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Il Papa che verrą (aspettando il successore di Giovanni Paolo II) Stampa E-mail
Con quali criteri verrą effettuata la scelta? Quali problemi hanno presenti i cardinali in Conclave?
      Scritto da Sandro Magister
15/04/05
michelangelo_cappellasistina.jpg
La Cappella Sistina

Proponiamo l'estratto di un articolo del vaticanista Sandro Magister, pubblicato il 14 aprile 2005 su L'Espresso on line. Si tratta di un'analisi un po' disincantata, poco propensa ad evidenziare l'azione dello Spirito Santo, e più attenta agli aspetti "politici" (probabilmente col rischio di un eccessivo schematismo e di una sottolineatura dei contrasti). L'analisi è però attenta, e merita interesse.

 

Martedì 19 aprile, primo giorno pieno del conclave che eleggerà il nuovo papa, la Chiesa romana ha nel suo calendario la festa di san Leone IX. Fu papa tra il 1049 e il 1054. Fu antesignano di quella grandiosa “Rivoluzione papale” che all’inizio del secondo millennio, tra i secoli XI e XII, rimodellò la Chiesa e l’Occidente. Era tedesco.

Ed è tedesco, ma prima ancora “romano”, il cardinale che indiscutibilmente primeggia in questo conclave d’inizio del terzo millennio. È Joseph Ratzinger, 78 anni compiuti il 16 aprile. La mattina di lunedì 18 sarà lui a presiedere in San Pietro la “missa pro eligendo romano pontifice”. E nel primo scrutinio segreto di lunedì pomeriggio è previsto che riceverà numerosi voti di consenso e di stima, sicuramente parecchie decine. Il quorum necessario per essere eletti, con 115 cardinali presenti, è di 77 voti. Al conteggio, i cardinali e lo stesso Ratzinger vedranno e giudicheranno. Sotto lo sguardo temibile di un Giudice infinatamente più alto di loro, il Cristo michelangiolesco della Cappella Sistina.

Ma temibile, impegnativa, è anche la proposta che Ratzinger e il suo partito hanno lanciato ai cardinali elettori. Essi vogliono “una Chiesa non ripiegata su se stessa, non timida, non sfiduciata, una Chiesa che brucia dell’amore di Cristo per la salvezza di ogni uomo”, come ha detto il cardinale Camillo Ruini nell’omelia in una basilica di San Pietro traboccante di folla, due giorni dopo i funerali di Giovanni Paolo II.

Ruini è stato con Ratzinger, negli ultimi mesi, il più attivo ed esplicito nel definire gli scenari del nuovo pontificato. E con loro sono solidali numerosi cardinali di spicco, alcuni dei quali a loro volta papabili. In curia c’è il tedesco Walter Kasper, amico di studi di Ratzinger e Ruini fin da quando i tre erano semplici professori di teologia. In America Latina ci sono l’argentino di origini italiane Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, e il cileno Francisco Javier Errįzuriz Ossa, arcivescovo di Santiago. Negli Stati Uniti c’è Francis E. George, arcivescovo di Chicago. In Canada c’è Marc Ouellet, arcivescovo di Québec. In Australia c’è George Pell, arcivescovo di Sydney. Nell’Europa orientale c’è Józef Glemp, arcivescovo di Varsavia. In Italia ci sono Angelo Scola, patriarca di Venezia, e Giacomo Biffi, arcivescovo emerito di Bologna. Sono questi l’ossatura del partito neoconservatore che ha in Ratzinger il suo faro. Si è avvicinato a questo partito, ultimamente, anche il sodalizio dei cardinali amici dell’Opus Dei, con in testa i due che dell’Opus sono membri: in Vaticano Juliįn Herranz, il più autorevole dei canonisti di curia, e in America Latina Juan Luis Cipriani Thorne, arcivescovo di Lima.

La forza dei neoconservatori è essenzialmente nel loro programma. Vogliono una ripresa in pugno del governo ordinario della Chiesa, una sua ripulitura dalla “sporcizia”, un rafforzamento della formazione dottrinale e morale del clero, un rilancio della prima evangelizzazione e dell’insegnamento del catechismo, un innalzamento qualitativo delle celebrazioni liturgiche, una nuova campagna missionaria.

Ma è soprattutto sul versante della Chiesa “ad extra” che il loro progetto si distingue. Non sarà lo scontro tra la Chiesa e l’islam e le altre religioni il più temibile conflitto dei prossimi decenni – hanno detto più volte concordi Ratzinger e Ruini – ma piuttosto il conflitto culturale tra la Chiesa e “la radicale emancipazione dell’uomo da Dio e dalle radici della vita”, che caratterizza la cultura occidentale d’oggi e che “alla fine porta alla distruzione della libertà”. Per i cardinali neoconservatori, l’impegno della Chiesa in questo scontro con epicentro l’Occidente dovrà avere nel prossimo pontificato la priorità assoluta.

Il loro scenario ha inoltre tre corollari. Il primo è che in tale conflitto epocale la Chiesa non si batterà in solitudine, ma cercherà e troverà i suoi alleati in correnti di pensiero laiche anche lontane, ad esempio in quelle rappresentate da Francis Fukuyama e Jürgen Habermas, i due autori ultimamente più citati da Ratzinger e Ruini.

