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Economia - Notizie e Commenti
Abbassare le tasse è un obiettivo importante. Ma non sarà un pranzo di gala Stampa E-mail
Attenzione agli stregoni, ai cinici e … ai terroristi
      Scritto da Francesco Cassani
30/04/12

“La rivoluzione non è un pranzo di gala”, diceva Mao. Una citazione efficace per ricordare che le imprese più impegnative richiedono i sacrifici maggiori (il “Grande Timoniere” intendeva anche che bisogna abbandonare ogni scrupolo morale, ma su questo aspetto possiamo fare la tara alla sua citazione).

Gli effetti della crisi si stanno trasmettendo dall’empireo della finanza alla vita quotidiana delle famiglie, iniziano a tradursi in sacrifici più o meno gravi per tutti. In conseguenza di ciò, si stanno diffondendo – amplificate dai media – alcune parole d’ordine che uniscono elementi di verità ad altri di ambiguità, di illusione, di cinismo. Si inizia a sostenere che “le tasse sono troppo alte” (lo sapevamo già…); che una “pressione fiscale troppo pesante procura esasperazione” (un modo per legittimare episodi di violenza contro se stessi – suicidi - o contro le società che agiscono per la riscossione dei crediti?); che per uscire dalla crisi “non serve il rigore, ma la crescita” (ohibò, a questo non avevamo pensato!).

Qualcuno cerca anche di alimentare furbescamente i sentimenti di insofferenza popolare, pensando di trarne profitto. Non ci sorprendiamo poi se a furia di rimestare nel torbido si creano gli spazi per rigurgiti di terrorismo…

Conviene allora mettere i puntini sulle i.


1) Tasse e imposte sono troppo alte? Certo, ma non da oggi

La pressione fiscale ufficiale è schizzata dal 26,1% sul PIL nel 1979 al 40,6% nel 1992. Da allora ad oggi – vent’anni! - è stabilmente sopra al 40%, con una punta del 43,8% nel 1996, cui abbiamo iniziato a riavvicinarci a partire dal 2007 e che potrebbe essere superata di poco quest’anno (previsioni Banca d’Italia).

Attenzione: parliamo della pressione fiscale ufficiale complessiva, calcolata sull’intero prodotto interno lordo (che comprende anche il sommerso). La pressione fiscale effettiva su quanti dichiarano interamente il loro reddito oscilla tra il 51 e il 51,9%! (Mentre quella su chi evade totalmente o parzialmente è ovviamente molto inferiore alla media).


2) I suicidî non sono aumentati

Si parla molto dei “suicidî dovuti alla crisi e al peso delle tasse”. In realtà i suicidî per motivi economici, in Italia, sono la metà di quelli della Germania (dove l’economia tira) e il doppio della Grecia (dove i sacrifici iniziano ad essere davvero pesanti). E non sono in aumento: i dati dei primi quattro mesi del 2012 parlano 0,29 suicidi al giorno per motivi economici, contro lo 0,51 del 2010 e lo 0,54 del 2009.

È bene interrogarsi su che cosa spinga i media e alcuni uomini pubblici a speculare su queste morti.


3) Iniziano ad essere pizzicati gli evasori…

Che cosa sta succedendo di nuovo, quindi? Sta succedendo che il meccanismo di riscossione dei tributi si è fatto da qualche anno (dal 2007) più efficace, e iniziano a pagarli anche quelli che non erano abituati.

In un nostro articolo abbiamo cercato di valutare con molta accuratezza tutte le possibili tesi che “giustificano” l’evasione fiscale. Qui possiamo ribadire, in estrema sintesi, che l’evasione fiscale non è un rimedio contro la crisi, perché è un fattore – oltre che di iniquità – di grave inefficienza del sistema economico.

Si noti, peraltro, che i Paesi più in crisi sono quelli con il tasso di evasione fiscale più elevato (Grecia in primis)...

La lotta all’evasione non assicura di per sé che il carico fiscale si alleggerisca (se non cala anche la spesa pubblica). Ma è una condizione ineludibile.

Esistono anche, per alcuni imprenditori, problemi reali legati all’attuale carenza di liquidità (le banche fanno meno credito, gli enti pubblici pagano in ritardo).

