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Lettere - Al Direttore
"Grido di dolore" di un lavoratore autonomo Stampa E-mail
02/01/11


articolo di riferimento: L’evasione fiscale ha qualche giustificazione?


Leggo solo oggi questo articolo e ne ricavo un'impressione che, vediamo, posso definire scoraggiante.

Da quello che scrive è evidente che il dott. Martino non conosce minimamente le condizioni di una grande parte dei lavoratori autonomi.

E per far sì che impari qualcosa, gli spiego la mia.

Sono ingegnere meccanico e, invece di seguire il flusso delle pecore che cercano subito un posto di lavoro 'fisso e sicuro' come la maggior parte dei cittadini italiani, da quando sono uscito dall'università, dopo aver appurato che una carriera accademica era preclusa a chi non faceva parte di 'cordate' e 'sette' particolari, ho iniziato con coraggio un’attività di consulenza libera (ergo, sono divenuto un 'lavoratore autonomo').

Io vengo pagato ad ore, nel senso che le mie fatture sono basate sulle ore di lavoro che richiede lo svolgimento di un certo compito (mi occupo di dinamica delle macchine). La mia giornata lavorativa è di 10 ore medie per 6 giorni (come tutti i lavoratori autonomi, col cavolo che ho il sabato libero e spesso lavoro anche la domenica). Secondo i meravigliosi studi di settore approvati dall'ultimo governo di centrosinistra, la mia paga oraria dovrebbe essere minimo di 45 €/h, mentre ammonta a 20 €/h, perché la concorrenza indiana e polacca, di cui il dott. Martino non ha alcuna percezione diretta sul suo portafoglio, fa sì che col piffero le aziende rispettino le quote orarie 'immaginate' dal fisco italiano!!!

Se lavoro di notte, come spesso accade, per lo sforzo maggiore, sono tassato di più! Non vale per gli autonomi come me il concetto di “straordinario”, non c'è un sindacato cui rivolgersi per questo, e se ci fosse nessuno vi si rivolgerebbe, perché perderebbe i clienti seduta stante. Ecco che arriviamo al punto fondamentale, che il dott. Martino e quelli come lui non hanno evidentemente alcuna possibilità di capire: non è etico che chi non ha garanzie di avere il lavoro domani sia tassato come chi quelle garanzie ce le ha. Capito?? Non è etico, non è giusto. L'equità vorrebbe che fosse remunerato il rischio che il lavoratore autonomo corre di perderlo, il lavoro che ha. Non tutti gli autonomi sono medici che eseguono visite di mezz'ora a 500 € senza fattura!!!

C’è una marea di giovani ingegneri, architetti ed anche – sì - avvocati, che è tartassata in modo a-n-t-i-e-t-i-c-o.

Dico una cosetta al caro dott. Martino: ho dovuto versare al popolo italiano (io non dico 'stato', dico 'popolo italiano', perché è quello lo stato) una marea di soldi ingiustamente estortimi per pagare per esempio i 20.000 dipendenti pubblici siciliani (veda un po’ quanti sono quelli lombardi), i falsi invalidi e tutti quelli che sono andati in pensione a 58 anni e camperanno fino a 90 (compresa mia madre - come vede sono imparziale).

Non ho perciò potuto acquistare gli strumenti software e le attrezzature che mi servivano per creare una Società di consulenza che avrebbe assunto almeno 10 giovani ingegneri italiani subito. I prestiti che le banche e simili potevano offrire (a parte che per i software finanziamenti non esistono) erano a tassi da usura.

Risultato: sto facendo le pratiche e tutto quello che è necessario per andare via dall'Italia ed aprire quella società in Inghilterra dove, se va bene, non saranno mai assunti italiani.

Il capitale sociale richiesto è simbolico (meno di 2 sterline), le spese di apertura sono di circa 200 sterline ed ho ricevuto 3 offerte di finanziamento da parte di banche inglesi in due giorni!!!

Io spererei che una marea di giovani intraprendenti e coraggiosi come me segua il mio esempio, lasciando questo popolo lamentoso e parassita al suo destino.

Il giorno in cui sarà in mutande, forse comincerà a cambiare mentalità.

Per crescere ci vogliono i muri e gli italiani sono ancora adolescenti, pure a 70 anni.

Per gli italiani in genere, come per il dott. Martino, chi ha idee imprenditoriali e commerciali è visto come un oggetto da sfruttare e da tartassare, non come un produttore di ricchezza che va tutelato perché da quella ricchezza dipende il reddito di quelli che lavorano come dipendenti.

L'esatto contrario accade nei paesi anglosassoni.

