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Rubriche - Sport
La "finta" di Myers: la fine è il mio inizio Stampa E-mail
Il campione azzurro lascia il basket agonistico. Seguirà i giovani, con la forza della Fede
      Scritto da Massimiliano Castellani
31/03/11

Il molleggiato del basket, Carlton Myers ha detto stop, alla pallacanestro giocata. Per farlo ha scelto un giorno speciale, quello del suo 40° compleanno e un luogo molto significativo, il Palazzetto di San Patrignano, la Comunità di recupero per tossicodipendenti fondata da Vincenzo Muccioli quando Carlton era ancora un bambino. E lì, sulle colline, sopra alla sua Rimini, prima dell’inizio della festa d’addio all’agonismo, l’ex genio ribelle, il numero 10 del basket azzurro, ha voluto dire a tutti, e in particolar modo ai ragazzi della Comunità - ora guidata da Andrea Muccioli -, di seguire in ogni momento due insegnamenti fondamentali: «Ama il Signore con tutta la forza che è in te. Ma soprattutto, ama il prossimo tuo come te stesso».

Con il solito sorriso guascone e le movenze da Celentano del parquet, Myers ha ripercorso 25 anni di carriera. Gli inizi da genio ribelle nel Basket Rimini, il club dove è nato e cresciuto e al quale ha regalato nella stagione di A2, ’94-’95, il record, ancora imbattuto di 87 punti realizzati in una sola partita. «Quella del record contro Udine è stata la partita della mia vita? No, le gare della mia vita sono state tutte quelle in cui tornando a casa mi sono detto: Carlton, oggi non sei stato bravo… E sinceramente di quelle sere lì, me ne ricordo pochine».

Sorride in prima fila tutta la famiglia Myers (la mamma, la moglie Milena e i due figli Joel e Nigel), a cominciare da papà Carlton senior che ha lasciato il buen ritiro dei Caraibi per non mancare alla festa del suo bimbo prodigio. Eccolo qua, è sempre lui, Carlton lo sbruffone. Il più americano dei cestisti italiani che, per qualche mistero che rimarrà irrisolto, non è finito nella Nba per continuare i derby bolognesi con il suo 'amiconemico' Sasha Danilovic. È arrivato pure lui sulla collina di Sanpa (San Patrignano, ndr), magic Sasha, la stella della Virtus e poi degli Heat di Miami. A precederlo sul palco «il compagno più forte che ho avuto», il play David Lee Rivers, persino gli arbitri e naturalmente tutti i coach di una vita sottocanestro, per i quali l’immarcabile Carlton è stato sempre croce e delizia.

Ha ancora energia da vendere Boscia Tanjevic, il ct azzurro con cui Myers ha vinto l’oro Europeo a Parigi nel 1999. «Myers è stato il Michael Jordan italiano, formidabile in attacco e al tiro, ma altrettanto forte come difensore», dice Tanjevic . Una schiacciata di ammirazione quella del tecnico slavo su quel palco in cui sale anche Gianni Petrucci, a capo di Federbasket dal ’92 al ’99, prima di diventare il presidente del Coni. «Alle Olimpiadi di Sydney del 2000, quando scelsi Carlton come portabandiera della squadra azzurra, venni accusato di essere troppo filobasket, ma poi si resero conto della grande popolarità e del carisma di questo ragazzo al quale venivano a chiedere l’autografo tutte le grandi stelle dello sport olimpico». Un anno di svolta per lui quel 2000: diventa il primo portabandiera di 'colore' dello sport italiano e vince il suo unico scudetto, il primo storico tricolore della Fortitudo Bologna. Ma soprattutto è l’anno in cui avverte i primi segni di quella che definisce «la mia conversione», la fede totale in Gesù. «Mentre mi stava crollando il mondo addosso, ho gridato aiuto a Dio e Gesù mi ha salvato, illuminando il mio cammino». Grazie alla fede ha gioito a pieno delle vittorie negli anni della maturità e ha preso le sconfitte per «momenti che vanno accettati e non cancellati».

Con il sorriso dei forti ha reagito alla becera aggressione di alcuni pseudotifosi di Varese che con lui inaugurarono il triste slogan, poi ereditato da Mario Balotelli: “Non esistono neri italiani”. «Fa male - dice - sentire qualcuno che ancora oggi offende il prossimo per il colore della pelle. A me e Balotelli questo è successo, perché siamo neri, giovani e forti. Tre dati di fatto. Vedo in Mario la mia stessa rabbia e quella confusione che puoi avere a vent’anni con tutti gli occhi puntati addosso. Ma gli auguro di aprire al più presto il cuore a Gesù e con il suo aiuto vedrà che tutto sarà più facile».

Parole leggere come un gancio dei suoi che rimbalzano fino al cuore del vecchio coach Valerio Bianchini che lontano dalla panchina ora scrive poesie. «Uno come Myers ti costringe a cancellare tutti i dogmi di una carriera, devi ricominciare daccapo. Di Carlton ne ho visto uno in quarant’anni e credo sarà difficile rivederne un altro nei prossimi quaranta», chiosa Bianchini. Difficile rivedere in un basket in crisi, che per Petrucci «cambia troppe regole ogni anno», un campione di umanità e un fuoriclasse della comunicazione. Ma l’eterno giovane Carlton è cresciuto e ha deciso che da grande vuole mettere la sua esperienza al servizio dei talenti. Il futuro si chiama B-Side, un’agenzia sportiva che vuole essere «uno dei punti di riferimento per la crescita sportiva e umana dei nostri talenti». BSide, ovvero “stare accanto” ai campioni di domani, a luglio dopo le selezioni trasferirà per due settimane il suo campus, Sport High School, proprio a San Patrignano.

«Potevo chiudere la mia carriera con la squadra di Sanpa, la Cimberio (gioca in Serie C)… Mi dispiace solo di essere salito tardi quassù. Ma sento anche che era nel disegno di Dio che dovessi arrivare ora che anche un 'ciao' di questi ragazzi, un semplice saluto detto con il cuore, lo avverto come un forma d’amore verso il prossimo e verso la vita». Come Tiziano Terzani, dalla collina di San Patrignano anche Myers può alzare la testa oltre il canestro e dire: «La fine è il mio inizio».


 Pubblicato su Avvenire



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