Benedetto XVI
Luce del Mondo.
Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi. Una Conversazione con Peter Seewald
Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2010
Sottratto finalmente alla dittatura dei lanci dei agenzia e ai giochi opachi delle “anticipazioni”, è approdato nelle librerie Luce del Mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi, il libro-intervista di Benedetto XVI nato dalle conversazioni estive tra il Papa e il giornalista tedesco Peter Seewald, suo intervistatore di fiducia (con lui aveva già pubblicato due libri-intervista quand'era cardinale, nel 1996 e nel 2000, ndr).
Il volume, pubblicato in Italia dalla Libreria Editrice Vaticana, rappresenta davvero – come ha detto ieri il gesuita Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana – «un atto di vero coraggio comunicativo» compiuto da un Papa «che non è un ingenuo» e che «ha voluto rispondere anche a rischio di suscitare discussioni e di non essere capito perfettamente».
I rischi di fraintendimento mediaticamente indotto si sono palesati anche ieri, con agenzie e edizioni on line dei quotidiani tutti inchiodati sulle risposte papali su omosessualità e dintorni, dove Benedetto XVI ripete soltanto la dottrina tradizionale del Catechismo che definisce «moralmente disordinati» i comportamenti omosessuali.
Prima, a partire dalle anticipazioni lanciate sabato scorso nientemeno che dall’Osservatore Romano, a fare il giro del mondo era stata la breaking new sul possibilismo papale riguardo all’uso dei condom da parte di chi si prostituisce per abbattere i rischi di contagio dell’Aids. Ma da adesso in poi i tormentoni sugli estratti del libro riguardanti la sfera sessuale dovrebbero in breve tempo perdere la propria spinta propulsiva.
E allora l’insolita esternazione papale potrà essere valutata per quello che davvero è: uno strumento prezioso per avvicinare il vero Benedetto XVI, e cogliere i suggerimenti sorprendenti e liberanti che il suo pontificato rivolge a tutti gli uomini di questo tempo, a cominciare da quelli che condividono con lui la fede in Cristo. Il primo dato che balza agli occhi è un tratto non sempre riscontrabile nelle alte sfere ecclesiastiche: Benedetto XVI guida la Chiesa sapendo bene che non è lui il vero timoniere.
Il Papa dice a chiare lettere che la Chiesa non è la sua azienda, tantomeno la sua creazione. C’è chi intorno alla sua esile figura ha voluto costruire il mito del Papa condottiero, artefice di una grande «rivoluzione papale» volta a riaffermare la presa salda del Papato su tutta la compagine ecclesiale per poi affrontare la grande battaglia con la modernità. Nelle pagine del libro si trova tutt’altro. Secondo papa Ratzinger addirittura «Stalin aveva effettivamente ragione quando diceva che il Papa non ha divisioni e non può intimare e imporre nulla. Non possiede nemmeno una grande impresa. Nella quale, per così dire, tutti i fedeli sarebbero suoi dipendenti e subalterni. In questo senso – riconosce il vescovo di Roma – il Papa è una persona assolutamente impotente».
In tale percezione della propria inermità, papa Benedetto è in qualche modo aiutato dal suo carattere, e dalla stessa condizione di anziano che lo porta a fare quello che è «nelle mie possibilità, limitandomi a compiere di volta in volta solo il passo successivo». La massima che segue nel suo mestiere di Papa è l’invito di Gesù a non preoccuparsi del domani, perché a ciascun giorno basta la sua pena: «All’uomo basta la sua pena quotidiana, di più non può sopportare. Per questo cerco di concentrarmi sulla pena quotidiana, lasciando le altre al domani» (p. 106). Così sfugge alla tentazione di «affondare nell’attivismo» («C’è così tanto da fare che si dovrebbe lavorare ininterrottamente. Ecco, proprio questo sarebbe sbagliato»).
Ma a questo non viene condotto solo dall’indole mite o dai limiti dell’età.
Alla radice, c’è la consapevolezza che la Chiesa non è mai frutto dei virtuosismi di un solista. Benedetto riafferma la natura strutturalmente collegiale della guida della Chiesa, affidata da Cristo al collegio degli apostoli ai loro successori. Celebra il Concilio Vaticano II, il quale «ci ha insegnato, a ragione, che per la struttura della Chiesa è costitutiva la collegialità. Ovvero il fatto che il papa è il primo nella condivisione e non un monarca assoluto che prende decisioni in solitudine e fa tutto da sè».