Le soluzioni, però, devono essere puntuali:

  • bisogna introdurre (come si sta cercando di fare) forme di compensazione tra crediti e debiti, pur sapendo che non è possibile farlo in maniera piena ed immediata (tralasciamo di considerare che molti fornitori dello Stato già ricaricano sui costi delle forniture i ritardi nei pagamenti che ricevono). I debiti delle pubbliche amministrazioni verso i fornitori, infatti, non rientrano nel calcolo del debito pubblico; se venissero fatti “emergere”, le statistiche sul debito italiano diventerebbero ancora più preoccupanti. Serve un’emersione di questo debito concordata a livello europeo, oltre che una più generale azione di risanamento del bilancio dello Stato;
  • bisogna incoraggiare (con garanzie pubbliche?) la concessione del credito ad aziende in crisi di liquidità che però abbiano elevata redditività, e quindi siano sostanzialmente sane;
  • le aziende decotte vanno lasciate fallire, perché distruggono risorse. L’evasione fiscale non può essere una forma sostitutiva (e incontrollata) di ammortizzatore sociale. I veri ammortizzatori, da progettare e gestire con serietà, sono la protezione del reddito per i periodi di transizione, l’assistenza nella ricollocazione lavorativa, la formazione, il sostegno all’innovazione.


4) Le pecche vere (e quelle presunte) nella riscossione di tasse e imposte

L’azione finalmente efficace di Agenzia delle Entrate e società di riscossione (come Equitalia) non è esente da pecche.

Alcune delle accuse rivolte, a dire il vero, sono davvero poco serie. Circola ad esempio la pretesa assurda che gli esattori sappiano “distinguere” chi evade per spregio della legge da chi evade per “difficoltà oggettive”: distinzione impossibile, o demandata ad assoluta arbitrarietà, che porterebbe ad abusi, raccomandazioni, collusioni con ambienti criminali (come insegna la storia). Al limite, le condizioni di disagio economico contingente possono comportare la previsione di dilazioni.

Sono due, piuttosto, le criticità reali su cui si deve intervenire:

  • esistono casi in cui si procede ad atti esecutivi (pignoramenti, ecc.) anche in presenza di errori nel calcolo dei tributi. Per evitare queste ingiustizie, bisogna investire al massimo sulla professionalità ed efficienza dei soggetti incaricati del calcolo dei tributi e della riscossione, nonché ripristinare effettive garanzie per i debitori nel contenzioso tributario;
  • deve esistere proporzione tra importi dovuti e azioni esecutive. Non si può pignorare un’automobile per un debito di poche centinaia di euro, o costituire un’ipoteca sulla casa per un debito di poche migliaia.

L’analisi sin qui effettuata dovrebbe farci comprendere – se non era già evidente al senso morale di ciascuno – che non veniamo ridotti in miseria dai famelici impositori di un satrapo persiano.
Per cui sono legittime le opinioni diverse, le proteste; non gli attentati  - “dimostrativi” o meno - ai funzionarî fiscali che fanno il loro dovere.


5) La crisi attuale è una crisi del debito, che non offre grandi margini di manovra

Abbiamo ricordato più volte che un’imposizione fiscale eccessiva danneggia l’economia e che è possibile procedere ad una diminuzione del livello impositivo senza compromettere i bilanci.
In Italia la pressione fiscale è troppo elevata (tra le più alte al mondo) e penalizza in particolare le famiglie (che non vedono riconosciuto l'onere dei figli) e il lavoro (c.d. "cuneo fiscale").

Bisogna però tenere presente che abbattere la pressione fiscale produce, nell’immediato, un drastico calo delle entrate, compensato solo successivamente dal recupero dovuto alla crescita del prodotto interno lordo.

Ebbene: l’attuale crisi finanziaria mondiale si presenta innanzitutto come crisi del debito. I Paesi più esposti, come l’Italia, non possono assolutamente aumentare il loro indebitamento, ma sono anzi chiamati a sacrifici per una decisa azione di risanamento.

La priorità attuale, quindi, è il controllo dei bilanci. Senza di questo, i nostri creditori non ci rinnovano i prestiti e ci mandano ad una rovina anche peggiore di quella cui si è avviata la Grecia (siamo un Paese più grande, che ha più risorse per uscire dalla crisi, ma anche che è molto più difficile da salvare in caso di politiche sconsiderate).

L’azione di risanamento comporterà senz’altro un calo del tenore di vita generale. Ma solo perché questo tenore era drogato. La colpa non è del risanamento, ma di chi ha dispensato (e assunto) la droga. Il risanamento serve solo ad evitare conseguenze ben più drammatiche.

