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Politica - Notizie e Commenti
Il declino del berlusconismo (e dell'antiberlusconismo?) Stampa E-mail
Il rischio che con la "Seconda Repubblica" affondi anche l'Italia
      Scritto da Giovanni Martino
03/10/11

Non è la prima volta che Silvio Berlusconi è in difficoltà. Già nel 1994, pochi mesi dopo la  “discesa in campo”, cadde il suo primo Governo. E negli anni, anche a seguito di due sconfitte elettorali (1996 e 2006), molti hanno ritenuto conclusa la sua parabola politica.

Invece l'uomo di Arcore ha saputo dimostrare, a chi lo aveva sottovalutato, una grande capacità di ripresa, determinata da molteplici risorse: tenacia e spirito combattente; doti comunicative e di marketing politico uniche, che gli hanno consentito a lungo di presentarsi come homo novus; la possibilità di proporre un'agenda politica innovativa, “liberale”, che oggi quasi tutti ritengono necessaria all'Italia; la possibilità di giustificare i risultati insufficienti con gli “intralci” (della magistratura, dei media avversi, dei “poteri forti”) e i “tradimenti” (degli alleati via via allontanati) che avrebbe subìto, rimossi i quali finalmente il suo progetto si sarebbe realizzato. Non bisogna poi dimenticare l'abilità, nel corso degli anni, di trovare un'intesa con alcuni dei “poteri forti” che inizialmente lo consideravano un corpo estraneo; la possibilità di denunciare le scadenti prove di governo della sinistra; e, soprattutto, i grandi mezzi economici e mediatici, i quali, se non gli hanno consentito di anestetizzare l'intero Paese (l'opposizione politica e sociale è sempre stata molto forte), gli hanno però consentito - in un sistema forzatamente bipolare – di egemonizzare il fronte moderato, ponendosi come unica diga allo straripamento della sinistra.

Oggi, però, queste risorse sembrano esaurite. La crisi di credibilità di Berlusconi appare molto più profonda che in passato, e questo non solo agli occhi degli osservatori più critici, ma di molti che in passato sono stati suoi sostenitori.

I sondaggi sulla popolarità del Primo Ministro sono da mesi in picchiata, tanto che lo stesso Cavaliere – in passato solito sbandierarli a sua difesa, magari gonfiandoli un po' o sostenendo che erano “migliori di quelli di Sarkozy” - non li cita più.

Anche all'interno del Pdl molti, al di là dei proclami, cominciano a ragionare sul dopo-Berlusconi.
Oltre a Pisanu, da tempo critico (e per questo emarginato), iniziano a farsi sentire pezzi da novanta come Formigoni (che invoca le primarie anche per la leadership) e Scajola (che ha un vastissimo seguito nel partito). La Russa anticipa che alle primarie probabilmente Berlusconi non parteciperebbe.

Le cause del declino
1. La crisi economica e le mancate riforme. La crisi economico-finanziaria morde da due anni, ed è destinata a farsi sentire ancor di più con l'attuazione della pesantissima manovra economica approvata dal Governo.

E' vero che la crisi non è solo italiana. Ed è anche vero che i fattori particolari che la rendono più acuta in Italia non sono stati creati dal governo Berlusconi (anzi, i Governi di sinistra hanno perso importanti occasioni di risanamento in anni nei quali c'era il traino della crescita internazionale, come il periodo 1996/2001 e 2006/2008).

Ma i cittadini che hanno votato il Governo di centrodestra lo hanno fatto perché fossero approvate riforme che consentissero risanamento e ripresa.
Non si è visto nulla di tutto questo.
La pressione fiscale complessiva è aumentata, la percentuale di debito pubblico sul PIL pure, la crescita economica (unica via d'uscita – insieme con i tagli alla spesa pubblica – per abbattere il debito) langue, le diseguaglianze sociali (famiglie tartassate) restano.

Il problema è che l'ultimo Berlusconi sembra aver rinunciato a realizzare un progetto politico, intento solo a restare in sella per allontanare il redde rationem con la magistratura.

2. La credibilità personale è a picco. In questi ultimi tre anni Berlusconi si è tuffato nel corpo a corpo con i suoi nemici, rinunciando alla rappresentazione politica dei moderati.
Negli ultimi tempi, poi, è emerso un quadro della sua vita personale decisamente squallido.

Abbiamo già analizzato la vicenda del "bunga-bunga" e le sue implicazioni: la distinzione tra vita privata e vita pubblica, la pressione mediatico-giudiziaria su Berlusconi, l'uso delle intercettazioni, le ipocrisie degli oppositori.

Al di là di queste analisi e delle possibili 'attenuanti' per Berlusconi, resta però il dato di fatto: la credibilità del premier è crollata. Rivendicare il proprio diritto ad una vita “disinvolta” nel momento in cui il Paese è in ginocchio non è il miglior modo per conquistarsi simpatie, e nessuna abilità comunicativa può fare in questo miracoli...

3. Lo spirito combattente sembra smarrito. Gli ultimi mesi hanno offerto l'immagine di un Berlusconi stanco, sempre più parco di dichiarazioni; le sue battute sdrammatizzanti sono ormai forzate.
Abbiamo un Primo Ministro che – si dice - dedica sempre meno tempo allo studio dei dossier governativi. Un Primo Ministro che ripete vecchie considerazioni di Mussolini sull'impossibilità di governare l'Italia: possiamo ritenere più o meno ironiche tali considerazioni, ma appaiono in ogni caso un indice di resa politica.
Anche l'età si fa ovviamente sentire (75 anni). Tanto più se questa età è vissuta con ritmi di vita sregolati, arrivando a destare la preoccupazione degli interlocutori internazionali (già nel 2009, in una serie di dispacci trasmessi al proprio Governo - e diffusi da Wikileaks -, l'ambasciata USA a Roma denunciava che “la passione di Berlusconi per le feste ha minato la sua salute”).

