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La luce è andata via... Stampa E-mail
      Scritto da Paolo Petrilli

tramonto_milano.jpg(Premio speciale al concorso "Insessantarighe. Un'ora da raccontare" 2006, organizzato da Corriere della Sera - Vivimilano)

La luce è andata via da qualche secondo. Scosti le tende della finestra che affaccia su Corso Venezia. Il palazzo di fronte è un’ombra pesante. Ti volti. Non riconosci i libri che hai lasciato sul tavolo di noce, l’unica concessione alla vanità in una stanza austera. Decidi di scendere in strada, ti avvolgi nel vecchio tabarro e sei sotto i lampioni spenti. Non vedi il fumo della tua bocca, allora arricci le labbra verso la luna, tiri l’aria fredda nei polmoni e la soffi via dalla gola. La luna ne fa un cono bianco che subito si dissolve. Ti fermi ad osservarla, la luna, riapparire sotto il tuo fiato, poi chiudi un occhio e la prendi fra due dita. Nessuno può vederti. Ti metti in cammino e con i tacchi attraversi il silenzio delle vie. I passi precedono l’ordine dei tuoi pensieri, stai tornando a casa ma lo hai capito solo ora. Riconosci l’edicola, cacci la testa incanutita nel tabarro, un vezzo che avevi da bambino. Casa tua è in fondo a via della Chiusa, non ha colore nella notte. Mentre avanzi fai i tuoi conti: non ci passi da trenta anni. Somiglia ai profili della tua memoria, tra pochi metri non riconoscerai la porta e il colore delle persiane. Ti senti un sopravvissuto. La senti una sopravvissuta. Un moto di riconoscenza ti sgorga dal cuore, posi la fronte contro l’inferriata. Nessuno può vederti. Chiudi gli occhi e le tue narici sono oltre le grate arrugginite. Quasi piangi quando riconosci l’odore della siepe di bosso, è l’odore dei pomeriggi in giardino con tuo padre, soltanto adesso ti accorgi di come allora fosse solo un ragazzo. Dei passi in fondo alla strada ti rimettono in marcia. La luce manca in tutta Milano da più di mezz’ora. Riconosci le mura di Piazza Vetra, sai che sono rosse anche senza luce. Sotto l’arco c’era il forno del Brera, ci sono dei ragazzi che aspettano in strada. Quando gli passi accanto puoi sentire l’odore del pane e quasi riconosci Ferrini, il tuo compagno di liceo. Sorridi di te perché hai appena superato un pub ed hai quasi settanta anni. “Ferrini..” Chiedi perdono per lui, che se fu conformista fu soltanto per eccessiva fiducia nel futuro. Ora il tuo spirito ribollisce nelle scarpe nere, sai dove vuoi andare. Ti infili in via San Sisto e poi dritto per via Morigi, di lì, debole, imbocchi via Brisa fino al civico 15. Riconosci il portone di legno, è aperto, forse una premura del portiere per chi è uscito senza chiavi. Attraversi l’androne al buio senza incontrare nessuno, è tutto come ricordavi e trovi subito il cortile. In alto la luna è prigioniera nel rettangolo delle mura. Riconosci le pietre grigie delle scale esterne che associavi all’odore di cantina che oggi è scomparso. “Come farò a tornare su quelle scale, girarmi, vedere che non sei dietro di me, con il fiatone, e far finta di niente?” Sul ballatoio della ringhiera del terzo piano mentre le tenevi le guance fra le mani le hai promesso: “Non ci lasceremo mai.” “E’ bello e tristissimo.” ti ha detto. “Perché?” hai riso. “Perché non riuscirò a scordarlo.” ha risposto seria. “Perdonami Carla, volevo un amore più grande, non lo hai mai capito.” Un giorno non ti ha più visto arrivare. Non sei più tornato. Fai in tempo a socchiudere gli occhi prima che il fanale dell’atrio ti investa col suo barlume. Ti arriva alle orecchie il vociare dei televisori. La luce è tornata dopo un’ora esatta. Un ragazzo sulla trentina ti bussa alle spalle: “Cerca qualcuno Padre? Posso aiutarla?” “Non credo figliolo, grazie lo stesso.” Sorridi e riprendi la strada illuminata a giorno. Non poteva vederti nessuno. Forse neanche Dio.



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