorno guadagnato duramente / la gente trova qualche / ragione in cui credere". 

Nel 1984 esce Born In The U.S.A., il vero grande successo mondiale di Springsteen. La canzone che ha dato il nome all’album è sembrata a molti un inno patriottico e trionfale. Reagan cercò di usarlo nella sua campagna elettorale. Fu un abbaglio: i ritmi forti e duri celano un testo che dice rabbia, disillusione, frustrazione: "Sono dieci anni che brucio per la strada / Nessun posto dove correre, nessun posto dove andare". Ancora una volta Springsteen racconta storie di tempi duri dove appaiono le immagini di un vento rabbioso, di una foschia piovosa, di un treno che trascina in basso. "A volte — scrive Springsteen — è come se qualcuno prendesse un coltello / tagliente e affilato e incidesse un solco / lungo 15 centimetri proprio in mezzo alla mia anima" (I’m On Fire).

Una svolta alla ricerca di un «contatto umano»

All’uscita del disco successivo, Tunnel Of Love (1987), la rivista Rolling Stone commenta che qui «può essere chiaramente percepita l’educazione cattolica ricevuta da Springsteen; i protagonisti pregano ripetutamente di essere liberati dal male, le storie d’amore sono rappresentate come una manifestazione della grazia divina»(18), accanto a quei dubbi e a quella percezione del male che già conosciamo. Non è un caso, dunque, che dopo l’uscita di questo disco, America, settimanale cattolico statunitense, abbia dedicato al Boss una copertina. Le parole qui si fanno più interiori. Adesso va in scena l’uomo cresciuto (il Boss ha ormai 37 anni) che deve fare i conti con la sua vita personale, un’idea di casa e di famiglia che nient’altro può sostituire. Springsteen adesso è un uomo sposato con la modella Julianne Philips, ma lo è, sembra, quasi per caso o per errore: il bisogno di amore, di una vita più solida lo aveva spinto a scelte non mature, in un tunnel che lo condurrà nel 1989 al divorzio. Il cuore è in subbuglio o spezzato e la strada è buia e ci si sente soli. L’immagine forse più drammatica di questo disco si trasforma in un’invocazione: "Stanotte il nostro letto è freddo / Mi sono perso nell’oscurità del nostro amore / Dio abbia pietà dell’uomo / Che dubita di ciò di cui è sicuro" (Brilliant Disguise). In Two Faces Springsteen canta che una parte di sé tende a fare cose che non capisco. Le espressioni sembrano riecheggiare in qualche modo il settimo capitolo della Lettera ai Romani di san Paolo.

Più aperta è la canzone-racconto Cautious Man, il cui protagonista, Bill Horton, sulla mano destra ha tatuata la parola «amore (love)» e sulla sinistra la parola «timore (fear)» e non fu mai chiaro in quale mano egli reggesse il suo destino. Un incubo notturno di fuga, frutto del suo cuore irrequieto, lo turba, ma alla fine resta un’immagine di luce: "Ai bordi del letto spostò i capelli del viso di sua / moglie mentre la luna illuminava la sua pelle così bianca / Riempiendo la loro stanza con la bellezza della luce di Dio"(19). La stessa immagine di luce appare in Valentine’s Day, dove leggiamo che "lo splendore di Dio giungeva a illuminare tutto". Tra amore e timore si muove anche la storia della ragazza madre protagonista di Spare Parts, che, per timore, decide di deporre suo figlio nelle acque di un fiume, in modo che venga portato lontano. La storia sembra modellata su Es 2,1-10, e cioè sull’immagine della deposizione di Mosè bambino nel fiume. Alla fine della canzone la madre riprende il bambino e lo riporta a casa, tirandolo fuori dall’acqua.

