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Europa e radici culturali
Robert Schuman, "Padre" dell'Europa unita Stampa E-mail
Profilo di uno degli artefici dell'Europa contemporanea, modello di cattolico impegnato in politica
      Scritto da Giovanni Martino
11/08/08

Robert Schuman, politico e statista francese, è stato nel secondo dopoguerra - con il tedesco Adenauer e l'italiano De Gasperi - uno dei "Padri" della moderna Europa unita.

Una riflessione sulla sua figura è di grande attualità per due motivi.
Per riscoprire le vie di un'unione europea solida e sincera, momento di collaborazione e fraternità tra i popoli, oggi che sembrano prevalere confusione ed egoismi nazionali.
E per conoscere un modello di uomo politico - e di cristiano impegnato in politica - sincero, coraggioso, onesto, competente, ispirato a valori saldi (e sappiamo tutti quanto ci sarebbe bisogno di uomini di tale tempra).

Robert Schuman nasce a Lussemburgo il 29 giugno del 1886, e muore a Scy Chazelles il 4 settembre 1963. La sua è una famiglia francese della Lorena, terra che nel 1871 era caduta sotto la sovranità tedesca (tornerà alla Francia nel 1918). Robert, quindi, nei primi anni della sua vita cresce come cittadino tedesco, sforzandosi di conoscere a fondo anche quella cultura; questa sua formazione farà sì che egli si adoperi sempre per superare le incomprensioni franco-tedesche, per difendere le minoranze linguistiche e le autonomie territoriali da ogni centralismo.

Carattere riservato, ma sempre disponibile, eccelle negli studî, recependo dalla madre (il padre morì presto) una grande sensibilità culturale, una Fede cattolica profondamente sentita, una viva devozione mariana. Studia legge alle università di Bonn, Monaco, Berlino (dove prende anche un diploma di studî filosofici ed uno in scienze economiche e finanziarie), Strasburgo; qui si laurea a pieni voti nel 1910, ed a partire dal 1912 esercita a Metz la professione di avvocato.

A Metz conosce il vescovo Benzler, che apprezza subito le doti del giovane Schuman, facendone il responsabile della Federazione diocesana dei gruppi giovanili. Lo stesso vescovo lo indirizza alla conoscenza del pensiero di San Tommaso d’Aquino, che diverrà il suo punto di riferimento culturale. In questo periodo Robert si impegna in diversi organismi cattolici, sia culturali sia di beneficenza (presiede anche la Federazione diocesana delle opere di carità), divenendo in breve uno dei laici cristiani più stimati nella diocesi di Metz. Avvocato di successo, è anche uno degli scapoli più “appetiti” dalle famiglie lorenesi. Ma egli vive la sua attività di laico cristiano come un vero apostolato, per cui sceglie di non sposarsi. Aveva anche meditato di prendere i voti religiosi; ma era stato convinto (soprattutto dai consigli del suo parente e confidente Henri Eschbach, il quale gli scrisse: “i santi del futuro saranno santi con la giacca”) che la sua vera vocazione era nell’impegno professionale e sociale, a servizio della Chiesa. Schuman ripeterà sempre che la sua aspirazione è di “conciliare lo spirituale e il profano”.


L’ingresso in politica.

Il suo primo periodo da deputato va dal 1919 al 1940.

Finita la prima guerra mondiale, la Lorena (con l’Alsazia) è tornata alla Francia e deve inviare i suoi deputati al Parlamento nazionale. Questi deputati avranno un ruolo delicato: integrare il diritto vigente in Lorena con quello francese, difendendo le particolarità locali (soprattutto le garanzie di libertà religiosa) dal giacobinismo accentratore e spesso anticlericale di Parigi. Il canonico Collin - animatore di opere sociali e uomo di chiesa molto in vista - e il vescovo locale vedono in Schuman la persona ideale: per la grande competenza giuridica, la fermezza di carattere, la cultura saldamente religiosa; appellandosi al suo senso di responsabilità, lo convincono a vincere la sua timidezza e a candidarsi. Alle elezioni del 1919 per la Camera dei deputati Schuman ottiene un grande successo: 64% dei voti nel suo collegio.

