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Cinema - Recensioni e Profili
"Il Grinta" Stampa E-mail
Giustizia, vendetta, redenzione nel western dei fratelli Coen
      Scritto da Domenico Martino
07/03/11

Il Grinta (True Grit)
di Ethan e Joel Coen. Con Jeff Bridges, Hailee Steinfeld, Matt Damon, Josh Brolin
USA 2010

“Non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe” (Sal 102)


Nella loro ultima opera i fratelli Coen si cimentano nel genere western, riprendendo un soggetto già portato sugli schermi nel 1969 dal regista Henry Hathaway con l’interpretazione di John Wayne, che in quell’occasione vinse l’unico Oscar della sua memorabile carriera. La nuova versione dei Coen non è però un semplice remake del film precedente, ma una nuova e ispirata rilettura del soggetto originale.

Mattie Ross (la giovanissima attrice Hailee Steinfeld) è una quattordicenne che vede il padre ucciso da un suo lavorante, Chaney, e decide di non lasciare impunito il delitto. Assolda allora un maturo sceriffo conosciuto come uomo duro e senza scrupoli, Reuben J. 'Rooster' – il “Grinta” - Cogburn (Jeff Bridges); il quale accetta l’incarico, ed anche – sia pure riluttante – la richiesta della ragazzina di partecipare alla caccia all’assassino. A loro si unisce anche LaBoeuf (Matt Damon), un Texas Ranger un po’ ciarliero già da tempo sulle tracce di Chaney.

Il film ha il respiro epico dei western: spettacolare (bellissima la fotografia), denso di azione drammatica (anche con alcune scene crude e violente), a tratti commovente, con una grande interpretazione di Jeff Bridges e Hailee Steinfeld. Ha ottenuto dieci candidature all’Oscar, anche se poi è stato il grande deluso nella notte delle premiazioni.

Il genere western, che i fratelli Coen affrontano per la prima volta, è anche il palcoscenico ideale per un’opera che – come nel loro stile – vuole anche indurre alla riflessione. Il western classico, infatti, è un genere cinematografico tipicamente "morale": offre il palcoscenico di un mondo duro, scarsamente civilizzato, in cui l'uomo costruisce il suo destino - e quello della sua comunità - assumendosi la responsabilità delle sue azioni. È il mondo in cui i Coen possono riprendere il filo conduttore della loro produzione cinematografica: la ricerca del senso dell’esistenza.

Peraltro, come tutti i film della coppia di autori statunitensi, anche questo non offre una chiave di lettura immediata: la riflessione è stimolata senza didascalismi, in maniera indiretta, allusiva (anche se, rispetto ad altre occasioni, i Coen rinunciano ai toni farseschi e paradossali, restando su un registro più drammatico, sia pure a tratti condito di ironia).
Per cui lo spettatore può decidere di “accontentarsi” dello spettacolo, dell’azione, del sentimento. Oppure può decidere di interrogarsi.

Se non avete visto il film e intendete andare a vederlo, allora il consiglio è di fermarsi qui nella lettura dell’articolo (magari per ritornarci sopra in un secondo momento).

Per chi invece il film lo ha visto, proviamo ad approfondire.

Il tema specifico affrontato dai fratelli Coen in questo film, nel quadro della più generale ricerca di senso, è il tema della giustizia.

Gli autori ci offrono anche gli “indizî” per decifrarlo, come alcune citazioni bibliche.

A cominciare dal prologo: “L’empio fugge anche quando nessuno lo insegue” (Pv 28,1).

Da chi o da che cosa fugge, se nessuno lo insegue? Forse da un Giudizio e da un Giudice al quale comunque bisognerà render conto...


“A questo mondo nulla è gratuito eccetto la grazia di Dio".

Questo il pensiero – non una citazione in senso stretto - di Mattie, che sembra lasciare intravedere un’apertura alla grazia; ma in realtà la nega.

A quel pensiero bisognerebbe contrapporre una vera citazione biblica:

“Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8. La citazione – come quella in epigrafe e quelle che seguono – è ora nostra: proviamo ad “espandere” lo strumento interpretativo suggerito dai Coen, ed anche ad esplorare le potenzialità espressive del film).

Chi è la giovane Mattie?

La “piccola contabile” la definisce – non a caso – il balordo Chaney. Infatti, la piccola ha una mentalità commerciale che è l’esatto opposto di quella di Dio. Il Grinta riuscirà a portare a termine la missione e scomparirà senza pretendere i 50 dollari pattuiti. Ma Mattie, anni dopo, tornerà a cercarlo per sdebitarsi: non accetta la gratuità del gesto. Accettare la gratuità significherebbe entrare in una logica diversa, estranea ad una “piccola contabile”.


“La Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la Verità vennero per mezzo di Gesù Cristo" (Gv 1,17).

