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Economia - Notizie e Commenti
L’ora della responsabilità Stampa E-mail
L’urgenza delle riforme (e dei sacrifici) cui nessuno si può sottrarre
      Scritto da Giovanni Martino
28/11/11

Italia - ed Euro - sull'orlo del baratro (da una copertina dell'Economist)L’8 novembre scorso, nella conferenza stampa al termine dell’Ecofin, il commissario europeo agli Affari economici Olli Rehn ha definito la situazione dell’Italia “drammatica”.
Non ha espresso un’opinione, ma ha descritto una situazione di fatto.

Si è molto discusso, in effetti, sulle cause della crisi finanziaria globale e della crisi della finanza pubblica europea in particolare.
Queste analisi possono contenere elementi di valutazione opinabili.
Ma quando un Paese come il nostro è fortemente indebitato, e ha bisogno di prestiti per andare avanti, il livello di fiducia degli investitori che forniscono questi prestiti è un dato di fatto che non può essere ignorato.

Se la fiducia degli investitori viene a mancare, può divenire sterile – e irresponsabile - discutere sulla correttezza della loro valutazione: sono loro che ci danno i soldi, sono loro che dobbiamo convincere.

Ricordiamo, infatti, che il debito pubblico viene continuamente rifinanziato con l’emissione di nuovi titoli (a mano a mano che vengono a scadenza quelli già emessi): Bot, Cct, Btp, ecc. Chi investe in questi titoli chiede un interesse tanto maggiore quanto più ritiene che l’investimento sia rischioso (il rischio è che l’emittente possa non avere a scadenza i soldi per rimborsare il titolo). Dall’altra parte l’emittente, se è costretto a pagare interessi elevati, deve sottrarre risorse importanti a investimenti e servizî.
Stati solidi come la Germania possono permettersi di concedere (per i Bund a 10 anni) un tasso pari circa al 2%, spendendo quindi pochissimo (considerata anche l’inflazione) in interessi.
La Grecia, invece, propone oggi – novembre 2011 - un tasso di oltre il 25% (!): i suoi titoli sono quasi carta straccia, e sicuramente non avrà i soldi per rimborsare tassi così elevati, ma dovrà concordare con i creditori un rimborso parziale (se non dichiarerà fallimento).

Il debito pubblico italiano ammonta a circa 1.900 miliardi di euro. Ogni punto percentuale di tasso d’interesse in più - corrispondente a circa 100 punti-base di spread (differenziale) rispetto ai titoli tedeschi - significa un maggiore esborso su base annua di 20 miliardi di euro (quarantamila miliardi delle vecchie lire) !
Da maggio ad oggi il rendimento dei titoli italiani (Btp) decennali è schizzato dal 4,5 al 7%: decine di miliardi di euro letteralmente bruciati, che spiegano come le manovre finanziarie del Governo Berlusconi (e i connessi sacrifici per gli italiani) si siano rincorse una dopo l’altra (cinque in pochi mesi), risucchiate dall’aumento dei tassi: il Presidente del Consiglio è stato così costretto alle dimissioni, prima che finissimo come la Grecia.


Verità (sterili) e falsità (illusorie) sulla crisi

Per non andare in fallimento, dobbiamo adottare con urgenza riforme (anche dolorose) capaci di rassicurare i “mercati” (cioè gli investitori che ci prestano i soldi) sulla nostra capacità di onorare il debito. Non si scappa.

Possiamo discutere a lungo sulla fondatezza della valutazione dei mercati, sulla nostra solidità, sull’esistenza di “complotti”, sulle “responsabilità” di questa situazione, ecc.
In queste discussioni emergono anche verità importanti; che rischiano però di diventare verità sterili - e pericolose – quando sottovalutano l’urgenza di interventi serî.
Altre volte emergono semplicemente falsità e luoghi comuni, dettati dall’illusione che sia possibile evitare l’assunzione di medicine che appaiono amare. Ma si sa: il medico pietoso uccise il malato …

Proviamo a passare rapidamente in rassegna gli argomenti più diffusi.


“I fondamentali dell’Italia sono buoni”

In parte è vero. L’Italia ha un alto debito pubblico, ma - come spiegato nell’articolo sulla crisi della finanza pubblica europea - una solidità di sistema (avanzo primario, industria manifatturiera, quota di risparmio privato, sicurezza del sistema bancario) maggiore di molti altri Paesi.

Resta però il fatto che, se c’è un alto debito, le potenzialità di farvi fronte non bastano. Serve la fiducia nei mercati nell’effettiva volontà di rispettare gli impegni, nonché nelle possibilità di crescita (che in Italia da quindici anni è troppo bassa).

Se non c’è questa fiducia, le spese per interessi si mangiano tutte le nostre “virtù”…


“Il vero obiettivo è l’euro. Si stava meglio senza”

L’ipotesi che il vero obiettivo degli speculatori sia l’euro non è peregrina, viste anche le avvisaglie di speculazione ai danni della Francia.

Ma rilevare che l'euro è sotto tiro non è una valutazione per noi rassicurante: la necessità di “mettere in sicurezza” l’euro, con un maggiore coordinamento delle politiche di bilancio, fiscali e di sviluppo, comporta in ogni caso che facciamo ordine in casa nostra.

Quanto all’idea che uscire dall’euro sia la soluzione a tutti i nostri problemi, si tratta di un’idea dissennata che può venire in mente soltanto a chi è totalmente digiuno di economia.

