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Religione e società - Notizie e Commenti
Lo "scandalo" del Papa che soffre Stampa E-mail
Papa Wojtyla, che non ha nascosto la sua malattia, ha suscitato commozione... ma anche fastidio!
      Scritto da Giovanni Martino
30/03/05
giovannipaoloII_sofferente.jpg

Erano anni che il Papa non stava bene. Un attentato che nel 1981 aveva minato il suo fisico robusto; un tumore intestinale asportato qualche anno fa; numerose operazioni subite per qualche piccolo incidente e, soprattutto, il morbo di Parkinson che avanza. Malattie che hanno prodotto anche sofferenza fisica, più di quella che solo di recente ha lasciato trasparire.

Eppure non si è mai risparmiato, anche contro il consiglio dei medici. Sveglia alle cinque ogni mattina, la messa nella cappella privata, la preghiera, le udienze, riunioni, scritti, viaggi estenuanti per annunciare il Vangelo e portare parole di consolazione in tutto il mondo. La gioia dei fedeli che lo incontravano, il senso di responsabilità per la missione di cui era investito, la sua immensa forza di volontà, lo hanno spinto a dare tutto. Anche quando la vecchiaia e la sofferenza sono diventate lancinanti ed evidenti. Sino ai drammatici e non riusciti tentativi degli ultimi giorni di parlare ai pellegrini: resterà a tutti impressa la smorfia di rabbia di un Papa lucido, desideroso di comunicare in maniera chiara, che si sente prigioniero del suo corpo. Eppure anche questa prigionia si è trasformata in testimonianza.

La testimonianza del Papa è che il cristianesimo è la religione della sacralità (e non della "qualità") della vita, dono di Dio. Il che non significa che non sia legittimo il desiderio di star bene, di evitare la malattia. Ma significa che la vita può sempre essere bellissima, anche nella sofferenza, la quale (sia fisica, sia morale) ne è una parte ineliminabile. Perché la gioia non sta nella salute, nell'efficienza fisica, ma nell'amore: e la malattia, il dolore, avvicinano all'amore di Dio e possono divenire occasione d'amore con le persone che ti sono vicine.

La reazione dei fedeli, ma anche della stragrande maggioranza degli uomini - credenti di ogni religione e non credenti -, è stata di solidarietà. Anche chi pensava che il Papa dovesse risparmiarsi un po' non lo pensava perché infastidito dalla sua presenza malata, bensì per un senso di protezione verso una persona cara. Si pensi ai commoventi consigli che sono pervenuti in Vaticano in questi mesi da adulti, anziani, bambini: "Santità, si riguardi, beva molto brodo di pollo".

Ma ci sono stati anche coloro che, anziché la voce del cuore, hanno ascoltato la voce della paura. La paura del dolore, della malattia, della morte, paura che va diffondendosi in una società sempre più salutista, sempre più attenta a 'sterilizzare', cancellare (o almeno nascondere) tutto ciò che possa intaccare la sensazione di benessere e perfezione. Una paura che porta a invocare eugenetica ed eutanasia. Questa paura in alcuni intellettuali si è addirittura espressa come irritazione. Il quotidiano francese Le Monde del 30 marzo definiva “la sofferenza del papa in diretta” come “l’effetto boomerang della mediatizzazione a oltranza voluta dal Vaticano” e Karol Wojtyla “vittima di una politica di comunicazione demenziale”.

Lo storico Galli della Loggia ha commentato tali polemiche ritenendole basate “sull’idea che se lui potesse decidere non farebbe così, e che in qualche forma sarebbe manovrato. Mi sembra del tutto evidente, invece, che sia lui a decidere. Le interpretazioni come quelle di Le Monde si fondano su un assunto indimostrato, che è ragionevole pensare sia falso: cioè che il Papa sia un burattino nelle mani della ‘corte’: un altro classico della rappresentazione tenebroso-protestante della Chiesa cattolica, fatta di meandri e segreti del Vaticano, di astuti prelati avidi di potere, di una curia ipocrita che ormai non crede neanche più. Sono puerilità”, raffigurazioni fumettistiche vanificate dalla constatazione che, “se fosse veramente costretto, il Papa non avrebbe quella gestualità drammatica che parla di una volontà di ferro in urto con una corporeità che non gli obbedisce più”. Galli della Loggia pensava invece che “più Giovanni Paolo II è carnalmente umano e malato, più la sua immagine cresce. Lui mostra in pubblico ciò che abitualmente non può essere mostrato, la malattia, e in lui c’è la dimostrazione dell’alterità della fede rispetto al senso comune. Il Papa è un uomo di fede in senso profondissimo, e non ci siamo abituati. Ecco perché c’è chi lo pensa in categorie a metà tra il Codice da Vinci e la Asl”.  

La dietrologia, la smania di cercare trame oscure in tutto ciò che muove gli atteggiamenti della Chiesa, impedisce di capire ciò che è più semplice: l'importanza che per la fede cattolica ha la carne, nelle sue gioie (non dissennate) e nei suoi patimenti. La salvezza è anche resurrezione dei corpi.

Forse questa importanza non è colta neanche da qualche intellettuale cristiano, le cui prese di posizione denotano sia una concezione tutta spiritualistica della religione, vista come momento esclusivamente intimo, privato, sia una critica al ruolo del papato. Una concezione che 'seleziona' gli aspetti ritenuti più attuali e 'presentabili' della fede, incurante se si butta via ciò di cui ha bisogno l'uomo, in tutta la sua interezza: ciò che ha annunciato Cristo, e ripetuto Giovanni Paolo II.


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