Mattie è una puritana, con una visione rigida – veterotestamentaria - e rigorosa della vita. Come i suoi abiti.
Cita la scrittura, ma non è in grado di coglierne il senso, perché non si è aperta alla grazia di Dio che presuppone il riconoscersi peccatori e bisognosi dell’amore di Dio.
Ritenendosi giusta, avendo una visione puritana, manichea della vita, quello che cerca non è giustizia, ma vendetta.
Lo si capisce chiaramente quando si ribella all’accordo tra Cogburn e LaBoeuf in base al quale, laddove catturato, il criminale sarebbe stato portato in Texas per essere lì giudicato.
Mattie non vuole che sia assicurato alla giustizia (peraltro quella del Texas non è mai stata tenera...); lei vuole che sia giudicato e condannato dalla sua “giustizia”, da quella “giustizia” che aveva personalmente avuto modo di vedere in azione.
All’inizio del film, infatti, assiste alla pubblica impiccagione di tre criminali (o presunti tali). La “giustizia” mostra il suo volto: violento, inesorabile, che non si commuove (emblematica la scena in cui all’indiano non viene neanche concesso di parlare per esprimere le sue ultime volontà: fossero un pentimento o una richiesta di perdono); come non si commuove Mattie, la quale rimane impassibile.

Il volto della giustizia di Mattie è quello di una giustizia solo umana, che condanna senza appello e non lascia spazio alla redenzione. Il volto della vendetta.

Il volto della giustizia di Mattie è quello di chi non ha misura né compassione, perché si sente giusto e superiore al prossimo (volendo fare un parallelo cinematografico, nella recensione della trilogia del Signore degli Anelli abbiamo osservato che prima di iniziare a portare l’anello Frodo non nutre pietà per Gollum, del quale vorrebbe liberarsi; dopo aver portato il peso dell’anello, dopo aver scoperto di non essere migliore di Gollum, allora lo com-patisce).
Il volto della giustizia divina, della giustizia di Cristo, è invece quello dell’umiltà e della misericordia: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei” (Gv 8,7).


“Il Signore ha guardato l’umiltà della sua serva” (Lc 1,48).

Mattie disprezza sua madre perché ignorante (“Mia madre sa a malapena fare lo spelling della parola cat”) e debole (“troppo addolorata”).

Chi è la (ma)Donna della Storia ? Chi è Maria? Una giovane fanciulla che si apre alla grazia e diviene moglie e madre. Umile, mite e semplice.
Un modello che Mattie rifiuta. Lei guarda al mondo con occhi da uomo: forza, potere e soldi. Infatti, dismette i suoi abiti da ragazza e indossa quelli da uomo.


“Se il seme non muore, non porta frutto” (Gv 12,24).

L’immagine finale di Mattie, anni dopo la caccia all’assassino di suo padre, è di una donna sola al tramonto. Non si è sposata “perché non aveva tempo da perdere”.

Il serpente che nel film le ha solo morso la mano, facendole perdere un braccio, in realtà le ha morso anche il cuore, facendole perdere la sua umanità-divinità. Al serpente che le “insidiava il calcagno” lei non ha saputo “schiacciare la testa” (Gn 3,15).


“Chi perde la propria vita la troverà…” (Mt 17, 25)

Chi è, invece, il Grinta?

Uno sceriffo-cacciatore di taglie che, se andava “male”, assicurava i malfattori alla giustizia; se andava “bene”, la sentenza la eseguiva direttamente lui. Un uomo che dietro di sé aveva una lunga scia di morte e dolore, con due matrimoni alle spalle entrambi falliti. Un uomo che sino all’avventura vissuta nel film non aveva saputo amare né farsi amare neanche da suo figlio.

Il Grinta muore dopo una lunga malattia che lo ha divorato. Una malattia che lui ha chiamato “galoppo notturno”. Perché?

Il galoppo notturno è iniziato con la lunga cavalcata che il Grinta ha compiuto per cercare di salvare Mattie, morsa dal serpente.
Il cavallo “Tuttomatto” si consuma sino a morire in quella corsa disperata; ed anche il “vecchio” Cogburn, che si carica in spalle la ragazza dopo il crollo del cavallo, dà tutto ciò che ha.
Non era stato ingaggiato per questo e non era tenuto a farlo. In precedenza non si era neanche preoccupato di dare cristiana sepoltura a un uomo che lo aveva espresso come ultimo desiderio prima di morire. Eppure quella notte, facendo appello a tutte le sue forze, rischiando anche l’infarto, compromettendo in ogni caso la sua salute, salva la ragazza; e, assicuratosi che lei fosse ormai in salvo, se ne andrà senza pretendere la sua ricompensa.


“Sentinella, quando finisce la notte? Dimmi, quanto manca all'alba?” (Is 21,11)

Da quella notte non sarà più il Grinta.
Quella notte, per la prima volta, non ha dispensato morte, ma ha salvato qualcuno arrivando a dare se stesso sino in fondo, sino a rischiare la propria vita in maniera gratuita.
Per la prima volta ha amato.

Dunque, perché ha chiamato “galoppo notturno” la sua malattia?
Perché quella cavalcata nella notte della vita lo porterà all’alba del Nuovo giorno.



Giudizio Utente: / 7

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