4. Il tempo delle promesse si è esaurito. Per un certo periodo il mancato rispetto di alcune promesse poteva essere attribuito all'eredità del passato o a fattori esterni.
Dopo oltre diciassette anni dalla “discesa in campo” è tempo di bilanci, e ogni nuova scusa ricorda la comicità surreale di un John Belushi.

5. E' emersa la mancanza di cultura politica. Berlusconi ha sempre snobbato la peculiarità della “politica”. In lui ha sempre prevalso l'idea che fosse possibile trasferire alla politica il decisionismo aziendale, in cui bisogna applicare la “cultura del fare” e il maggiore azionista decide per tutti.
In teoria la politica italiana italiana dell'ultima fase della Prima Repubblica, persa in troppi bizantinismi, aveva bisogno di un'iniezione di concretezza. In pratica – e questo Berlusconi non lo ha mai accettato, considerandolo “teatrino” - la cultura del “fare” deve essere preceduta da una cultura dei valori; la decisione deve scaturire anche dalla mediazione con le forze sociali.
Il Cavaliere è andato avanti per tentativi. Inizialmente ha raggruppato forze politiche disparate (Lega, AN, CCD, ecc.) e snobbato le forze sociali. Poi ha invertito il metodo: si è liberato degli alleati politici scomodi e ha trovato il compromesso con i “poteri forti”; un compromesso però da posizioni di debolezza, che lo ha portato ad abbandonare l'agenda liberale, facendosi ingabbiare in un immobilismo fine soltanto al mantenimento del potere. L'homo novus non ha mantenuto la promessa di novità.

Quali risorse restano al Cavaliere?

Berlusconi può contare ancora sulla pochezza dell'alternativa politica di sinistra e sulla debolezza di quella di centro. Nonché sui propri grandi mezzi economici e mediatici.

Risorse che però, messe sul piatto della bilancia, non sembrano più in grado di compensare il suo indebolimento complessivo. Servono solo a garantire la compattezza precaria di una maggioranza parlamentare abbastanza forte per restare a galla, ma troppo debole per intraprendere riforme. Ci troviamo in una fase di inerzia politica pericolosa, che andrebbe interrotta il prima possibile per non trascinare nel declino del berlusconismo l'intero Paese: se perdiamo ulteriormente credibilità presso gli investitori internazionali, e cresce ancora il tasso di interesse per finanziare il nostro debito pubblico, tutti i sacrifici che ci apprestiamo a fare andranno persi nel pozzo senza fondo degli interessi passivi.
 

Dopo il berlusconismo... resta solo l'antiberlusconismo?

Un leader irrimediabilmente indebolito diventa senz'altro un problema per un Paese come l'Italia, che ha bisogno di uno scossone per affrontare la crisi.

Ma Berlusconi non è il problema dell'Italia.

Non è la causa di tutti i mali, che sarebbero magicamente risolti dalla sua uscita di scena. Anzi, quando sarà il momento di stendere un bilancio di questi anni, potranno essergli riconosciuti anche alcuni meriti storici.

La demonizzazione di Berlusconi è stata il facile alibi, il collante di una sinistra incapace di condurre una riflessione profonda sulle cause del fallimento del comunismo e sulle sfide del XXI secolo.

Quali proposte alternative esistono per effettuare i tagli e i sacrifici necessari, al di là del facile slogan “far pagare i ricchi e gli evasori”? Come rendere competitivo il Paese nell'epoca della globalizzazione?

La fotografia che a Vasto ritrae insieme Bersani, Di Pietro e Vendola (quello che dopo la vittoria di Pisapia a Milano ha parlato di città “espugnata”...) sembra un pessimo viatico: un'alleanza che vincesse le elezioni sulla rendita dell'antiberlusconismo, senza una proposta seria per il rilancio del Paese, rischierebbe di trascinare davvero l'Italia nel baratro.
Sarebbe il tragico epilogo di una "Seconda Repubblica" costruita su bipolarismo radicale, riforme mancate, flirt con gli estremismi: elementi che hanno condotto al suicidio della politica italiana.

L'alleanza di centro del cosiddetto Terzo Polo (UDC, FLI, API, MPA), che si muove da premesse ideologiche certamente meno estreme, è però ancora indebolita dal fuoco incrociato - con poche eccezioni - dei media sia di destra (che appoggiano ancora Berlusconi e vedono nel concorrente moderato il peggior nemico) sia di sinistra (che temono la crescita di un'alternativa credibile).
Il Terzo Polo, peraltro, sembra indeciso sul da farsi: accelerare il processo di fusione e sciogliere i nodi presenti anche al proprio interno? Oppure attendere l'uscita di scena di Berlusconi per cercare una ricomposizione in chiave non più “padronale” del fronte moderato?

L'antipolitica dei Beppe Grillo troverà spazio per affermarsi (e per concentrare l'attenzione degli Italiani solo sull'aspetto – pur legittimo – della protesta)?

Le quinte della politica italiana sono in fermento. Speriamo che le soluzioni non arrivino troppo tardi.



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