Al Parlamento di Parigi, il neo-deputato si iscrive al gruppo dell’URD, grande partito moderato che racchiude varie anime (a livello nazionale non esistevano partiti di dichiarata ispirazione cristiana). Schuman si batte con successo, appoggiato da grandi mobilitazioni popolari, per mantenere all’Alsazia e alla Lorena alcuni importanti istituti di libertà: la parità tra scuola statale e scuola privata religiosa, il Concordato con la Chiesa cattolica (che in queste regioni non era stato denunciato, come invece aveva fatto la Francia), il diritto ad esistere di un sindacato di lavoratori di ispirazione cristiana. Se da una parte difende l’autonomia di Alsazia e Lorena, dall’altra combatte l’eccesso delle tentazioni indipendentiste, che si diffondono per reazione al centralismo di Parigi.

Educato agli ideali del cattolicesimo sociale tedesco, che in Alsazia e Lorena aveva favorito un grande progresso nella condizione dei ceti umili, cerca di estendere alcune conquiste (come le assicurazioni sociali: allora non esistevano l’assistenza sanitaria ed il sistema pensionistico pubblici) al resto della Francia.

Nel frattempo, Schuman prosegue con vigore il suo impegno nelle attività pastorali ed educative, preoccupandosi molto della formazione dei giovani; la politica, per lui, è un’estensione dell’apostolato. Continua ad approfondire i temi della filosofia politica; i suoi autori preferiti sono Blondel e il neo-tomista1 Maritain. Nel tempo libero le sue passioni sono la ricerca di edizioni rare di libri e la collezione di scritti autografi di personaggi famosi, soprattutto del passato.
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Schuman nella caricatura di un giornale satirico della sinistra

Dà prova di grande rettitudine ed indipendenza, che gli vengono riconosciute anche da molti avversarî politici. Si oppone, ad esempio, a certi provvedimenti sui beni confiscati ai Tedeschi, che avrebbero favorito alcuni notabili appartenenti al suo stesso partito; il rispetto della verità e dell’interesse generale, per lui, vengono prima delle amicizie e dell’interesse di partito. La sua popolarità cresce sempre più, ma crescono anche invidie e rancori in alcuni avversarî, che vedono in lui un pericoloso nemico. Alle elezioni c’è chi scatena contro Schuman campagne di insulti e calunnie, cercando anche di ridicolizzare la sua religiosità (“monaco che porta con sé il suo convento” è uno dei nomignoli meno spregiativi che gli vengono attribuiti); ma il popolo gli conserva fiducia.


Nel 1931, insoddisfatto per la politica troppo conservatrice dell’URD, lascia tale movimento e aderisce al PDP (democratici popolari), un nuovo piccolo partito che aderisce all’internazionale democratico-cristiana animata da Don Luigi Sturzo. Nel programma ci sono il diritto di voto per le donne, una politica di difesa della famiglia, riforme sociali. Su questi progetti, però, non c’è accordo neanche con le sinistre (socialisti e comunisti). I democratici popolari non vogliono uno Stato onnipresente, che limiti le libertà economiche, bensì uno Stato che sappia stimolare la responsabilità, la partecipazione e la solidarietà dei corpi sociali; uno dei motti di Schuman è “meno Stato possibile”. Egli uscirà dalle file dei democratici popolari nel 1939, in polemica con la scelta del partito di prendere posizione, riguardo alla guerra civile spagnola, a favore del Fronte repubblicano, che stava perseguitando ferocemente la Chiesa.

