Giuliana Sgrena è la giornalista de Il Manifesto rapita (e poi liberata) in Iraq. Bisogna avere molto pudore nel rivolgere critiche verso chi ha subito l'angoscia di un sequestro, un dramma che nessuno si augura. Però il sequestrato, una volta libero, dovrebbe avere lo stesso pudore, evitando di usare la visibilità acquisita per sostenere battaglie politiche, per di più stucchevoli. Al dunque: la Sgrena non riesce ad uscire dal suo schema Americani-cattivi contro resistenti (terroristi)-buoni, neanche se ha sperimentato sulla sua pelle la bonta' di quei galantuomini, che a suo dire l'avrebbero trattata con gentilezza encomiabile. A chi le ha fatto notare che nel suo straziante appello, trasmesso durante la prigionia, non sembrava tanto contenta del trattamento ricevuto, la Sgrena candidamente ha risposto: "I rapitori mi avevano chiesto di drammatizzare". Allora ci domandiamo: se davvero i rapitori la trattavano bene, lei avrebbe ben potuto rifiutarsi di "drammatizzare", senza temere conseguenze. Oppure era contenta di recitare e prendere in giro un popolo in apprensione?
P.S. Si è anche saputo che al rapimento ha contribuito la grave imprudenza della giornalista, che non ha rispettato le norme di prudenza normalmente utilizzate in quei luoghi. Certo questa imprudenza non doveva far venire meno il dovere morale di adoperarsi per liberarla. Ma se pensiamo che tutta la vicenda ha portato ad una morte - quella di Nicola Calipari - che poteva essere evitata... il pudore del silenzio diventa ancor più necessario.