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Cultura - Scienze e natura
"Sviluppo sostenibile" o "sviluppo umano integrale"? Stampa E-mail
La differenza tra la visione ecologista-antiumanista e quella umanistico-cristiana
      Scritto da Riccardo Cascioli
24/03/12

«Per uno sviluppo umano sostenibile»: è questo il titolo di un seminario di studio che si [è svolto] il 24 marzo, a Roma organizzato dall’Ufficio  della Conferenza episcopale per i problemi sociali e il lavoro e dal Servizio nazionale per il progetto culturale.

La Chiesa italiana dunque abbraccia il concetto di “sviluppo sostenibile” (l'autore dell'articolo qui ci sembra eccedere in vis polemica, attribuendo l'iniziativa di un ufficio all'intera "Chiesa italiana", ndr): mettendolo in relazione alla “Custodia del Creato”; lasciando intendere che sia quanto sostenuto dall’enciclica di Benedetto XVI Caritas in Veritate; dando per scontato come esito il sostegno entusiasta alla “green economy” (economia verde). Peccato che tutte e tre le conclusioni siano errate. Non casualmente, visto che dall’elenco dei principali relatori si comprende bene chi abbia influenzato pesantemente l’indirizzo dell’Ufficio lavoro della Cei: la regia dell’incontro è infatti nelle mani della Fondazione Lanza, una organizzazione padovana che si occupa di etica sociale e che in campo ambientale ha posizioni che si fa fatica a distinguere da quelle di WWF e Greenpeace.
Nessuna sorpresa dunque che la Caritas in Veritate venga piegata fino a farle affermare l’opposto di quel che dice.

E’ curioso infatti che il seminario parli di sviluppo umano sostenibile, dove l’accento è tutto sul sostenibile. Eppure la Caritas in Veritate non parla mai di sviluppo sostenibile, parla invece di “sviluppo umano integrale”, e insiste su questo concetto. Non a caso, perché se c’è un aspetto “politicamente” interessante della Caritas in Veritate è il fatto che sia stato respinto l’assalto e le forti pressioni di quanti vogliono che pilastro fondamentale della Dottrina sociale della Chiesa diventi proprio il concetto di “sviluppo sostenibile”. Ma lo “sviluppo sostenibile” non è conciliabile con la dottrina della Chiesa perché è parte integrante dell’ “umanesimo senza Dio”.

Dobbiamo ricordare che il concetto di sviluppo sostenibile – codificato nel Rapporto della Commissione Brundtland (1987) e diventato la base delle politiche globali su sviluppo e ambiente – è l’espressione compiuta di una concezione negativa dell’uomo. In particolare la Commissione Brundtland identifica nella popolazione – dal punto di vista sia quantitativo sia qualitativo - un fattore negativo per lo sviluppo e l’ambiente. Ecco perché a livello globale si investono miliardi di dollari per il controllo delle nascite nei Paesi poveri (aspetto quantitativo) e per frenare lo sviluppo dei paesi ricchi (aspetto qualitativo). Malgrado ciò importanti settori della Chiesa spingono per l’adozione di questo concetto: sono in particolare le conferenze episcopali europee – Germania in testa – e gli organismi ecumenici, dove sono alcune Chiese protestanti a dettare la linea. In Italia a sostenere questa linea ci sono associazioni e organizzazioni non governative dichiaratamente cattoliche – come la Fondazione Lanza - che premono per introdurre “l’educazione alla sostenibilità perfino nei seminari”. Evidentemente queste organizzazioni hanno preso il controllo degli appositi uffici della Cei (ancora la vis polemica... ndr).

Allo stesso modo, il concetto di sviluppo sostenibile non ha niente a che vedere con la custodia del Creato, un’espressione che in alcuni circoli cattolici viene interscambiata con "difesa dell’ambiente".
In realtà si tratta, considerata l’accezione corrente della parola ambiente, di due concetti completamente diversi, se non opposti. L’ecologismo dominante infatti, si fonda su una visione negativa dell’uomo, elemento di disturbo di una natura che – sottinteso – sarebbe in condizioni molto migliori se l’uomo non ci fosse. L’ambiente così inteso è “altro” rispetto all’uomo, e quest’ultimo ci può vivere a patto che faccia meno attività possibile e soprattutto metta al mondo meno figli possibile perché ogni persona che si aggiunge è un altro carico sulla natura. Da qui anche l’espressione “difesa” dell’ambiente: c’è un aggressore, l’uomo, e va messo in condizione di non nuocere.

Tutt’altro senso ha invece la parola Creato, che pone in rilievo l’esistenza di un Creatore da cui tutto dipende. La terra perciò non è un organismo autonomo (ipotesi Gaia) che reagisce alle aggressioni come il corpo umano fa con i virus, ovvero con la “febbre” (il riscaldamento globale viene spesso descritto come la “febbre del pianeta”) ma è dono di Dio all’uomo. L’uomo, dunque, non è solo parte del Creato, ma è la prima tra le creature. Esiste perciò una gerarchia ontologica tra l’uomo e gli altri esseri viventi. D’altro canto proprio perché è anch’egli creatura, l’uomo deve rendere conto al Creatore. In altre parole: la nostra vocazione non è anzitutto “difendere” ma “far crescere”.

Altrettanto discutibile è l’innamoramento per la "green economy", ovvero l’economia basata su criteri ecologisti, che sarà lanciata in pompa magna al convegno odierno. Basti dire che uno dei pilastri della "green economy" è la fortissima incentivazione di fonti di energia rinnovabile, che nel nostro paese vuol dire soprattutto eolico e fotovoltaico. Non è questa la sede per esaminare in dettaglio questo aspetto, ma basti pensare che – dati gli enormi costi di queste fonti, causati sia dai costi reali sia dalla loro inefficienza energetica – tale opzione è alla base del forte aumento dei prezzi dell’energia - che già scontiamo -, con il risultato di rendere sempre meno accessibile quello che è il vero motore dello sviluppo.

Obiettivo coerente con l’ideologia dello sviluppo sostenibile, non certo con quella dello sviluppo umano integrale, per promuovere il quale l’accesso a fonti energetiche abbondanti ed economiche – oltre che sicure – è fondamentale.


 pubblicato su La Bussola Quotidiana col titolo La Cei strizza l'occhio all'ecologismo.
 Le evidenziazioni in grassetto sono nostre.



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