Schuman è avversario irriducibile delle dittature totalitarie (nazismo e comunismo), sia perché ritiene la libertà della persona umana un valore insopprimibile, sia perché è dotato di grande realismo (c’è chi lo definisce “realista mistico”), che lo porta a diffidare di ogni utopia astratta (pur avendo la capacità ‘profetica’ di individuare i grandi progetti che sono davvero realizzabili). Di conseguenza, non appena Hitler prende il potere interrompe i suoi frequenti viaggi in Germania, allacciando contatti con gli oppositori; e, al tempo stesso, vota contro il patto di collaborazione franco-sovietico del 1935. Ciò nonostante, il grande amore per la pace gli fa commettere lo stesso errore che commettono molti democratici europei: non comprende che la Germania nazista è determinata alla guerra, e che la Russia sovietica è abbastanza cinica da accordarsi con essa. Schuman, pertanto, non avverte la necessità di usare subito un atteggiamento inflessibile, e ancora nel 1938 si illude che l’accordo di Monaco possa salvare la pace.


La guerra e la prigionia.

Scoppiata la seconda guerra mondiale, nel marzo 1940 viene nominato sottosegretario ai rifugiati nel Governo Reynaud. Nei tre mesi successivi lavora giorno e notte, con quattro collaboratori, per coordinare gli aiuti ai milioni di profughi che fuggono dall’esercito nazista invasore. A maggio si insedia il Governo Pétain, che chiede l’armistizio alla Germania e instaura il regime collaborazionista di Vichy; Schuman è confermato sottosegretario a sua insaputa: rassegna subito le dimissioni (ma ciò non eviterà che, dopo la guerra, qualche avversario senza scrupoli gli rinfacci la nomina ricevuta) e ritorna in Lorena, in pieno territorio occupato, per essere vicino alla sua gente. Il 14 settembre viene arrestato dai tedeschi: è il primo parlamentare francese a cui tocca tale sorte. Dopo sette mesi di prigione (da lui definiti “la Grande Quaresima”), i nazisti vogliono deportarlo nel campo di concentramento di Dachau. Ma il procuratore generale tedesco della regione, Welsh, segretamente anti-nazista, fa ottenere a Schuman il soggiorno obbligato a Neustadt, in Germania. Proprio mentre era prigioniero dei tedeschi, sogna la riconciliazione tra i due popoli, progettando l’Europa unita:
“questa guerra, benché estremamente terribile, un giorno finirà, e finirà con la vittoria del mondo libero. La forza non ha mai trionfato a lungo sul diritto. Non bisogna continuare con l’odio ed i risentimenti contro i Tedeschi. Al contrario, senza dimenticare il passato, bisognerà riunirli e fare di tutto per integrarli nel mondo libero”.

Dopo un anno Schuman riesce avventurosamente ad evadere, e si rifugia a Lione; ricercato dalla Gestapo, conduce vita clandestina sino al termine della guerra. Nemmeno in questo periodo  rinuncia a partecipare con assiduità alla messa, anche esponendosi al rischio di essere catturato. La sua devozione colpisce Robert Rochefort, sottoprefetto di Montmorillon, al punto che questi si convertirà e diverrà il biografo di Schuman. Un aneddoto che testimonia l’integrità di Schuman: quando è ospite di amici che lo nascondono, rifiuta di aggiungere alle bevande lo zucchero che gli viene offerto, poiché tale alimento era razionato ed egli era privo della tessera annonaria. Finita la guerra torna a Metz, ove si ritrova privo di mezzi e con la casa saccheggiata.

 

Schuman uomo di governo.

Subito dopo la guerra, Schuman entra nel Movimento Repubblicano Popolare (MRP), il nuovo partito francese aderente all’internazionale democratico-cristiana. Il suo secondo periodo da deputato va dal 1945 al 1962. Viene eletto dapprima alle due Assemblee Costituenti del 1945 e 1946, quindi alla prima Assemblea Nazionale (il nuovo nome che assume la principale camera parlamentare) del 1946, ove verrà sempre rieletto sino al 1962.