Possiamo ragionare sulle iniziative da intraprendere a livello europeo, con la Germania innanzitutto, per rendere i tempi di rientro più flessibili, per rendere la medicina meno amara. Ma la medicina va presa, perché il medico pietoso uccide il malato.
Possiamo proporre una parziale esenzione dai vincoli di bilancio per le spese per investimenti, in modo da stimolare l'economia. Ma ricordando che è una strada stretta e in ogni caso pericolosa, perché spinge i Paesi a spostare nella quota in deroga gli investimenti già previsti, riservandosi un margine di manovra maggiore per gli "sprechi".
Possiamo chiedere alla Germania qualche sacrificio in nome dell’interesse comune, di cui essa beneficia più di tutti. Ma non possiamo chiederle sic et sempliciter di farsi carico dei debiti europei (cioè di affondare insieme con i Paesi più sconsiderati).


6) Tasse e imposte si possono tagliare solo riducendo le spese

Per individuare il nodo della questione, bisogna porsi una domanda: come è stato possibile che, proprio negli anni in cui la pressione fiscale è schizzata a livelli eccezionali, sia esploso anche il debito pubblico (passando dal 55% al 119% del PIL)?

Questo è accaduto perché la spesa pubblica, se non è posta sotto controllo, è un’idrovora insaziabile.

Per quindici anni, dal 1980 al 1995, si è lasciata crescere la spesa in maniera incontrollata, portando il debito (nonostante l’incremento delle entrate) al 121,5% del PIL. Nel quindicennio successivo si è pensato solo a mettere la spesa sotto controllo, senza però il coraggio di risanarla, perché ci si è cullati nell’idea che fosse possibile accontentarsi di tenere il debito stabile (un debito come quello italiano…) facendo crescere la spesa poco meno del PIL. Dimenticando però che un debito enorme è una bomba ad orologeria; che una spesa pubblica elevata crea inefficienze le quali compromettono la crescita (in Italia, infatti, sempre più bassa che negli altri Paesi OCSE); che quando il PIL smette di crescere, non è facile tagliare altrettanto prontamente la spesa.

Bisogna intraprendere un’azione di taglio della spesa decisa e intelligente, mirata ad abbattere non solo gli sprechi che gridano vendetta (e però incidono poco sul totale), ma anche le inefficienze e le provvidenze diffuse non sostenibili. È l’azione di spending review (revisione della spesa), di cui si parla tanto in questo periodo).


7) Il rigore senza crescita è inutile; ma la “crescita senza rigore” non è possibile

Si sente dire spesso, negli ultimi tempi, che per uscire dalla crisi “non serve il rigore, ma la crescita”. Che cosa significa? Che bisogna sostenere la crescita con incrementi della spesa pubblica o riduzioni del carico fiscale (o magari entrambe le cose) senza preoccuparsi di risanare i bilanci?

Peccato che questa spensierata affermazione non sia mai accompagnata da proposte serie su come affrontare le conseguenze drammatiche che ne deriverebbero. Non si va al di là di giaculatorie sullo “strapotere delle banche e dell’alta finanza”, sulla “camicia di forza dell’euro”, sulle ipocrisie degli Stati che reclamano il rigore, ecc.

Intendiamoci: è vero che la crisi del debito è stata determinata anche da un mancato governo della finanza; è vero che la gestione della crisi economica nell’eurozona è stata incerta e spesso miope; è vero che le prospettive dell’euro sono difficili se non farà un salto decisivo l’integrazione europea (una moneta unica non può sostenere il peso di politiche nazionali diverse); è vero che esistono nodi profondi del sistema sociale e produttivo che vanno affrontati, come il calo demografico.

Ma gli errori fatti, e la necessità di correggerli, non cambiano il dato di fatto: non si può vivere al di sopra delle proprie possibilità, facendo debiti e pensando che ci sia qualcuno disposto a rinnovarceli all’infinito.

Oggi circolano troppi apprendisti stregoni, economisti fai-da-te che delirano sull’uscita dall’euro o la “decrescita felice”. Troppi cinici irresponsabili, che soffiano sul malcontento popolare per cercare un miope consenso politico (o addirittura un terrificante consenso  “rivoluzionario”). E persino importanti leaders politici italiani e internazionali i quali, finché non sono alla guida del Governo, cavalcano la demagogia; pur sapendo che, se saliranno al potere, dovranno attuare le politiche che contestano.

Se vogliamo dire una parola di verità, con tutti i distinguo che il libero dibattito politico ed economico consente, dobbiamo dire che l’azione di risanamento, necessaria a consentire la riduzione del carico fiscale, richiederà sacrifici. Non sarà un pranzo di gala.



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