PRIMA PAGINA
faq
Mappa del sito
Temi caldi
Temi caldi
Notizie
Attualitą
Politica
Economia
In Europa
Nel Mondo
Contrappunti
Intorno a noi
Cittą e Quartieri
La Regione
Religione
Notizie e commenti
Cattolici e politica
Documenti ecclesiali
Link utili
Cultura
Libri
Cinema
Musica
Fumetti e Cartoni
Teatro
Arte ed eventi
Storia
Scienze e natura
Rubriche
Focus TV
Sport
Mangiar bene
Salute
Amore e Psiche
Soldi
Diritti
Viaggi e motori
Tecnologia
Buonumore
Login Utente
Username

Password

Ricordami
Dimenticata la password?
Indicizzazione
Convenzioni


Diritti - Informazioni
Lo stato della giustizia italiana Stampa E-mail
Le cause di lentezze e inefficienze, le possibili soluzioni
      Scritto da Simone Arseni
07/03/11

Il debito pubblico dello stato italiano nei confronti dei suoi cittadini non riguarda soltanto il settore economico, ma anche quello dell’amministrazione della giustizia. Vitaliano Esposito, procuratore generale della Cassazione, ha parlato non a caso di “rischio di insolvenza per lo Stato”, che non è più in grado neppure di pagare gli indennizzi per la violazione del principio della ragionevolezza dei processi (art. 111 Costituzione e art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo CEDU).

Dall’entrata in vigore della cosiddetta legge Pinto (che disciplina il diritto di richiedere un’equa riparazione per il danno, patrimoniale e non, derivante dall’irragionevole durata di un processo), sono stati promossi davanti alle corti d’appello quasi 40mila procedimenti camerali per l’equa riparazione dei danni, con costi che, ha affermato Esposito, “nel 2008 sono stati pari a 81 milioni di euro, di cui 36 e mezzo ancora da saldare”.

In Italia un processo civile richiede in media 1000 giorni per la conclusione del primo grado di giudizio. Perché i processi arrivino in Cassazione, poi, ci vogliono circa dieci anni (otto per una sentenza definitiva in un processo penale).

Le conseguenze delle disfunzioni dell’amministrazione della giustizia non sono pagate solo dai cittadini coinvolti nei processi, ma, indirettamente, dall’intera collettività. Si pensi ai costi gravanti sulle finanze pubbliche per la grande mole di indennizzi per l’equa riparazione del danno derivanti da irragionevole durata dei processi. Si pensi all’effetto dissuasivo rispetto agli investimenti economici esteri sul territorio italiano, prodotto dalla lentezza e dall’incertezza nell’applicazione delle norme (peraltro farraginose). Si consideri anche che la lentezza dei procedimenti giudiziari finisce con il suscitare un diffuso senso di impunità, stimolando quindi l’illegalità, l’aumento del contenzioso, il rallentamento ulteriore dei procedimenti, in una spirale sempre più viziosa.

Ernesto Lupo, attuale presidente della Corte di Cassazione, nel tentativo di trovare una soluzione condivisa al problema, ha proposto l’elaborazione di un Piano per la durata ragionevole dei processi, che valuti tutti i fattori reali che incidono sui tempi del processo

Con riferimento ai processi civili, in particolare, un ruolo fortemente negativo è giocato dalla Pubblica Amministrazione (soltanto l’INPS è coinvolto in circa un milione di cause civili, pressappoco il 20% del totale), che tende a riversare sulle pronunce giurisdizionali la soluzione di controversie che potrebbero essere quantomeno semplificate attraverso una fase conciliativa precontenziosa. La Pubblica Amministrazione, dunque, non fornisce alcun un apporto di tipo conciliativo alla risoluzione delle controversie.

Per quanto riguarda il processo penale, invece, i fattori di rallentamento dell’iter di giustizia sono di due tipologie: da un lato vi sono fattori a carattere strettamente normativo, dall’altro fattori di tipo culturale.