I popoli europei, per risollevarsi dalle rovine della guerra, scelgono ovunque i partiti di ispirazione cristiana. Anche in Francia il MRP diviene (di stretta misura) primo partito, e ciò consente a Schuman di essere nominato, nel 1946, Ministro delle Finanze. Si segnala subito per la sua semplicità: preferisce andare il più possibile a piedi piuttosto che con l’auto di servizio, ha l’abitudine di chiudere le luci lasciate inutilmente accese dagli uscieri del Ministero. Qualcuno ritiene il politico lorenese poco adatto per l’alta politica, scambiandone la semplicità e la bonomìa per ingenuità e debolezza. Ma è solo una prima impressione. Chi ha modo di conoscerlo più a fondo si accorge che il suo sforzo di dar fiducia al prossimo, il suo rifiuto di usare le armi dell’inganno, si accompagnano ad un’intelligenza molto acuta. Egli segue il motto evangelico: “siate dunque prudenti come i serpenti, e semplici come le colombe”(Mt 10,16). Schuman ha l’abitudine di raccogliersi in preghiera prima di assumere le decisioni più difficili; scriverà a Pio XII:
“I carichi di un ufficio molto pesante mi fanno sentire ogni giorno l’insufficienza dei miei proprî mezzi ed il bisogno di grazie speciali. La benedizione che sollecito da Sua Santità sarebbe per me una garanzia ed un incoraggiamento particolarmente prezioso.”

Il 1947 è il momento più difficile per la Francia, prostrata dalla guerra. Da una parte, i comunisti cercano di sfruttare il malcontento e organizzano scioperi e sabotaggi che paralizzano il Paese, sperando in un’insurrezione che porti la Francia nell’orbita sovietica; dalla parte opposta, i “gollisti” (gli uomini del generale De Gaulle) contestano vivamente la nuova Costituzione, incapace di assicurare governi stabili. Per affrontare questa situazione si pensa a Schuman: viene nominato Presidente del Consiglio dei ministri, capo di un Governo di coalizione che, per la prima volta, ha una donna come ministro. In tali frangenti l’uomo benevolo e paziente sa anche dimostrare fermezza nel difendere l’ordine; grazie al suo impegno il clima si rasserena. È ormai uno dei politici più popolari di Francia, ma deve anch’egli pagare il prezzo dell’instabilità dei governi: il suo dura poco meno di un anno.


Schuman “Padre dell’Europa”.

Dal 1948 al 1952 Schuman è Ministro degli Affari Esteri. In questa veste si dimostra statista di livello internazionale, riuscendo a gettare le basi per fare concreta una grande speranza: l’Europa unita. Grazie all’impegno profuso nel costruire questo accordo, Schuman è considerato (insieme con altri due grandi statisti cattolici: il tedesco Adenauer e l’italiano De Gasperi) uno dei “Padri dell’Europa”.

Oggi può essere difficile capire la grandezza di quell’impresa: l’Europa unita è ormai una realtà in avanzata fase di realizzazione, una realtà che riscuote consensi pressoché unanimi. Ma cinquant’anni fa, questo progetto era solo un sogno impossibile: il sogno di mettere sotto una stessa bandiera Paesi che, sino al giorno prima, si erano scontrati in una guerra fratricida. Questo sogno veniva portato avanti, con lucidità che oggi diremmo profetica, solo dai politici di salda ispirazione cristiana. Le opposizioni erano numerose, anche da parte di forze politiche che oggi riconoscono l’importanza dell’unione europea: da un lato vi erano le destre nazionaliste, che avevano come unica prospettiva quella del proprio Stato, che erano ancora prigioniere delle ruggini della guerra; dall’altro lato vi erano le forze che guardavano al modello dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia, ed erano fortemente contrarie ad ogni progetto che prevedesse un rafforzamento dell’Europa libera al di fuori di quel modello.