I successivi Human Touch e Lucky Town (1992), usciti in contemporanea, portano i segni di un nuovo clima emotivo, ma anche del riassestamento affettivo avvenuto con il matrimonio con Patti Scialfa e la nascita di due figli tra il 1990 e il ’91. Sono dunque l’espressione di un uomo che a 43 anni tenta di riavviare la sua esistenza. Ancora una volta per dire e dirsi Springsteen fa riferimento a un linguaggio religioso. L’idea di fondo è che non si può andar leggeri nei rapporti umani; non ci sono magie né miracoli, né ci si può aspettare qualcosa che piova dal cielo: "Niente manna a piovere dal cielo / Nessuno che trasformi questo sangue in vino" (Human touch). Da notare l’inversione nell’immagine eucaristica che sembra inserire l’amore tra uomo e donna in una dimensione che non ammette facili vie di fuga (cioè dal sangue al vino). In Human Touch però, nonostante la preghiera affiori più volte, l’uomo è affidato a se stesso. Si dubita dunque che possano esserci parole di pietà che scendono dalle altezze e parole di perdono di qualche Dio sopra di noi. Se le parole sono religiose, l’orizzonte di un Dio che salva resta lontano.

L’attraversamento del Tunnel condurrà a una certa apertura in Lucky Town. Dopo una forte crisi umana e creativa, entro il ’92 si compie una svolta interiore di cui è responsabile la sua vita di marito e padre. Dopo la strada, si fa spazio il desiderio di una «casa» e, forse, come afferma in un’intervista a J. Henke di Rolling Stone, di una chiesa(20). Lo sguardo sembra distendersi: Giorni migliori stanno cominciando a splendere […] Mi sento come se stessi tornando a casa (Better Days). Il cielo è lavato da una pioggia benefica (Lucky Town), «battesimale», potremmo dire. Davanti agli occhi c’è un fiume meraviglioso nella valle (If I Should Fall Behind). In Leap Of Faith Springsteen resta dentro l’immaginario biblico anche per alludere al rapporto erotico, con un ritornello, ripetuto per ben 16 volte, che sembra dire il recupero di fiducia: "ci vuole un atto di fede". E le «movenze gospel soul […] ben si adattano all’immaginario biblico incastrato adesso nella poetica springsteeniana»(21). Living Proof è la canzone di Springsteen diventato padre, un vero e proprio inno alla paternità: "Una notte d’estate in una stanza buia / Entrò una minima parte della luce eterna del Signore / Urlando come se avesse inghiottito la luna accesa / Nelle braccia di sua madre c’era tutta la bellezza possibile / Come le parole mancanti di una preghiera che non sarei mai riuscito / a inventare / In un mondo così duro e sporco così disonesto e confuso / In cerca di un po’ della misericordia di Dio / Ho trovato la prova vivente".

Il disco successivo, The Ghost of Tom Joad del 1995, è ispirato direttamente a Grapes of Wrath di Steinbeck, di cui Tom Joad è il protagonista, e a Journey to Nowhere di Dale Maharidge. È un disco acustico come Nebraska e di quell’album condivide i temi e gli accenti duri e drammatici, tanto da essere niente affatto facile né commerciale. Il suo sguardo crudo diventa una sorta di denuncia: "famiglie che dormono nelle loro auto del sudovest / Niente casa, niente lavoro, niente pace, niente riposo" (The Ghost Of Tom Joad). Lo sguardo si allarga a drammi di ampia portata (Youngstown) fino a inquadrare non solo gli effetti sociali del male, ma l’incomprensibile follia gratuita che porta a uccidere senza un perché (The New Timer). L’odio generato dal gesto fa sì che neanche Dio possa consolare e ciò è detto, quasi per ironia, in forma di preghiera: "Mio Gesù, il tuo amore misericordioso e la tua pietà / Stanotte, mi dispiace, ma non riescono a riempire il mio cuore". La dialettica tra un atteggiamento scettico e lontano della fede e il linguaggio religioso resta tuttavia aperta e le canzoni Galveston Bay e Across The Border aprono scenari l’una di perdono e l’altra di salvezza, immaginata con le metafore bibliche dei pascoli erbosi e delle acque limpide che ricordano il Salmo 23(22).