Pensi pure il dott. Martino e quelli come lui alle aliquote INPS, se è giusta l'età pensionabile di 60 anni o di 60,12 anni e quale percentuale contributiva va imposta ai poveri lavoratori (io, come autonomo, pago il 25,72%).

Pensate tutti a questo, mentre il mondo corre, cresce e le migliori energie e forze del paese fanno una cosa semplicissima: se ne vanno!!!

Non so se il Martino ha figli, ma altri che la pensano come lui li hanno: non c'è problema, saranno loro a pagare per la stoltezza dei padri.

E stiano questi contenti!

Saluti
                                                                                                                      Massimo Marra
                                                                                                                      Firenze


P.S.:
Ho provato anche l'impegno politico per tre anni: inutile, l'Italia è conservatrice nell'anima, sia a destra che a sinistra. Pensate tutti a come fregare gli altri, non avete nessuna possibilità di essere una nazione coesa. Parlo, evidentemente, come uno che non fa più parte di voi. Sono nato qua per caso, mica me lo sono scelto io questo popolo!!!



Risponde Giovanni Martino

Gentile lettore,

mi sembra che lei si riferisca al mio articolo sull’evasione fiscale.

La ringrazio per la considerazione dedicata a quell’articolo, e quindi non me la prendo se mi accusa di “non conoscere minimamente le condizioni di una grande parte dei lavoratori autonomi” o se si dà pena che io “impari qualcosa” (premura peraltro contraddetta poco più avanti, laddove lamenta che quelli come me “non hanno evidentemente alcuna possibilità di capire”).

Mi rammarico solo del fatto che – forse – l’attenzione dedicata a quanto da me scritto non è stata sufficiente. Il mio articolo è un pezzo molto articolato, in cui cerco pazientemente di esaminare tutte le possibili ragioni che inducono all’evasione, e di trovare le risposte più utili. Rileggendolo con calma, forse, troverà qualche risposta che le è sfuggita.

Venendo al cuore della sua lettera, però, non mi sembra che lei difenda apertamente l’evasione (se non altro perché si firma correttamente per esteso).
Più che altro, lamenta l’eccessivo carico fiscale cui sono sottoposti i lavoratori autonomi.

Vorrei ripetere allora alcuni concetti.

1) Il carico fiscale in Italia è eccessivo? Lo penso anch’io!

Mi sembrava di averlo già espresso con chiarezza nel corso dell’articolo.
Quando ricordavo che il carico ufficiale complessivo, al 43,2% del PIL, è tra i più alti dei Paesi OCSE.
Quando lamentavo che la pressione fiscale effettiva su quanti dichiarano interamente il loro reddito oscilla tra il 51 e il 51,9%!
Quando cercavo di spiegare che "imposte più alte significa imprese meno competitive sul mercato estero, meno propense a investire e capitalizzare; significa freno allo sviluppo e compressione dei salarî" (con un link ad un altro articolo da noi pubblicato: In Europa le tasse elevate frenano lo sviluppo e comprimono i salari).

Attenzione, però: il carico fiscale è eccessivo – in linea di principio - per tutti, lavoratori autonomi e dipendenti.
Lei lamenta che la sua paga oraria è di 20 €/h, ben al di sotto dei minimi fissati dagli studi di settore (ma non è obbligato a pagare secondo i minimi: può chiedere l’accertamento).
Tenga conto che lo stipendio medio di un lavoratore dipendente si aggira sugli 11/12 €/h lordi… E che negli ultimi dieci anni si è verificato un grande spostamento di ricchezza dal lavoro dipendente a quello autonomo (come abbiamo spiegato in un altro articolo).
Aggiungiamo che il carico fiscale è ancor più insopportabile – in linea di fatto - per chi le tasse le paga (per scrupolo o necessità) tutte…

2) Le condizioni dei lavoratori autonomi sono difficili? Questi rappresentano una categoria meritoria, che “produce ricchezza da cui dipende il reddito di quelli che lavorano come dipendenti”?

Mi sembrava di aver riconosciuto l’importanza di questa categoria, laddove scrivevo che “la categoria del lavoro autonomo è una categoria che rischia in proprio, che è caratterizzata da spirito di iniziativa e flessibilità, e che contribuisce in maniera importante alla ricchezza del Paese ed anche alla sua capacità di affrontare crisi gravi come quella che stiamo vivendo” (!)