La cultura cristiana di Schuman ‑ e degli uomini che condividevano la sua ispirazione ideale ‑ gli permise di intuire la forza e la praticabilità di quel grande disegno. Capiva che il futuro europeo era nella collaborazione tra i popoli. Per lui, inoltre, essere cattolico significava essere cittadino di una grande patria spirituale, la Chiesa di Roma, che superava ogni confine nazionale. Dalla stessa cultura, infine, nasceva la consapevolezza che l’Europa ha forti radici culturali comuni su cui è possibile costruire un solido edificio, recuperando un’antica unità: le radici cristiane. Così giustificò la sua azione europeista: “l’ho fatto perché credo ai fondamenti cristiani dell’Europa”. Pertanto, seppe profetizzare non solo la riunificazione dell’Europa occidentale, ma anche l’apertura all’Europa dell’Est:
“Noi dobbiamo fare l'Europa non solo nell’interesse dei popoli liberi, ma anche per potervi accogliere i popoli dell’Europa Orientale. Quando essi saranno liberati dal potere al quale sono fin ora soggiogati ci chiederanno la loro adesione ed il loro appoggio morale.”
La speranza di Schuman era anche che l’Europa fosse esempio di riconciliazione e di unione per l’intera umanità.

Schuman possedeva inoltre le doti umane per dare concretezza al suo disegno. Innanzitutto la dedizione totale: egli diceva che “quando matura una grande idea, non bisogna esitare a consacrare la vita alla sua realizzazione”. L’uomo politico lorenese sapeva anche che la collaborazione tra i popoli si costruisce solo con un paziente dialogo, necessario a superare le diffidenze, e non con la forza:
“un grande progetto politico è come il passaggio di un torrente. Si fissa, prima di tutto, una direzione generale. Si prova poi la stabilità della prima pietra, quindi si avanza cautamente di pietra in pietra”.


Ma come è nata, concretamente, l’Europa unita?

In quel periodo bisogna vincere, anzitutto, la convinzione di molti che sia necessario punire la Germania che ha sostenuto il nazismo, smembrandola definitivamente. Schuman sa che ciò causerebbe solo risentimenti duraturi, ripetendo gli errori commessi al termine della prima guerra mondiale. È convinto, al contrario, che inserire la Germania in un grande progetto unitario serva a spegnerne le tendenze aggressive.

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Schuman presenta il suo piano per la C.E.C.A., la prima comunità europea

Oltre a vincere le resistenze anti-tedesche, bisogna attendere che si diffonda un certo “spirito europeo”, premessa indispensabile ad ogni collaborazione politica ed economica.
Il momento propizio per raccogliere i frutti di un paziente lavoro si presenta nel 1950. Schuman riflette con attenzione sull’idea (elaborata da un funzionario, Jean Monnet) di sottoporre al controllo di un’autorità sovranazionale la produzione di carbone e acciaio, le materie prime più importanti. Sa che le opposizioni ad un progetto tanto rivoluzionario, che limita la sovranità delle nazioni che vi aderiscono, saranno aspre e numerose; ma ritiene anche giunto il momento in cui il rischio prenda il posto della cautela. Allaccia una serie di contatti riservati, in Francia e all’estero, per garantirsi il maggior numero di consensi. Infine il 9 maggio, ricevuto il fondamentale consenso del Cancelliere tedesco Adenauer, presenta il progetto al Consiglio dei Ministri, riuscendo a farlo approvare; l’annuncio è dato la sera stessa. Il giorno dopo le prime pagine dei giornali di tutto il mondo annunciano il rivoluzionario “Piano Schuman”, al quale aderisce subito l’Italia di De Gasperi. Nel 1951 il trattato istitutivo della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) è siglato da Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda, Lussemburgo (i Paesi allora guidati dai democratico-cristiani), per entrare in vigore nel 1952. È il primo vero mattone dell’Europa unita, sul quale poggeranno gli accordi dei decenni successivi. È la dimostrazione che i grandi traguardi non si raggiungono mettendo da parte moralità e valori (“non bisogna mai mentire, nemmeno in politica”), ma riuscendo a tradurli in realtà con intelligenza.