I primi sono descritti in maniera incisiva da Bruno Tinti nel volume Toghe rotte, edito da Chiarelettere: “se si esamina l’attività del Parlamento e quella della maggior parte dei ministri della giustizia succedutisi negli ultimi vent’anni, si scopre che non solo non si è fatto sostanzialmente nulla per aumentare l’efficienza dell’amministrazione della giustizia, ma addirittura si è lavorato per diminuirla fortemente”. Bruno Tinti parla non solo di provvedimenti “palesemente ostili alla giustizia” (e cita il “lodo Maccanico-Schifani”, che assicurava una temporanea non procedibilità nei confronti delle alte cariche dello Stato e che è poi stato dichiarato incostituzionale; la legge Pecorella; la legge Cirielli; la legge sul condono e la riforma delle pene accessorie, entrambe votate da un’ampia maggioranza di parlamentari, senza distinzione di schieramento), ma anche del fatto che non si discutano mai leggi sui mezzi che il giudice deve avere per giudicare in modo efficiente e imparziale: “niente leggi su soldi, computer attrezzature varie, ma tante su quante volte si deve avvisare un avvocato, quanti giorni devono passare prima di fare questo o quest’altro (…) tantissime su come si può fare per non finire in galera, per uscire prima del tempo…” .

I fattori di carattere culturale, invece, fanno riferimento alle abitudini di vita dei cittadini, affetti, per dirla con Eligio Resta (professore di filosofia del diritto presso l’Università di Roma 3), dalla malattia del “terzo” , il giudice, cui si affida la risoluzione di ogni tipo di controversia.

V’è, infine, una responsabilità dei giudici, i quali spesso contribuiscono in maniera decisiva al rallentamento del corso della giustizia con modalità di lavoro inefficienti, quando non irresponsabili (come denuncia sempre Bruno Tinti in Toghe rotte). È necessario che i giudici siano qualificati, competenti e che rispettino ossequiosamente, come ha affermato Lupo, “le regole deontologiche che impongono attenzione alle ragioni degli altri, costume di sobrietà e rigore istituzionale e professionale”.

Agevolare l’enorme mole di lavoro dei giudici e sfoltire i procedimenti pendenti non è un’impresa da poco. Tuttavia, l’adozione di alcuni provvedimenti normativi consentirebbe di smuovere le acque e di avviarsi alla soluzione del problema.

Per quel che riguarda la giustizia civile (che nel 2010 ha registrato un calo delle pendenze pari al 4%  rispetto al 2009, grazie tra l’altro alla sempre più completa informatizzazione degli uffici giudiziari),  un’iniziativa che si attendeva da tempo è quella realizzata dal Governo, su orientamento dell’Unione europea, con il decreto legislativo n.28, del 4 marzo 2010. Tale decreto impone il ricorso all’istituto della mediazione come condizione necessaria per poter successivamente agire in giudizio.

In ambito penale, invece, notevoli sono le responsabilità dei governi che dal d. lgs 30 dicembre 1999, n. 507, non hanno più proseguito politiche incisive di restringimento dell’area degli illeciti penali. È sempre Lupo ad affermare che “non esiste sistema processuale che possa far fronte in tempi ragionevoli all’abnorme numero di fatti che sono considerati reati nel nostro ordinamento”. La recente istituzione del reato di clandestinità, ad esempio, se sarà applicata con rigore, lascia ipotizzare un ulteriore rallentamento degli ingranaggi del sistema di giustizia italiano.

È dunque necessario riorganizzare e restringere l’area degli illeciti penali, anche ristrutturando e sviluppando le politiche sociali.