«The Rising»: il senso di un titolo

Le vicende dell’11 settembre 2001 fanno evidentemente scattare nel Boss una molla creativa. Nel 1984 nel disco Born In The U.S.A. egli aveva cantato, leggero e scanzonato, di due ragazzi che, per sedurre una ragazzina, si vantano: "I nostri padri sono i proprietari dei World Trade Centers" (Darlington County). Il segno della potenza di cui vantarsi adesso si trasforma in un simbolo di fragilità e in un appello di pietà. Al Tribute to Helpers, tenutosi il 21 settembre 2001 per la raccolta di fondi a favore delle vittime della tragedia, egli partecipò con la canzone My City Of Ruins, composta in realtà prima del crollo e dedicata alla città delle sue origini. In pochi mesi, dopo aver registrato quindici canzoni in otto settimane, esce il nuovo disco, il primo in collaborazione con la «E Street Band» dopo Born In The U.S.A. Si tratta di un disco di militanza. La stessa band diventa un «gruppo di testimonianza»(23). La poesia dei testi e della musica nasce dalla tragedia per dire un bisogno di «risurrezione». La parola chiave di questo messaggio è dunque nel titolo: The Rising. Commenta la rivista rock inglese Uncut: «Mettendo insieme le canzoni, al di là di ogni specifico particolare, c’è un potente senso di fede religiosa, con un immaginario religioso che emerge in ciascuna di esse»(24). La canzone che dà il titolo al disco viene definita dalla stessa rivista un «inno pasquale».

Nelle recensioni e nelle traduzioni italiane del disco, la parola «risurrezione», che è così chiara e nello stesso tempo capace di tenere insieme molte sfumature, non viene quasi mai utilizzata. Vengono scelti sinonimi, a volte anche un po’ contorti, quali ascesa, il sollevarsi, il risollevarsi, il risveglio…, ma non «risurrezione», come invece decodifica chiaramente, ad esempio, con il sinonimo resurrection, il New York Times(25). Il Time aggiunge che le canzoni hanno una valenza «redentiva» (redemptive)(26): «Sono tristi, ma la tristezza è quasi sempre accompagnata da ottimismo, promessa di redenzione e invito alla forza spirituale»(27).

Il primo livello di risurrezione nel disco The Rising sembra risiedere nel palese contrasto tra il senso del testo e i ritmi della musica: parole di lutto sono avvolte da ritmi di vita. Springsteen afferma di aver realizzato le sue canzoni migliori proprio mediante questo contrasto stilistico(28) che infrange la corrispondenza tra il ritmo della musica e l’intensità emotiva del testo. In questo contrasto dunque va ricercato il rapporto tra morte e risurrezione, tra orrore e speranza all’interno di The Rising. Così era stato in passato anche per canzoni come The Promised Land e Badlands, «basate sull’idea che i tuoi piedi sono poggiati sulla vita quotidiana, nel mondo reale, ma il tuo spirito si dirige verso l’alto (is reaching high(29).

Nel fuoco la luce

Il brano Into The Fire ha come protagonista un pompiere striato di sangue che sale su per le scale, dentro il fuoco e vede il cielo cadere. Qui un mix di strumenti acustici ed elettrici accompagna un refrain che per sette volte, in forma litanica, gira intorno alle parole forza, fede, speranza, amore: "Ci dia forza la tua forza / ci dia fede la tua fede / ci dia speranza la tua speranza / ci dia amore il tuo amore". La voce narrante sembra essere quella della moglie: "Mi hai dato il tuo amore / nei campi di rosso e / di marrone d’autunno / hai dato a me il tuo amore / e hai offerto il tuo giovane corpo / su per le scale, / dentro il fuoco". Comprendiamo come Springsteen riesca qui a compenetrare abilmente due immagini: quella del rosso dei campi e quella del fuoco, luoghi in cui si consumano due gesti d’amore differenti, per la donna e per le vittime, ma adesso unificati senza soluzione di continuità in un’unica visione ardente. Le virtù teologali — fede, speranza e amore — sono chiamate a dire il senso del messaggio di quest’uomo sparito nella polvere(30)

