Tornano d'attualità i discorsi sulla modifica dei Trattati istitutivi dell'Unione Europea e sull'allargamento dell'Unione stessa. Ma con molta più prudenza che in passato, consapevoli che la struttura attuale è molto fragile.
Ricordiamo l'antefatto. L'attuale assetto istituzionale è quello definito dalle modifiche che ai Trattati istitutivi sono state apportate dal Trattato di Nizza, firmato nel 2001, ratificato e poi entrato in vigore nel 2003. Successivamente si era cercato di fare un 'salto di qualità' con il Trattato di Roma del 2004, che definivano anche una vera e propria Costituzione europea. Ma questo Trattato non è stato ratificato da Francia e Olanda, Paesi dove nel 2005 erano stati indetti referendum popolari per la sua approvazione, i quali avevano dato esito sfavorevole. Poiché per la ratifica era necessaria l’unanimità dei venticinque Paesi membri, si era dunque tornati alle norme del Trattato di Nizza. Un nuovo tentativo era stato fatto nel dicembre 2007 col Trattato di Lisbona, meno "invasivo" dei Trattati del 2004; ma nuova bocciatura da un referendum popolare, quello irlandese del giugno 2008.
L’Europa si presenta tanto più divisa e lacerata quanto più aspro diventa il confronto tra la visione di un’Europa intergovernativa fondata su una zona di libero scambio e quella di un’Europa comunitaria frutto di un’integrazione politica.
Davanti a questo scenario diventa inevitabile ripensare e far ripartire l’indispensabile cammino europeo. Per far ciò sono state prospettate due concrete soluzioni.
La prima consiste nel “puntellare” le regole comuni in attesa di nuovi leaders che possano traghettare l’Europa verso una vera e definitiva integrazione politica. Tale impostazione rinunciataria si trasformerebbe solo in un palliativo che tende a salvare il salvabile senza indicare un nuovo orizzonte.
La seconda soluzione, invece, appare come la più realista e si basa sulla costruzione di un’Europa a più velocità attraverso strumenti come le cooperazioni rafforzate. Si chiederebbe, quindi, ad ogni Stato di giocare a carte scoperte accettando onori e oneri della visione di Europa scelta e di decidere il grado di integrazione politica che vuole raggiungere nei vari campi.
Costruiremmo, così, un Super-Stato, o meglio una vera e propria locomotiva, capace di guidare tutti gli altri Stati europei trainandoli sempre più oltre i proprî interessi nazionali.
E’ questo il disegno che nel medio-lungo periodo dovrebbe trasformare la zona euro da un Euro-money a un Euro-State.
Naturalmente, bisognerà in parallelo rendere le istituzioni europee meno burocratiche e più democratiche. E, accanto al percorso istituzionale, bisognerà tracciare i contenuti che facciano sentire i cittadini più vicini alla nuova (e vecchia) Europa, interrogandosi sulle ragioni delle numerose bocciature dei nuovi trattati nei referendum popolari.
Solo all’interno di questo quadro di riferimento l’Italia tornerà ad avere quel ruolo chiave nel dialogo tra Europa e Mediterraneo che la sua posizione geopolitica le conferisce: ma le sue classi dirigenti saranno adeguatamente preparate per raccogliere questa sfida?!
P.S. C'è ancora, in molti, la speranza di rilanciare il Trattato di Lisbona, magari apportandovi alcune modifiche di dettaglio che consentano un nuovo referndum in Irlanda (qualcun altro propone di escludere dall'Unione Europea i Paesi che non ratificano le modifiche).
Ma quali sono i contenuti di questo Trattato? Rispetto al Trattato di Roma, si è rinunciato all'idea di approvare una vera e propria Costituzione dei principi dell'Unione (non si è riusciti ad elaborarne una meno lunga e farraginosa della precedente, bocciata nei referendum francese ed olandese). Ci si è limitati ad un richiamo alla Carta dei diritti fondamentali dei cittadini europei, che però ha efficacia nei singoli Stati solo allorché venga attuata la legislazione europea.
Quanto all'assetto istituzionale, viene rafforzata la guida dell'Unione (il Presidente del Consiglio europeo dura in carica due anni e mezzo), viene rafforzata la politica estera (con l'istituzione di un Alto Rappresentante per gli Affari esteri), vengono estesi i poteri del Parlamento europeo e ridotti i temi su cui serve l'unanimità dei Paesi membri.
L'integrazione più propriamente "politica", in definitiva, ha subìto una battuta d'arresto.
Ma l'innovazione più rilevante è nel campo economico, con l'estensione del principio delle cooperazioni rafforzate, su singole materie economiche. Non un Super-Stato, ma un'Europa con una base comune e "piani alti" a geometria variabile. I Paesi che avranno più capacità di iniziativa saranno quelli che riusciranno a far parte di questa locomotiva. Essere "europei", dunque, non sarà più un dato scontato e acquisito.