“Pellegrino dell’Europa”.

Capita che le persone - e i popoli -, dopo aver fatto una scelta importante, siano colti dai dubbi e dalle paure, per cui tendono a frenare. Così accade alla Francia, che all’inizio degli anni ’50 vede le posizioni nazionaliste rafforzarsi rispetto a quelle europeiste.

Alle elezioni, il partito di Schuman (MRP) perde consensi a favore del partito gollista. Il ruolo di Schuman si indebolisce, anche per la posizione da lui assunta a favore dell’indipendenza delle colonie francesi. Il tentativo di dare un nuovo impulso alla costruzione europea, mediante l’istituzione della CED (Comunità Europea di Difesa), viene bocciato dal Parlamento francese. Nel 1952, quando cade il Governo, Schuman non è confermato Ministro degli Esteri.

Si apre allora il periodo del suo “pellegrinaggio per l’Europa”. Partecipa alle numerose conferenze internazionali cui è invitato, ove espone il suo pensiero.

Il pensiero sull’Europa, innanzitutto. Schuman ha ben chiari i contenuti che avrebbero reso la costruzione dell’Europa unita una costruzione solida, e non astratta o velleitaria. La sua esperienza di “uomo delle frontiere”, figlio di una Lorena sempre contesa da Francia e Germania, lo rende consapevole che la collaborazione tra i popoli è realizzabile solo nel rispetto delle più ampie autonomie. L’identità dell’uomo - spiega - si arricchisce col senso di appartenenza alle comunità in cui vive (famiglia, scuola, lavoro, regione, nazione, ecc.). Questo arricchimento procede per cerchi concentrici, dalle comunità più piccole alle più grandi: ogni cerchio non cancella, ma completa, il precedente; egli si sente con uguale calore cittadino della Lorena (“la mia piccola patria, dove hanno vissuto i miei avi”), della Francia, dell’Europa, del mondo. Politicamente, queste realtà diverse possono convivere secondo il principio di sussidiarietà (grande eredità del pensiero cristiano, riproposta da Pio XI), secondo il quale la comunità più grande non si sostituisce alla persona o alle comunità più piccole (prima tra tutte la famiglia), ma le aiuta laddove è necessario. Oggi i trattati dell’Unione Europea si fondano espressamente sul principio di sussidiarietà (art.3b).

Schuman espone anche il suo pensiero di cristiano impegnato in politica. Spiega che il cristianesimo non è solo culto e opere di carità, non è un fatto privato, ma è sorgente dei valori che animano la democrazia:
“La democrazia deve la sua origine e il suo sviluppo al cristianesimo. È nata quando l’uomo è stato chiamato a realizzare la dignità della persona nella libertà individuale, il rispetto dei diritti degli altri e l’amore verso il prossimo. Prima dell’annuncio cristiano tali principî non erano stati formulati, né erano mai divenuti la base spirituale di un sistema di autorità. È stato per primo il cristianesimo che ha dato valore all’uguaglianza di tutti gli uomini senza differenza di classi e razze ed ha trasmesso la morale del lavoro - l’ “ora et labora”
di San Benedetto - con il dovere di compierlo come servizio all’opera della creazione divina”.
Una società a misura d’uomo è una società costruita secondo un progetto di “umanesimo integrale” (come diceva Maritain), cioè un umanesimo non materialista, bensì aperto a Dio e alla trascendenza. Le società senza Dio, ricordava Schuman, sono state società contro l’uomo: non solo prima dell’avvento del cristianesimo, ma anche nell’epoca moderna (vedi le tragedie provocate dai totalitarismi atei). Il compito dei cristiani, di fronte alla politica, non si limita a predicare l’onestà, ma è diretto a far sì che siano difesi i valori dell’uomo (anche la democrazia può produrre leggi ingiuste).
Schuman ha acquisito grande fama presso i cristiani di tutto il mondo. Il 1 novembre 1950 si reca a Roma per la proclamazione del dogma dell’Assunta: quando entra nella basilica, dalla folla internazionale parte spontaneo un grande applauso.