Nel brano, accanto all’uomo che dà la sua vita, si intuisce, nell’intreccio dei significati, la presenza di un’altra persona che resta sola e che deve affrontare il distacco. Molte canzoni del disco sono ispirate al sentimento di un legame spezzato, come il brano di apertura, Lonesome Day: orchestra d’archi, suono pieno della grancassa, voce robusta di Springsteen sono impiegate per dire la dura parola «solitudine» e vagheggiare un sussurro dolce, tenere carezze. Si abbattono immagini tenebrose e potentemente visive: il sole scuro fermentato dell’inferno e l’immagine biblica di una serpe che è nell’erba. Il primo peccato viene evocato anche in Empty Sky, dove appare l’albero del bene e del male innestato sulle pianure del Giordano. In che cosa consiste qui la tragedia resa dall’evocazione del peccato nel paradiso terrestre? Lo comprendiamo alla luce di due flash evocativi: il sangue per le strade che grida per terra e un incavo vuoto sul letto, due immagini per dire la tristezza di un lutto dopo una tragedia. Ma le immagini dell’assenza, che dicono la perdita di una donna che è moglie e madre, si fanno più intense in Nothing man e in You’re Missing. In quest’ultima, in particolare, Springsteen penetra nell’orrore dell’abbandono e la canzone diventa un catalogo dell’assenza. In casa c’è tutto: camicie, scarpe, giacche. Non c’è più, però, la persona a cui queste cose appartenevano: "La tua casa aspetta / che tu entri, che tu entri /, ma tu non ci sei, tu non ci sei". E allora anche Dio va alla deriva in cielo, come a partecipare anch’Egli di questa deriva di abbandono. A chi aspetta invano restano soltanto lacrime e polvere.

Possiamo accostare la disperazione della vittima alla tragedia del carnefice che intuiamo in Paradise, la mesta meditazione di un ragazzo che sta per compiere un attentato suicida. Egli sostituisce i libri di scuola con l’esplosivo e si reca al mercato, vagando di faccia in faccia, chiudendo gli occhi, trattenendo il respiro e aspettando un paradiso, che però è freddo e vuoto.

Ma la parola più definitiva è di speranza. In Worlds Apart il Boss lascia l’apertura del pezzo alla voce di Asif Ali Khan, cantante pakistano di musica qawwali, una forma tradizionale di musica islamica strettamente legata al sufismo. "Sotto la pioggia / benedetta di Allah i mondi restano lontani, separati". Da qui il potente appello a "trovare la verità nel pulsare dei / nostri cuori, a lasciare che l’amore dia / quello che dà". L’immagine del muro che divide torna in Let’s Be Friends, come torna la speranza che esso cada: "ci sono molti / muri che devono / essere buttati giù / Insieme li potremmo abbattere / uno alla volta". La speranza si affaccia anche in Waitin’ On A Sunny Day: piove ma non ci sono nubi in cielo: è una lacrima. Ma è certo che la notte si fa giorno. Resta l’attesa: "Aspetto, aspetto che / un giorno di sole / caccerà via le nuvole". Altra immagine luminosa appare in Further On Up The Road: alla notte fredda segue la certezza che "una mattina / ci alzeremo col sole, lo so / e ci ritroveremo / più avanti / lungo la strada".