Il secondo corollario riguarda la visibilità della Chiesa. Nella scia di Giovanni Paolo II, i neoconservatori vogliono che la Chiesa non parli solo all’intimo delle coscienze, ma agisca al centro dell’arena pubblica come forza sociale trainante.

Il terzo riguarda l’essenza stessa della Chiesa. Nella sua ultima conferenza prima della morte del papa Karol Wojtyla, letta il 1 aprile a Subiaco, il cardinale Ratzinger ha duramente criticato coloro che “riducono il nocciolo del messaggio di Gesù, il regno di Dio, alle parole d’ordine del moralismo politico”. Perché facendo così “si dimentica Dio e al suo posto rimangono parole che si prestano a ogni tipo di abuso”.

A fronte di questo programma dei neoconservatori, nessuno nel collegio dei cardinali ha opposto un progetto alternativo compiuto. Non mancano però obiezioni e resistenze anche forti, che in avvio di conclave si tradurranno in voti a favore di altri candidati.

* * *

Nell’area convenzionalmente definita progressista le obiezioni sono di due tipi, ciascuna con i suoi sostenitori.

Una prima obiezione contesta la priorità data dai neoconservatori al confronto tra la Chiesa e la cultura laica sulla visione dell’uomo e della vita.

Cardinali come Clįudio Hummes, arcivescovo di San Paolo del Brasile, e Oscar Andrés Rodriguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa nell’Honduras, ritengono tale priorità troppo legata al contesto occidentale e vorrebbero invece che la Chiesa dia il primo posto all’impegno per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato.

Sia Hummes che Rodriguez Maradiaga si sono proposti da tempo come candidati a papa. Il primo ha letto il 16 marzo in Vaticano, in un convegno sulla “Gaudium et Spes”, un discorso che è stato interpretato come un’autoinvestitura, la cui tesi centrale è che “una Chiesa serva deve avere come sua priorità la solidarietà con i poveri”. Il secondo ha avuto a proprio favore un battage mediatico molto scoppiettante. Ma sia l’uno che l’altro entrano in conclave con pochissimi sostenitori sicuri.

La seconda obiezione è tipicamente liberal. Propone una Chiesa più democratica al suo interno e un rapporto di maggiore “condivisione” con la cultura e il costume diffusi in Occidente. Reclama nuove soluzioni circa il celibato del clero, i ruoli delle donne, la comunione ai divorziati risposati. Invoca più ecumenismo. Diffida di una Chiesa troppo visibile e pubblica, e vi preferisce un vissuto cristiano più interiore e discreto.

Sono a favore di questa linea i cardinali Godfried Danneels, arcivescovo di Bruxelles, Roger Mahony, arcivescovo di Los Angeles, Keith Michael P. O’Brien, arcivescovo di Edinburgo, Stephen Fumio Hamao, giapponese di curia. Anche il cardinale Carlo Maria Martini è assegnabile a questa corrente, anzi, ne è stato per molti anni il papabile. Ma solo in effigie. Questa corrente non ha in conclave alcuna chance d’imporsi.

* * *

Ha invece discrete possibilità di riuscita la terza e ultima corrente, quella dei moderati.

Tra i suoi esponenti più in vista vi sono i cardinali di curia Angelo Sodano, Giovanni Battista Re e Crescenzio Sepe, per tanti motivi tra loro rivali, ma uniti nel fare azione di resistenza e disturbo contro il progetto di Ratzinger e dei neoconservatori.

Nei giorni immediatamente successivi alla morte di Giovanni Paolo II, mentre i cardinali man mano affluivano a Roma, questi tre porporati si sono prodotti in una frenetica azione di lobbying, con l’aiuto di altri curiali inabilitati ad entrare in conclave perché con più di 80 anni, ma anch’essi attivissimi: Achille Silvestrini e Pio Laghi.

Né Sodano, né Re, né Sepe possono illudersi d’essere eletti. Ma il pugno di voti che ciascuno di essi controlla può spingere in alto l’unico vero candidato individuabile nella palude dei moderati: Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano. A sostegno di quest’ultimo si sono mossi anche gli affiliati della Comunità di Sant’Egidio, molto abili nell’orientare sia i cardinali di terza fila, sia soprattutto la stampa italiana e internazionale, sostituta moderna del potere di pressione e di veto che un tempo era prerogativa dei re.

Tettamanzi spiccò il volo, anni fa, come esperto di bioetica. Aiutò Giovanni Paolo II a scrivere discorsi ed encicliche a difesa della vita nascente. Ma proprio oggi che questi temi son diventati più cruciali che mai negli Stati Uniti, in Europa, in Italia, sia dentro la Chiesa che fuori, vera “questione epocale” a giudizio di Ratzinger e Ruini, lui non ne parla più. E viceversa si produce in ovattate requisitorie contro la globalizzazione, il neoliberismo, le telecrazie.

Se eletto, sarà salutato come il più progressista dei papi possibili, lui impareggiabile difensore dello statu quo.



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