Aggiungevo, però, che tale categoria non va “mitizzata”. Questi lavoratori non hanno il beneficio del posto fisso, ma hanno il privilegio – non secondario – di non dover sottostare ad un “capo”, di poter assumere liberamente le loro decisioni professionali. Anche all'interno di tale categoria, poi, si ritrovano persone che offrono servizî scadenti (e ne facciamo esperienza non di rado). Mi sembra anche eccessivo sostenere – ma il suo probabilmente è un refuso involontario – che il lavoratore autonomo sia “un produttore di ricchezza che va tutelato” (chi denuncia le eccesive ingerenze dello Stato poi non invoca “tutele”…).

Così come non vanno né mitizzati né denigrati per principio i lavoratori dipendenti: tutti "pecore che cercano subito un posto di lavoro 'fisso e sicuro' "? Penserebbe questo anche dei giovani ingegneri che vorrebbe assumere (oppure li prenderebbe solo con contratti di collaborazione)? Non ha mai conosciuto dipendenti seri e coscienziosi?
In una società complessa serve anche il lavoro dipendente e stabile (che è cosa diversa dal “posto fisso”: anche su questo ho cercato di ragionare in un altro articolo).

3) Insomma: non esistono lavoratori di serie A e di serie B. Esistono lavori diversi, con vantaggi e svantaggi che devono trovare adeguato riconoscimento economico.

Ma questo non ha nessun rapporto con l’evasione fiscale (una sorta di “giustizia fai da te” che premia solo i più furbi), e neanche con la determinazione dei carichi fiscali.

I carichi fiscali dipendono dalla capacità contributiva, non dal tipo di lavoro svolto.
Altrimenti lasceremmo ad uno stato centralista-sovietico il compito di stabilire qual è la “giusta” remunerazione per ogni lavoro: gli autonomi devono avere aliquote più basse dei dipendenti? E, tra gli autonomi, i titolari di impresa devono avere aliquote più alte – o più basse – dei professionisti? E gli artigiani? Dobbiamo fare distinzioni per titolo di studio, per numero di dipendenti assunti, per rischi professionali, per carattere “usurante” dell’attività…? Dobbiamo fare simili distinzioni all’interno del lavoro dipendente?)

Il riconoscimento della qualità del lavoro, e delle sue peculiarità, deve venire non dal livello di imposizione fiscale, ma dal reddito lordo: guadagna di più chi produce (a livello manifatturiero o di servizî che sia) di più e meglio, tenendo conto di fattori come il rischio, la domanda, ecc. E non lo decide lo Stato, ma il mercato (per i lavoratori autonomi), o la contrattazione collettiva/aziendale/individuale (per quelli dipendenti).
Funziona così in Gran Bretagna, dove lei vuole andare, e dove non utilizzano certo l’escamotage dell’evasione fiscale (che è la più bassa a livello europeo)…

Il sistema italiano non è abbastanza efficiente nel riconoscere queste differenze (anche se in parte le riconosce: lei, con tutte le difficoltà che lamenta, guadagna ben più di un dipendente medio...).
Esistono problemi di fiscalità eccessivamente onerosa, di servizi pubblici inefficienti, di provvidenze pubbliche (come quelle pensionistiche) eccessive, di scarsa attenzione alla produttività e al merito di molte categorie protette dal mercato, di scarsa concorrenza sul mercato stesso (come quella che rende le nostre banche meno propense a riconoscere iniziative imprenditoriali valide), ecc.
Tutti problemi che abbiamo cercato di evidenziare nell’articolo da lei richiamato, come in altri articoli apparsi su Europa Oggi.

Io penso che al nostro impegno professionale dobbiamo aggiungere quello sociale, lo sforzo di rimuovere le inefficienze descritte.
Ma per far questo serve anzitutto la pazienza e l’umiltà di individuare soluzioni serie; nonché la tenacia di applicarsi perché la rabbia degli Italiani sia indirizzata nella giusta direzione (a queste condizioni, forse, anche il suo impegno politico poteva essere più proficuo).

Io non getto la spugna. Anche per mia figlia.

P.S.:
Non abbiamo “scelto” di essere italiani. Ma lo siamo. Nella nostra varietà di idee, abitudini, paure, pregi, difetti, che non rientrano in nessuna facile etichettatura (nemmeno in quella di “popolo lamentoso e parassita”, che qualcuno potrebbe applicare anche a lei: e lei la sentirebbe senz’altro ingiusta, come la sentono ingiusta milioni di suoi concittadini).
Peraltro, con tutti i difetti veri e presunti che ci vogliamo attribuire, mi sento di dire che L’eccezione italiana (come la definì Giuliano Ferrara in un bell’articolo che avemmo l’occasione di riprendere) non è un’eccezione negativa…


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