My City of Ruins si apre con alcune immagini che creano forti contrasti: un cerchio rosso di sangue sulla terra scura, una chiesa vuota dalle porte spalancate e dalla quale si diffonde "una musica d’organo, il suono delle campane / della misericordia che si diffonde nella sera tra gli alberi, ragazzi come foglie disperse, le strade vuote e le finestre sbarrate". Sono le immagini che dipingono la mia città di rovine. E allora un grido potente di risurrezione si solleva: Come on, rise up! (Avanti, sorgi!), seguito da una preghiera: "Prego di avere la forza, Signore / Con queste mani, Con queste mani, / Prego di avere la fede, Signore / prego per il tuo amore, Signore / prego per la forza, / Signore"(31). Ci lasciano attoniti certi giudizi, come quello di Gino Castaldo, il quale afferma che molte canzoni del disco sembrano «preghiere laiche, incentrate su quella religione dell’uomo che è il credo del Boss»(32). La preghiera dei versi di Springsteen qui non è affatto «laica»: è religiosa e non potrebbe esserlo più chiaramente. È poi proprio questo linguaggio religioso (Springsteen parla esplicitamente di gospel) che si fa carico di dire l’esperienza umana tout court.

Il brano che più chiaramente fa luce sul senso dello stile e del messaggio di Springsteen in questo disco è quello che dà il titolo alla raccolta: The Rising. Intuiamo che il protagonista è un pompiere che sta salendo per le scale di una delle torri colpite: non vede più niente di fronte a sé, si fa strada nel buio e sente soltanto la fatica e il peso che ha sulle spalle. Al mattino egli si era svegliato portando, scrive Springsteen, the cross of my calling (la croce della mia chiamata). Il cammino dell’uomo sembra avvenire come sulla spinta di una vocazione e i pesi che egli ha sulle spalle diventano una vera e propria croce, portata con sofferenza e decisione. Solamente alla luce di queste immagini di forte valore religioso si può comprendere il ritornello: Come on up for the rising (Vieni su per risorgere)(33). Il termine croce (cross) guida decisamente la traduzione del termine rising con «risurrezione», appunto. Il pompiere giunge a una soglia di confine e i suoi occhi si aprono da una semplice «vista» a una «visione» all’interno di una splendida preghiera: "Ci sono spiriti sopra e dietro di me / facce diventate nere, occhi che bruciano e splendono / Il loro sangue prezioso mi leghi / Signore, quando io sarò davanti alla tua luce ardente".

Che cosa sta accadendo? Se nelle prime strofe prevalgono immagini concrete e crude (spalle, schiena, facce, occhi…), nelle successive il passaggio si compie. L’uomo vede i morti divenire spiriti perché egli stesso sta attraversando la soglia tra la vita e la morte. La sua ascesa è fisica e spirituale insieme. Il fuoco assale il suo corpo e diventa una benedizione, luce nelle tenebre della fuliggine. Il riferimento al sangue prezioso (precious blood) sembra una traccia religiosa, essendo questo un termine molto diffuso della devozione cristiana. Il mistero della croce dunque appare estendersi a tutte le vittime, mentre le emozioni si aprono in un crescendo dal tono epico.

Subentra quindi una donna, Mary: "Ti vedo, Maria, nel giardino / nel giardino dei mille sospiri / ci sono immagini sacre dei tuoi figli / che danzano in un cielo pieno di luce". Chi è questa Mary? Forse è la moglie del pompiere. Il nome «Mary» è del resto ben attestato nelle canzoni del Boss. Lo è, purtroppo, anche in maniera ambigua, tanto che in un testo del 1971 affiora qualche espressione volgarmente blasfema riferita alla Vergine. Qui però, a distanza di 30 anni, il contesto e le connotazioni sembrano essere del tutto differenti e lo stesso Springsteen, intervistato da Uncut, ha affermato: «Sono sicuro che è il cattolico che viene fuori in me stesso» e quindi suggerisce: «Si potrebbe trattare di una visione religiosa»(34). Ricordiamo che la canzone è costituita da un passaggio dalla vista alla visione e notiamo che la strofa che segue si conclude con l’invocazione a un cielo di pienezza, cielo di vita benedetta.

