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Globalizzazione e Terzo Mondo
Live 8: solo musica? Stampa E-mail
Obiettivo: il condono dei debiti del Terzo Mondo. Un obiettivo difficile... ma almeno è utile?
      Scritto da Domenico Martino
28/06/05

 

liveaid1985.jpg
Il Live Aid del 1985

 

Dal 6 all'8 luglio 2005 i "G8" - cioè i leader degli otto Paesi più industrializzati: USA, Giappone, Germania, Gran Bretagna, Francia, Italia, Canada, Russia - si sono riuniti a Gleneagles, in Scozia, per discutere delle questioni di scottante attualità nel mondo. Ma questo appuntamento sarà ricordato anche perché preceduto, il 2 luglio, dall'evento pop-rock più grande della storia, organizzato dall'infaticabile Bob Geldof: in dieci tra le più grandi città del mondo si sono esibiti U2, Pink Floyd (riuniti per l'occasione), Coldplay, Paul McCartney, Rem, Elton John, Green Day, Madonna, Sting, Stevie Wonder, Who, Mariah Carey, Robbie Williams, Brian Adams... Tra gli artisti di casa nostra sono saliti sul palco - al Circo Massimo a Roma - Renato Zero, Ligabue, Pelù, Baglioni, Zucchero (che si è esibito anche a Parigi, dove ha cantato Bocelli), Elisa, Laura Pausini, Venditti, Ron, Antonacci, Nek, De Gregori, Irene Grandi...

Lo scopo proclamato è molto nobile: aiutare il Terzo Mondo. Non vogliamo qui soffermarci sulla sincerità di questo scopo: certo molti artisti in cerca di pubblicità hanno cantato solo perché era un evento a cui "non si poteva mancare"; similmente, molti spettatori sono stati attratti dalla musica più che dal fine umanitario. Ma fare il processo alle intenzioni può essere esercizio sterile: ci sono stati senz'altro numerosi partecipanti sinceri ed entusiasti, ed è quell'atteggiamento che vogliamo applaudire.

La questione è però un'altra: il mezzo scelto - sensibilizzare i G8 affinché condonino i debiti del Terzo Mondo - è quello più efficace per raggiungere lo scopo di aiutare i Paesi poveri?

C'è chi ne dubita, a costo di prendersi la patente di cinico o insensibile. E' il caso ad esempio delleconomista svedese Fredrik Erixon, autore di uno studio sugli effetti degli aiuti ai Paesi in via di sviluppo dal 1970 ad oggi, appena pubblicato dall’istituto britannico International Policy Network (Ipn) (insieme con centri di ricerca di Sudafrica, Hong Kong, India, Ghana, Israele e Nigeria).

Erixon spiega che tali aiuti non solo sono stati inutili, ma addirittura controproducenti. I dati mostrano che il volume di aiuti ricevuti dal 1970 dai Paesi in via di sviluppo (400 miliardi di dollari) è stato inversamente proporzionale alla crescita di questi ultimi. Mentre gli aiuti all’Africa aumentavano dal 5% del Pil continentale (1970) al 18% (1995), la crescita del Pil pro-capite - che prima si aggirava sul 15-17% annuo - diventava negativa; per risalire a metà anni Novanta, quando gli aiuti sono tornati a calare.

Erixon contesta la teoria secondo la quale gli aiuti esteri avrebbero la forza di dare la spinta iniziale a un’economia e rompere così il «circolo vizioso della povertà». In realtà, dice l’economista, «i Paesi non sono poveri perché mancano di strade, scuole o ospedali. Mancano di queste cose perché sono poveri. E sono poveri perché non hanno le istituzioni di una società libera, le quali creano le condizioni di base per lo sviluppo economico». La vera causa della povertà, insomma, risiederebbe nella mancanza di brevetti, di mercati aperti, di governi onesti e a base democratica, di commercio estero, di un'adeguata tutela dei diritti di proprietà. E, soprattutto, nell'arretratezza culturale. (Delle cause del sottosviluppo nell'epoca della globalizzazione parla l'ottimo libro che abbiamo già recensito, Poveri, perché?).

