La scelta fra i formalismi sociali e una comunicazione autentica
|
|
      Scritto da Paola Morgigni
|
03/10/11
|
Oggi si associa la parola "informazione" prevalentemente all'universo mass-mediatico. Ci si aggiorna su un po’ di tutto: l'andamento della crisi economica, gli sviluppi delle indagini sui crimini commessi con maggiore crudeltà, le novità tecnologiche. Si conosce la vita privata dei personaggi famosi, si dedicano ore e ore agli scandali dei politici, si parla abbondantemente di diete, di chirurgia estetica, di sport…
Non si sta perdendo, però, la buona abitudine di essere “informati” sulle persone che si conoscono?
Quando ci s’incontra, può succedere che il tradizionale: "Come stai?" sia detto attendendo, solo ed esclusivamente, una risposta rassicurante, ma a volte falsa. Una risposta che sarà data: per non causare problemi, per l'incapacità di svelare se stessi, per la superbia di pensare con ostinazione di potercela fare da soli o anche per la debolezza di non saper chiedere aiuto. Si aspetta così, con avidità, la frase di risposta: "Sto bene". Seguita, a volte, da una frettolosa nuova domanda, che pareggia la partita: "E tu come stai?". Tutto si conclude con l'ultima banale affermazione: "Bene".
Questo gioco verbale dura pochi secondi, il tempo sufficiente per accertarsi che nessuno abbia grossi problemi da risolvere e che, soprattutto, se li ha non voglia rivelarli. Tanto, anche se fossero "gridati”, sarebbero probabilmente ignorati oppure darebbero inizio alla fuga: "Non ho tempo, ora devo andare, ti chiamo domani". Potrebbe anche cominciare il contrattacco, con il racconto di altrettanti gravi problemi, tali da neutralizzare i primi e giustificare un "non intervento di soccorso". Dopo un “match” veloce di guai, fatto con lo scopo di cercare di stabilire, senza riuscirci, chi li ha più "pesanti e drammatici", si può persino arrivare a un tacito patto d'indifferenza reciproca...
E pensare che si dovrebbe, invece, dare il via a un'azione di scambio d'aiuto; ma non accade quasi mai. Così, piuttosto che sentirsi ignorati, rifiutati e - persino - giudicati, rischiando di diventare oggetto delle chiacchiere e dei commenti cattivi degli "amici degli amici"… sì, allora è meglio tacere. Meglio affermare, in un sol fiato e senza pentimenti (ma mentendo): "Sto bene".
Insomma, oggi rischiamo di dover parlare di tutto, ma non di noi; di essere preparati su ogni tema proposto agli opinionisti televisivi, tralasciando di comunicare cosa realmente accade nella vita. Se solo si riuscisse a farlo, forse si eviterebbero i formalismi sociali, specialmente quando sono fatti d’ipocrisia e non servono a nulla. Si vivrebbe un po' meno informati sul mondo e più solidali gli uni con gli altri.
|