Nel 1955-’56 Schuman torna per un breve periodo al Governo, come Ministro della Giustizia. In quegli anni il cammino dell’Europa unita, seppur lentamente, riprende. Il 19 marzo 1958 Robert Schuman è eletto per acclamazione, da tutte le forze politiche, primo Presidente del nuovo Parlamento europeo.

Nel 1959 viene colpito da una forma di sclerosi cerebrale, che si aggrava nel 1963. Il 4 settembre 1963, assistito dagli amici più cari, Robert Schuman muore nella sua casa di Scy-Chazelles; lì sarà raggiunto dai messaggi di cordoglio dei leader di tutto il mondo, tra cui Paolo VI, Kennedy, Adenauer.

Nel 1989 la Sacra Congregazione vaticana per le Cause dei Santi dà il nulla osta per l’apertura della causa di beatificazione di Robert Schuman. Il 9 giugno 1990 la causa viene solennemente aperta dal vescovo di Metz, nella cappella del monastero di Scy-Chazelles. Il 29 maggio 2004 si è concluso il processo diocesano, con la proclamazione di Schuman quale "Servo di Dio"; la documentazione è stata quindi trasmessa alla Congregazione per le Cause dei Santi, per le fasi successive del processo di canonizzazione.


Hanno detto di lui ...

Il miglior ritratto di Schuman ce l’ha offerto un uomo che non condivideva la sua fede religiosa, né le sue idee politiche. Si tratta di André Philip, un socialista, predecessore di Schuman al Ministero delle Finanze, che lo ha ricordato così:
“Avevamo di fronte un uomo consacrato, senza desiderî personali, di una totale sincerità e umiltà intellettuale, che cercava solo di servire nel luogo e nel momento in cui si sentiva chiamato (...). Resterà nella memoria di coloro che l’hanno conosciuto come il tipo del vero democratico, immaginativo e creatore, combattivo nella sua dolcezza, sempre rispettoso dell’uomo, fedele a una vocazione intima che gli dava il senso della vita”.


Cosa ci colpisce di Robert Schuman.

Scorrendo la vita di quest’uomo politico abbiamo potuto rilevare numerosi aspetti del suo carattere, della sua Fede, delle sue idee. Vogliamo però attirare l’attenzione su due caratteristiche particolari, che forse sono il “segreto” dei suoi successi.

La prima è la grande fiducia nella Provvidenza:
“Siamo tutti strumenti ben imperfetti di una Provvidenza che se ne serve per realizzare dei grandi disegni che ci sorpassano. Questa certezza ci obbliga a molta modestia, ma ci dà anche una serenità che non ci potrebbe dare la nostra esperienza personale”.
Da questa consapevolezza nascevano la capacità di coltivare la speranza (e di conservarla anche dopo gli insuccessi momentanei), la pazienza nel sopportare invidie e calunnie, la fiducia nel fatto che integrità e coerenza danno alla fine il giusto premio.

La seconda caratteristica è la competenza. La “prudenza” evangelica alla quale Schuman si sentiva chiamato era innanzitutto - secondo il significato originario del termine - competenza, padronanza delle vaste materie che influenzavano la sua attività. Tale competenza - che aveva curato già nell’esercizio della sua professione - era necessaria sia per individuare correttamente i valori cristiani che animavano la sua azione politica (senza confonderli con idee personali), sia per trovare il modo di dare a tali valori concretezza. Egli non si stancò mai di studiare, confrontarsi, meditare, sforzarsi di capire; tutti gli riconoscevano una grande cognizione dei problemi, che fu sempre la sua forza. D’altronde, aveva conosciuto molti cristiani che alla buona volontà univano solo una grande confusione di idee.


Spunti di riflessione

Il Magistero della Chiesa e l’impegno politico del cristiano.