L’appartenenza all’euro, e a un mercato davvero unico ed efficiente, ha portato grandi vantaggi al nostro sistema produttivo (forse poteva essere contrattato meglio il tasso di cambio al momento del nostro ingresso, ma questa è ormai disputa archiviata); e vantaggi ancora maggiori - come quelli che sperimenta la Germania - potremmo averne se eliminassimo rigidità e inefficienze.
Pensare che le nostre esportazioni sarebbero avvantaggiate da un ritorno alla lira e da una sua periodica svalutazione significa pensare di mettere sotto la sabbia le inefficienze di sistema, sino a farle esplodere irrimediabilmente.

Quanto al nostro bilancio pubblico, l’euro - con tutti i suoi limiti - ci ha finora garantito grandi risparmi sui tassi di interesse (anche se non ne abbiano saputo approfittare per mettere i conti in ordine). I tassi oggi salgono nonostante l’euro, non a causa di esso.


“Le responsabilità della crisi non sono dell’Italia”

Le discussioni sulle “responsabilità” di questa situazione, possono senz’altro essere importanti.

Esistono le responsabilità di altri Paesi (i “pigs” che hanno destabilizzato i mercati, i Paesi europei nel loro insieme che hanno ritardato la necessaria integrazione, Francia e Germania che hanno esercitato una leadership poco lungimirante); esistono le responsabilità del sistema della finanza internazionale, che ha agito senza regole e con scarso senso etico.

Non dobbiamo dimenticare, però, che siamo costretti a pagare il prezzo di errori altrui solo perché i nostri sono stati ancora maggiori, perché ci siamo messi in condizioni di debolezza con un debito insostenibile.


“Le responsabilità della crisi non sono dei cittadini comuni”

Gli “indignati” che sfilano con i cartelli in cui scrivono “questo non è il mio debito” sono semplicemente fuori dalla realtà.

Invocare la responsabilità delle classi dirigenti (italiane e non solo) è legittimo, perché chi detiene il potere ha responsabilità maggiori.

La classe dirigente italiana degli ultimi quarant’anni porta nel suo insieme una pesante responsabilità politica e morale: quella di aver “comprato” il consenso con spese non sostenibili nel lungo periodo, costituendo un fardello insostenibile sulle spalle delle generazioni future.
Una classe dirigente che ha interpretato la “democrazia” in senso deteriore, rinunciando ad ogni impegno di costruzione di una cultura dei valori, ad ogni azione di responsabilizzazione dei cittadini. Sino ad arrivare alla “democrazia” dei sondaggi di opinione …

È anche vero, però, che i cittadini italiani sono stati incapaci di costruire autonomamente una cittadinanza attiva, un ruolo di vigilanza e indirizzo politico. Hanno preferito assumere il ruolo di “società civile”, separata – con una vena di irresponsabilità – dalla politica; quando non si sono accontentati del ruolo effimero e disimpegnato di “opinione pubblica”, inutilmente lamentosa contro la “casta”.
Peraltro, del sistema di potere italiano, costruito sugli sprechi, hanno beneficiato in diversa misura molte classi sociali. Anche la classe “media” porta le sue responsabilità, perché in nome della difesa di piccoli privilegi (prestazioni assistenziali fasulle, evasione fiscale) ha tollerato grandi privilegi.

Ricordare la responsabilità delle classi dirigenti, quindi, può servire per rinnovarle con lucidità. Ma il debito è intestato a tutti, e non ha senso far finta che le cose siano diverse.

Bisogna assolutamente intaccare i privilegi della casta politica (e non solo di quella).
Ma ciò avrà soprattutto un valore simbolico, servirà a rendere credibili ed equi i sacrifici, che dovranno però essere generali.


“Accettare le condizioni dei mercati significa rinunciare alla nostra sovranità”

Il dato ineliminabile è che quando si è indebitati e non si riesce a pagare bisogna rassicurare il creditore perché ci rinnovi il prestito; bisogna accettare le sue condizioni, a meno che non si disponga di soluzioni alternative più efficaci.

Non serve abbandonarsi al complottismo, straparlando della “prepotenza delle lobbies finanziarie mondiali (giudaico-massoniche?) che hanno prodotto la crisi”, del “commissariamento dei poteri forti”, ecc., senza indicare vie d’uscita.

Se ci teniamo tanto alla nostra autonomia dobbiamo recuperarla nei fatti – non a parole -, liberandoci della cultura del debito.
Altrimenti ci comportiamo come quei sedicenni che reclamano “indipendenza” con la carta di credito di papà …

Peraltro, le indicazioni che ci forniscono Banca Centrale e Commissione Europea (le quali non sono i nostri creditori, ma istituzioni espressione di quei Paesi che devono condividere il peso del nostro debito) ci sembrano in larga parte assennate.

Senza dimenticare che quando si partecipa a istituzioni internazionali (ONU, NATO, Unione Europea, ecc.), godendone i benefici, bisogna anche rispettare le regole comuni che si concorre a definire.
Del resto, secondo quanto stabilisce la nostra stessa Costituzione (art. 11), “l’Italia (…) consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”.


L’ora della responsabilità, dunque, impone a tutti sacrifici. L’importante è che siano sacrifici equi (“equo” non vuol dire che devono pagare “gli altri”…); e che siano accompagnati dalle riforme strutturali di cui abbiamo da tempo bisogno, mirate ad accrescere l’efficienza del sistema-Paese e quindi a rilanciare la crescita economica (le riforme che ci chiede la BCE, quelle che abbiamo invocato parlando della crisi della finanza pubblica europea).

L’evoluzione del quadro politico (caduta di Berlusconi, governo Monti) può suscitare la ragionevole speranza che si è intrapresa la strada giusta?

Di questo aspetto ci occupiamo in un altro articolo.
Quel che è certo è che – chiunque sia al governo – la strada la conosciamo. E non consente scorciatoie.



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