Un linguaggio per dire l’esperienza umana

Springsteen dunque realizza una compenetrazione di immagini e significati. Questa operazione, in realtà, è soltanto l’esempio di un procedimento simbolico più ampio e diffuso nel disco, secondo ciò che egli stesso ha dichiarato: «Io penso che le canzoni facciano appello a una sovrapposizione sfumata di queste idee. Il religioso e la vita quotidiana devono in certo qual modo fondersi», per cui egli stesso afferma di muoversi «verso un immaginario religioso per spiegare l’esperienza»(35). In The Rising «dominano le figure di un discorso che si avvolge su se stesso come se non riuscisse a trovare un interlocutore»(36). È come se la voce parlasse a se stessa. Springsteen, però, non si ferma a un linguaggio afasico e riesce a infrangere la solitudine del monologo. Tuttavia per far ciò ha bisogno di un linguaggio differente. Deve spostarsi su un altro piano, quello del simbolo, dell’evocazione o dell’invocazione per rivolgersi a un «tu» scomparso sotto la polvere o a un «Tu» che possa dare qualcosa dall’alto: forza, fede, speranza, amore. È proprio questo movimento linguistico che gli ha permesso di dar vita a un discorso ricco di risonanze: il mistero assume una dimensione fisica e la fisicità assume una direzione spirituale, ulteriore.

L’operazione di valore simbolico che abbiamo illustrato è, a nostro giudizio, uno degli elementi salienti della musica di Springsteen, già da lui sperimentata anche in passato, almeno nei momenti migliori. The Rising dunque non è l’espressione di un semplice riscatto, un’ascesa, un «sollevarsi», né unicamente un termine religioso. Si tratta di qualcosa di più complesso: qui, a nostro avviso, è la pratica dell’immaginario religioso a offrire linguaggio e simboli per dire l’esperienza universale del dolore della morte e dell’attesa di una risurrezione.

1 Egli stesso ha affermato che scrivere canzoni è qualcosa di molto simile al lavoro dello scrittore di short story, di racconti brevi. Un nome per tutti: Raymond Carver; cfr «Rock and Read: Will Percy Interviews Bruce Springsteen», in Doubletake 12 1998, adesso in http://www.doubletakemagazine.org/mag/html/backissues/12/steen/

2 Cfr J. PARELES, «His Kind of Heroes, his Kind of Songs», in The New York Times, 14 luglio 2002.

3 B. FLANAGAN, Scritto nell’anima. 29 interviste ai grandi del rock, Milano, Arcana, 1987, 274.

4 Gesti come l’accendere un cero alla Vergine nella basilica di San Petronio durante la sua tournée bolognese nel 1998 (cfr E. LABIANCA, American skin. Vita e musica di Bruce Springsteen, Firenze, Giunti, 2000, 232) o l’indossare una medaglia che rappresenta san Cristoforo, il quale per i cattolici è il patrono dei viandanti, sono gesti che, nella loro semplicità, dicono una forma di rapporto con i simboli della devozione cristiana.

5 Cfr A. GREELEY, «The Catholic Imagination of Bruce Springsteen», in America, 6 febbraio 1988, 110-115; J. H. GILL, «The Gospel According to Bruce», in Theology Today 45 (1988-89) 87-94; K. MCCARTHY, Deliver Me from Nowhere: Bruce Springsteen and the Myth of the American Promised Land, in E. M. MAZUR - K. McCARTHY, God in the Details. American Religion in Popular Culture, London - New York, Routledge, 2001; W. D. ROMANOWSKI, Eyes Wide Open: Looking for God in Popular Culture, Grand Rapids (MI), Brazos Press, 2001.

6 Le canzoni di Springsteen fino all’album Lucky Town sono contenute in originale con traduzione a fianco in M. COTTO (ed.), Bruce Springsteen. Tutti i testi con traduzione a fronte, Milano, Arcana, 1986. Successivamente è apparso il volume Songs, Milano, Mondadori, 1999, che riporta i testi unicamente in originale.

7 E. LABIANCA, American skin…, cit., 18.

8 B. FLANAGAN, Scritto nell’anima…, cit., 267 s.

9 Ivi, 268.

10 Cfr il nostro «La letteratura nel territorio del diavolo. La poetica di Flannery O’Connor», in Civ. Catt. 2001 IV 36-45.

