L’elezione di papa Francesco costituisce un importante segno di novità nella Chiesa, che fa seguito alla già epocale novità della rinuncia del suo predecessore: è il primo Papa extraeuropeo dopo più di mille anni (ovviamente, il primo Papa latinoamericano in assoluto), il primo Papa gesuita.
A queste novità ne ha aggiunta qualcuna lui stesso. Innanzitutto, è il primo Papa che sceglie di portare il nome di san Francesco di Assisi. Inoltre, ha un modo di porgersi gioviale, semplice, a tratti quasi “informale”, poco incline a rispettare minuziosamente tutti i protocolli tradizionali (nell’abbigliamento, nei gesti, ecc.).
La domanda che molti si pongono è come debbano essere lette queste novità: se come segno di “rottura” rispetto al pontificato di Benedetto XVI, e addirittura rispetto alla Chiesa degli ultimi secoli; o come semplice indizio di un Papa che avrà certamente uno stile proprio (come lo ha ogni pontefice), che avrà nella sua agenda priorità specifiche, ma pur sempre nel solco del Magistero sviluppato con continuità dalla Chiesa cattolica.
Quelli che cercano minuziosamente gesti di novità spesso li enfatizzano, li considerano segnali di “rottura”, perché forse è proprio una forte discontinuità quella che aspettano e invocano.
È il caso di molti osservatori “laici e progressisti”, per i quali la rinuncia di papa Bergoglio alla mozzetta rossa (il classico coprispalla indossato dai Papi nelle occasioni formali) è certo il preludio ad una “collegialità” che segni la fine del primato del vescovo di Roma, come anche ad una serie di cambiamenti che rispecchiano la solita collezione di speranze-luoghi comuni (che già ricordavamo al tempo dell’elezione di Benedetto XVI): una nuova e più "moderna" morale sessuale (sembra che il sesso sia un'ossessione non della Chiesa, ma di coloro che la criticano), rinuncia al celibato dei preti, apertura del sacerdozio alle donne, approvazione del matrimonio degli omosessuali… magari chiusura del Vaticano e ritiro del Papa in un umile monastero, proclamando che Cristo era sì una brava persona, ma forse non Dio e comunque non molto meglio di Buddha o Maometto...
Insomma: questi 'commentatori' non solo pretendono di insegnare al Papa il suo mestiere, ma si aspettano un Papa che 'metta in soffitta' la Chiesa cattolica! (Il che ci ricorda una vecchia barzelletta: il sogno di un tifoso laziale/romanista? Diventare Presidente della squadra rivale... per scioglierla!). Naturalmente tali auspici si ritrovano puntualmente delusi da ogni Pontefice, etichettato (in un tempo più o meno breve) come "conservatore", salvo essere rimpianto quando arriva il turno del successore...
La nostra previsione è che papa Francesco finirà inevitabilmente per “deludere” le aspettative più caricaturali. Ma chissà che la sua carica di umanità e di spiritualità non riesca a conservare intatta la simpatia catturata inizialmente anche presso molti di coloro che guardano alla Chiesa con più diffidenza.
Ad ogni modo, per tornare al dilemma rottura-continuità nel nuovo Papa, analizziamo un passaggio del discorso tenuto il 22 marzo al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede:
“Ci sono vari motivi per cui ho scelto il mio nome pensando a Francesco di Assisi (…) la Chiesa ha sempre cercato di avere cura, di custodire, in ogni angolo della Terra, chi soffre per l’indigenza (…)
Ma c’è anche un’altra povertà! È la povertà spirituale dei nostri giorni, che riguarda gravemente anche i Paesi considerati più ricchi. È quanto il mio Predecessore, il caro e venerato Benedetto XVI, chiama la “dittatura del relativismo”, che lascia ognuno come misura di se stesso e mette in pericolo la convivenza tra gli uomini. E così giungo ad una seconda ragione del mio nome. Francesco d’Assisi ci dice: lavorate per edificare la pace! Ma non vi è vera pace senza verità! Non vi può essere pace vera se ciascuno è la misura di se stesso, se ciascuno può rivendicare sempre e solo il proprio diritto, senza curarsi allo stesso tempo del bene degli altri, di tutti, a partire dalla natura che accomuna ogni essere umano su questa terra (per “natura”, ovviamente, il Papa intende l’identità profonda e immutabile della persona umana, non l’ambiente terrestre, il creato, di cui parla più avanti nel discorso, ndr).
Chi ha orecchie per intendere, intenda.