Gli aiuti possono avere tre tipi di effetti negativi: distolgono l'attenzione dall'obiettivo primario, la creazione di istituzioni che funzionino; marginalizzano gli investimenti privati, schiacciati dall'afflusso del denaro estero gestito dallo Stato; rafforzano le élite corrotte che gestiscono gli aiuti, spesso investendoli in armi o ritrasferendoli in conti privati svizzeri.

Qualcuno ricorderà il caso eclatante di qualche anno fa in Costa d'Avorio, quando il governo locale rifiutava l'offerta dell'Unione europea di costruire strade e infrastrutture, perché pretendeva i soldi per... "costruirle" da sé!

Erixon cita come esempio da seguire, piuttosto, quello del Botswana, che si è dato buone istituzioni economiche e ha avuto una bassa «interferenza» di aiuti esteri, con il risultato che il suo tasso di crescita negli scorsi 30 anni è stato «tra i più alti del mondo» e il reddito pro-capite è oggi di ottomila dollari l'anno, contro i meno di mille di molti Paesi africani.

Insomma, «gli economisti-rock star vedono il mondo attraverso occhiali rosa - afferma Julian Morris, direttore dell'Ipn -. La loro convinzione che gli aiuti vadano a beneficiare i poveri è mal posta. La realtà è che gli aiuti premiano il fallimento e rafforzano regimi che diversamente sarebbero stati fatti fuori».

Altre controindicazioni ai condoni del debito sono state indicate dal Fondo Monetario Internazionale (qualcuno dirà sicuramente: "è un'istituzione che tutela i Paesi ricchi!" Il punto, però, è quello di ragionare senza pregiudizi sui dati e sulle tesi esposte). I Paesi che accettano di ridiscutere il loro debito senza pretendere di annullarlo del tutto possono ottenere nuovi prestiti; invece l’azzeramento dei debiti induce gli istituti finanziari privati a non concedere altro credito (che è cosa diversa dalla beneficenza). Senza contare che le cancellazioni totali - un po' come i "condoni" in Italia - sono di cattivo esempio per i Paesi virtuosi. Altri effetti economici negativi di un improvviso afflusso di sovvenzioni economiche è la rivalutazione della moneta, che penalizza le esportazioni. Quanto agli aiuti in beni di consumo, mettono fuori mercato le produzioni interne.

Non è neanche vero che la riduzione dei sussidi agli agricoltori americani ed europei (lasciando da parte le conseguenze sociali e ambientali che avrebbe nei Paesi sviluppati) sia fondamentale per le esportazioni africane: il PIL africano sta crescendo del 5 per cento annuo grazie all'aumento di esportazioni agricole e materie prime, ad esempio, verso Cina e dell’India.

Un elenco così lungo di 'controindicazioni' farebbe pensare a una nostra contrarietà verso ogni aiuto all'Africa: non è assolutamente così. E' altrettanto importante precisare che la critica sui rischi derivanti dall'erogazione degli aiuti non può diventare un comodo alibi per lavarsene le mani. Piuttosto, dev'essere lo stimolo per focalizzare meglio gli interventi (a parte quelli di sussistenza, che non si possono negare a nessuno): bisogna privilegiare come tipo di aiuti gli investimenti nella formazione, e come destinatari i regimi democratici disposti a riforme politiche e giuridiche serie. Una delle strade alla portata di tutti noi è quella di sostenere l'opera di associazioni non governative, dei missionari, di cui si conosce da vicino la qualità.

Se si segue questa strada, affiancando alla buona volontà un atteggiamento oculato, la remissione del debito può dare un contributo ulteriore utile e importante. Altrimenti, anche un concerto rock può diventare il mezzo per lavarsi la coscienza a poco prezzo...



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