“La politica è la dimensione esigente della carità” (Pio XI)

“Tutti i cristiani devono prendere coscienza della propria speciale vocazione nella comunità politica” (Gaudium et spes, 75,10).

Questo invito dei Padri conciliari deriva soprattutto dal fatto che, con il diffondersi delle democrazie, non è più possibile delegare tutto a chi si impegna in politica a tempo pieno, ma è necessaria una partecipazione diffusa.

“Ai laici (cristiani, ndr) tocca assumere la instaurazione dell’ordine temporale come compito proprio e, in esso, guidati dalla luce del Vangelo e dal pensiero della Chiesa e mossi dalla carità cristiana, operare direttamente e in modo concreto; come cittadini cooperare con gli altri cittadini secondo la specifica competenza e sotto la propria responsabilità; cercare dappertutto e in ogni cosa la giustizia del Regno di Dio” (Apostolicam Actuositatem, 7,6)

Appartengono all’ “ordine temporale” (ovvero naturale): cultura, economia, scienze, arti e professioni, politica.


Chiediamoci (per i non cristiani)...

- Schuman ha dato una grande testimonianza non solo di cristiano, ma anche di uomo impegnato a costruire il bene comune, a cercare l'interesse di tutti.
Riteniamo che il suo esempio - di lealtà, di correttezza, di rispetto dell' "avversario", di coerenza con i principî - possa essere universale, o sia riservato a chi condivide la sua fede?
I valori che ha proposto sono valori confessionali, che escludono chi non è credente, oppure sono valori che realizzano in pienezza i bisogni dell'uomo, come hanno dimostrato i grandi e concreti risultati conseguiti da credenti come Schuman?


Chiediamoci (per i cristiani)
...

- Schuman ha testimoniato la sua Fede non limitandosi a condannare ciò che nella politica non andava, ma rimboccandosi le maniche per ottenere risultati concreti. È riuscito a diventare un importante uomo di potere, utilizzando il potere non per sé ma per gli altri.
Noi abbiamo la stessa costanza, oppure ci capita di rinunciare ad impegnarci in ciò che ci sembra “sporco” o troppo difficile? Siamo sempre pronti ad assumerci le nostre responsabilità (in famiglia, sul lavoro, nella Chiesa, ed anche in campo politico)?

- Siamo convinti, come Schuman, che onestà e coerenza paghino sempre? Ci facciamo ‘riconoscere’ come cristiani, testimoni della nostra Fede? Oppure ci capita - per convenienza o per timore - di rinunciare a difendere i nostri principî, di ‘nasconderci’?

- Ci sforziamo di conoscere e capire i valori trasmessi dalle Scritture e dalla Chiesa riguardo ai problemi che investono la nostra vita (morale, politica, ecc.)? Oppure li giudichiamo, con leggerezza e superficialità, poco importanti, “sorpassati”?

- Schuman poté contare sull’incoraggiamento e sul sostegno attivo della popolazione cattolica della Lorena, molto impegnata nel difendere i proprî valori e nel seguire gli insegnamenti della Chiesa. Ci sono differenze con l’atteggiamento dei cattolici di oggi? Se sì, da che dipendono? Qual è la via migliore per testimoniare la fede nella vita pubblica?

- In Italia è diffusa la capacità (che aveva Schuman) di riconoscere i meriti delle persone che non appartengono al proprio schieramento politico? Oppure prevale la via più facile del pregiudizio di parte, l’idea che gli amici (di “destra”, di “centro” o di “sinistra”) hanno sempre ragione?

- Anche i grandi uomini e gli stessi santi possono essere oggetto di calunnie; la politica non fa eccezione, anche Schuman ne é stato vittima. Come fare per giudicare correttamente le persone?

 

NOTE

1 Neo-tomismo: corrente filosofica che ripropone in chiave moderna il tomismo (la filosofia di S. Tommaso)



Giudizio Utente: / 9

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