l'attentatore di Tucson
Vogliamo un esempio di come si possa fare pessimo giornalismo, politicizzato e manipolatorio, semplicemente scegliendo di mettere in evidenza alcuni dettagli di una notizia?
Ebbene: lo scorso 8 gennaio a Tucson, in Arizona, durante un raduno del Partito Democratico, un giovane spara uccidendo sei persone (tra cui un giudice federale e una bambina di 9 anni) e ferendo gravemente la deputata Gabrielle Giffords, che sembrerebbe l’obiettivo iniziale dell’assassino.
Attentato politico? Gesto di un folle?
Prima ancora che potesse emergere con chiarezza il movente dell’attentatore, alcuni media italiani avevano già tratto le loro conclusioni, facendole trapelare obliquamente dai titoli e sottotitoli con cui il giorno seguente hanno dato la notizia.
Per Il Messaggero (titolo di prima pagina): “Deputata pro-aborto in fin di vita”.
La Stampa (sottotitolo di prima pagina): “Spari a un comizio, grave deputata democratica pro aborto”.
Il Giornale (titolo di prima pagina): “Strage al comizio della deputata abortista”.
Il Manifesto e L’Unità, ça va sans dire.
Anche altre testate hanno fornito una caratterizzazione antiabortista della Giffords, sia pure con minore evidenza: per Il Sole 24 Ore è “nota per la sua posizione pro-aborto” (nella didascalia della grande foto di prima pagina); per Avvenire (!) è “nota per le sue posizioni pro-aborto” (nel sommario di prima pagina); il Fatto Quotidiano ha evidenziato la linea “pro-aborto”, associandola però a quella “anti-armi” (caratterizzazione peraltro poco appropriata).
La posizione favorevole all’aborto è dunque il tratto caratterizzante della Giffords, il suo cavallo di battaglia, tanto da far pensare inequivocabilmente che potesse essere alla base dell’attentato?
Niente affatto.
La deputata USA è una cosiddetta Blue Dog, una democratica “moderata”. Favorevole allo sviluppo delle energie alternative, è per un severo controllo dell’immigrazione; spinge per limitare il commercio di armi, ma non il possesso personale. Abortista sì, ma come circa la metà dei politici USA, e non tra le più accese.
La leader repubblicana Sarah Palin l’aveva indicata tra gli avversarî da battere alle elezioni di medio termine non per le posizioni sull’aborto, ma per quelle sulla riforma sanitaria (sia detto per inciso: la trovata della Palin di contraddistinguere quegli avversarî come “targets” – “obiettivi” - con tanto di mirino nei volantini propagandistici appare di cattivo gusto, anche se non ha creato nessun “clima” favorevole all’attentato).
La scelta giornalisticamente più equilibrata per dare la notizia dell’attentato, quindi, era quella di segnalare semplicemente - negli articoli che davano la notizia - che era coinvolta una “deputata democratica”, senza suggerire al lettore conclusioni affrettate; e rinviando agli articoli di approfondimento per un profilo del personaggio. È stata la scelta de la Repubblica (che per una volta si è sottratta alla vulgata progressista, almeno nei titoli) e del Corriere della Sera. (Bisognerebbe poi annotare che alcune edizioni on line - Corriere della Sera, Il Messaggero, La Stampa - hanno utilizzato un criterio opposto a quello dell’edizione cartacea: la “linea editoriale” può cambiare da titolista a titolista…)
Evidenziare la posizione abortista della deputata, invece, conduceva inevitabilmente a creare una suggestione di questo tipo: “Attenzione, quelli che si oppongono all’aborto, considerandolo la soppressione di una vita umana, sono fanatici che finiscono per creare un clima d’odio e legittimare aggressioni e violenze contro chi difende l’aborto”.
Argomento da rigettare con fermezza, perché:
- pretende di mettere sullo stesso piano i fanatici (che vi sono, come in ogni schieramento politico-ideologico) e coloro che difendono civilmente e democraticamente le loro posizioni;
- pretende di imbavagliare il dibattito democratico, delegittimando un’opinione e una posizione politica (la contrarietà all’aborto) che peraltro negli Stati Uniti è maggioritaria;
- arriva a capovolgere la realtà, cercando di cucire i panni dei “violenti” addosso a coloro che si battono per la difesa dei più deboli e indifesi.
L’equazione “contrarietà all’aborto = fanatismo violento” sarebbe da rigettare anche se l’attentato alla Giffords fosse stato effettivamente commesso da un folle in nome di una sua personale (e degenerata) battaglia antiabortista.
Ma nella vicenda che stiamo esaminando bisogna sottolineare che l’attentatore non è un antiabortista.
Jared Lee Loughner, 22 anni, catturato subito dopo l’attentato, è un giovane mentalmente disturbato. Nel suo canale su youtube spiega di avere tra le letture preferite Il Manifesto dei comunisti, Mein Kampf e Siddharta. Si fa ritrarre mentre brucia la bandiera americana, o mentre contesta la crisi economica con queste parole: “No! Non voglio pagare il debito con una moneta che non è sostenuta da oro e argento! No! Io non ho fiducia in Dio!”. Tra le sue ossessioni quella di un “governo che sottopone il popolo a un costante controllo mentale e al lavaggio del cervello attraverso la manipolazione della grammatica”, ma nulla sull’aborto.
Insomma: non è proprio il ritratto di un estremista della destra religiosa…
Al di là della legittimità delle diverse posizioni politiche, quindi, i giornali che hanno “strillato” le posizioni abortiste della deputata democratica hanno fatto semplicemente cattivo giornalismo, lanciando messaggi politici ‘preventivi’ senza alcun legame con i fatti concreti.
La causa di questa caduta di 'stile' può essere rinvenuta, in alcuni casi, in una consapevole finalità ideologica; in altri casi – come per quelle testate insospettabili di simpatie progressiste – ci troviamo di fronte ad un episodio di colpevole pressappochismo o sudditanza culturale.