11 «Rock and Read…», cit.

12 Cfr B. FLANAGAN, Scritto nell’anima…, cit., 257 s. 

13 F. O’CONNOR, Nel territorio del diavolo. Sul mestiere di scrivere, Roma - Napoli, Theoria, 1993, 82.

14 Cfr O. SIGURDSON, «Canzoni di desiderio. Su musica pop e questione di Dio», in Concilium 37 (2001) 51 s.

15 Recensione di S. Pond su Rolling Stone del 28 ottobre 1982.

16 Cfr E. LABIANCA, American skin…, cit., 97.

17 Cfr B. FLANAGAN, Scritto nell’anima..., cit., 258.

18 Recensione di S. Pond in Rolling Stone, 3 dicembre 1987.

19 La coscienza credente sa che «l’amore perfetto scaccia il timore» e chi ama «dimora nella luce», come si legge nella Prima Lettera di Giovanni (4,18 e 2,10).

20 Intervista di J. Henke, in Rolling Stone, 6 agosto 1992.

21 E. LABIANCA, American skin…, cit., 158.

22 La vicenda artistica di Springsteen è decisamente più articolata di quella che abbiamo fin qui presentato e la sua produzione è più ampia di quella apparsa nei dischi. Notiamo, ad esempio che, al di là di numerosi bootleg, cioè dischi pirata contenenti materiali mai pubblicati, che circolano numerosi tra i fans, sono uscite registrazioni di concerti dal vivo, antologie e soprattutto una raccolta in cofanetto contenente 4 dischi di ben 66 tracks, brani mai approdati ai dischi ufficiali. Ricordiamo infine che nel 1994 Springsteen ha ottenuto l’Oscar per la migliore canzone originale con Street of Philadelphia, che apre il film Philadelphia di Jonathan Demme. La canzone è poi confluita nell’antologia Greatest Hits del 1995.

23 J. TYRANGIEL, «Bruce Springsteen. An intimate look at how Springsteen turned 9/11 into a message of hope», in Time, 5 agosto 2002, 59.

24 A. SWEETING, «Into the Fire», in Uncut, Settembre 2002, 52. Notiamo che rising è un termine che chiunque vada a messa si sente ripetere sempre nel Canone al momento del ricordo dei defunti nella speranza della risurrezione (… who have gone to their rest in the hope of rising again).

25 Cfr J. PARELES, «His Kind of Heroes», cit.

26 J. TYRANGIEL, «Bruce Springsteen...», cit., 57. Cfr anche S. MANZOOR, «Fanfare for the common man», in Uncut, Settembre 2002, 103.

27 J. TYRANGIEL, «Bruce Springsteen…», cit., 53.

28 Cfr A. SWEETING, «Into the Fire», cit., 54.

29 Ivi, 52.

30 Anche in Countin’ On A Miracle ritornano i termini forza, fede, speranza, amore accanto a vita, sogno, cuore, qui subito riferiti a una donna desiderata: il loro destino insieme avrà compimento soltanto in God’s hands, nelle mani di Dio. Ancora una volta la proiezione religiosa e il linguaggio che essa produce aiuta a dire l’esperienza umana del superamento «miracoloso» della solitudine.

31 Questa è la traduzione letterale. Quella di A. Portelli inserita nella confezione del disco invece si distacca inspiegabilmente dal testo inglese originale.

32 G. CASTALDO, «Cercando l’innocenza sotto la cenere di ground zero», in Musica! Rock & altro, suppl. a la Repubblica, 25 luglio 2002, 13 s (corsivo nostro).

33 Portelli legge così: «Vieni su quando è il momento di sollevarsi».

34 A. SWEETING, «Into the Fire…», cit., 56.

35 Ivi.

36 A. PORTELLI, «Un dolore vissuto senza più bandiere», in il Manifesto, 26 luglio 2002.



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