Altre proposte che potrebbero risultare decisive in vista di una velocizzazione delle procedure giudiziarie e che, laddove sono state messe a frutto, hanno portato a risultati palpabili sono, da un lato, l’applicazione di un approccio di tipo manageriale all’organizzazione dei tribunali, mediante la diffusione di best pratices (le “prassi migliori” già sperimentate) e l’introduzione di indici di produttività minimi (per migliorare la produttività dei magistrati “fannulloni”), dall’altro l’informatizzazione completa del sistema giudiziario, anche attraverso l’interoperabilità dei sistemi informativi delle diverse procure.

Due esempi concreti e significativi: l’esperienza di Barbuto al Tribunale di Torino ha dimostrato come l’applicazione di criteri manageriali all’organizzazione di un tribunale civile può esser valida ad ottenere risultati eclatanti. Come descritto nel libro Regole, di Abravanel e D’Agnese, edizioni Garzanti, il Tribunale ha ridotto in sette anni l’arretrato medio da sette anni a tre.

Altro intervento concreto il cui esito positivo, però, è ancora da verificare, riguarda la Cassazione Civile, il cui buon funzionamento dipenderà, come ha affermato Lupo, “dalla Sesta sezione prevista dalla legge n.69/2009, che ha introdotto un filtro interno per la cui operatività è stato messo in opera un apposito sistema informatico”. Tale organizzazione consentirà di selezionare e portare a rapida decisione i ricorsi che pongono questioni di notevole importanza sociale o economica.

Infine, qualsiasi valutazione sull’andamento dell’attività giudiziaria non può ignorare la situazione di carenze nell’organico dei magistrati, particolarmente grave nel 2009. Con riferimento all’attività della Corte di Cassazione, Lupo ha riportato i seguenti dati: l’organico dei magistrati risulta scoperto del 26% (anche se – va detto – tale carenza dipende anche dalle inefficienze del nostro sistema universitario, che non riesce a formare validamente i laureati: ai concorsi per magistrato, infatti, non si riesce a reclutare un numero sufficiente di idonei).
Si aggiunga la carenza di personale amministrativo, che era dell’8,74% nel 2009 ed è aumentata nel 2010 al 13,44%.

A tali sofferenze si è unito un aumento considerevole di nuovi ricorsi: ne affluiscono alla Corte, in media, 320 in una giornata lavorativa. Sulla base di questi dati, Lupo ha concluso il suo intervento affermando che “è indifferibile l’adozione di provvedimenti volti a ridurre l’afflusso di procedimenti in Cassazione, che non può essere trasformata da Corte suprema, garante dei diritti, della legalità e dell’applicazione uniforme del diritto, in un sentenzificio di scadente qualità”.

In conclusione, affinché il deficit di giustizia legato alla lentezza dei procedimenti non si accresca ulteriormente, è necessaria una presa di coscienza profonda del problema, non solo da parte dei politici e dei magistrati (che certo hanno importanti responsabilità), ma da parte di tutti i cittadini. Perché è interesse di tutti, come ricordato inizialmente, che il sistema-giustizia diventi efficiente. Ed anche perché, lo abbiamo visto, a volte siamo noi stessi co-responsabili dell’ipertrofia del sistema di giustizia italiano.



Giudizio Utente: / 6

ScarsoOttimo 




Ricerca Avanzata
Aggiungi questo sito ai tuoi preferitiPreferiti
Imposta questa pagina come la tua home pageHomepage
Agorą
Lettere e Forum
Segnalazioni
Associazionismo
Comunicati
Formazione
Dagli Atenei
Orientamento
Lavoro
Concorsi
Orientamento
Impresa oggi
Link utili
Informazione
Associazionismo
Tempo libero
Utilitą varie
Link consigliati
Zenit.org
La nuova Bussola
   Quotidiana
Storia libera
Scienza e fede
Il Timone
Google
Bing
YouTube
meteo
mappe e itinerari
Google Maps e
  Street View
TuttoCittà Street
  View



Questo sito utilizza Mambo, un software libero rilasciato su licenza Gnu/Gpl.
© Miro International Pty Ltd 2000 - 2005