Più alla radice, proprio attraverso il suo modo di esercitare il ministero petrino, rende più trasparente quale sia il vero, unico Capitano della barca. Un dato che proprio le mancanze e addirittura i crimini degli uomini di Chiesa rendono paradossalmente più evidente: secondo Ratzinger «se si considera tutto quello che gli uomini, che i chierici hanno fatto nella Chiesa, allora questo si rivela proprio come una prova che è Cristo che sostiene la Chiesa. Se dipendesse solo dagli uomini, la Chiesa sarebbe già affondata da un pezzo» (p.63).
In questo senso, il pontificato di Ratzinger riscopre tratti essenziali della natura propria della Chiesa e della testimonianza cristiana che rischiavano di rimanere oscurati nel protagonismo a tinte trionfaliste del pontificato wojtyliano. Benedetto ha parole di devozione verso il predecessore che lo ha tenuto al suo fianco per più di un ventennio, scegliendolo come custode della dottrina cattolica. Ma per sé tiene sempre a mente il monito che ai Papi rivolgeva San Bernardo: «Ricordati che non sei il successore dell’Imperatore Costantino, ma di un pescatore» (p. 108).
Così, senza contrapposizioni dialettiche, sottolineando anzi la piena continuità con Giovanni Paolo II («tessiamo il medesimo pezzo di stoffa») realizza un’uscita soft dalla lunga e per certi versi congestionata stagione ecclesiale wojtyliana. E nell’affronto dei problemi più spinosi testimonia la libertà propria di coloro che si sono emancipati dal virus dell’autoreferenzialità ecclesiale, perché sa bene che la salvezza della Chiesa e del mondo non dipende certo da lui, e che «unicamente il Signore ha il potere di conservare gli uomini nella fede».
Solo così si spiega la libertà di sguardo e di giudizio che Benedetto XVI esercita lungo tutte le pagine del libro, sollecitato dalle domande a tutto campo di Seewald.
Papa Ratzinger non nasconde i problemi, le insidie, gli attacchi che la Chiesa riceve anche da quelle che lui definisce «costellazioni» potenti. Ma questo non gli impedisce di riconoscere che nel dialogo con lo scetticismo mondano il concetto stesso di verità «oggi suscita molto sospetto» perché «di esso si è molto abusato. In nome della verità si è giunti all’intolleranza e si sono commesse atrocità. Per questo le persone hanno paura quando sentono qualcuno dire: “questa è la verità” o addirittura “possiedo la verità”. Noi non possediamo mai la verità, nel migliore dei casi è lei a possedere noi». Secondo lui «la verità comporta criteri di verificabilità. E deve sempre andare anche mano nella mano con la tolleranza».
Ma con la tolleranza genuina non ha niente a che vedere quella specie di nuova «religione della società civile» che vorrebbe sterilizzare lo spazio pubblico e la convivenza multiculturale dall’espressione stessa delle diverse identità. Invece, secondo il Papa tedesco perfino il burqa non va bandito, se è espressione di una libera scelta.
Sul dialogo con l’Islam, Ratzinger ammette che nel famoso discorso di Ratisbona – esaltato da alcuni come un “asse portante” del pontificato – aveva fatto male i conti: «Avevo concepito quel discorso come una lezione strettamente accademica, senza rendermi conto che il discorso di un Papa non viene considerato dal punto di vista accademico, ma da quello politico». Allo stesso tempo, rilegge quell’incidente come una felix culpa, perché «da quella controversia è scaturito un dialogo veramente molto intenso».
Con la stessa libertà, il papa ammette che non avrebbe ritirato la scomunica al lefebvriano Williamson se avesse conosciuto in anticipo le sue sparate negazioniste, e che il caso inquietante di Marcial Maciel Degollado – il fondatore dei Legionari di Cristo coinvolto in abusi sessuali – è stato affrontato «con molta lentezza e con grande ritardo», anche perché la sua vicenda «in qualche modo era molto ben coperta».
Il realismo e la lungimiranza con cui Ratzinger chiama per nome i problemi e le miserie anche ecclesiastiche si accompagna a uno sguardo ottimista sul presente e sul futuro della Chiesa, che smentisce il cliché del Papa angosciato e in guerra con il mondo: «Tutta la mia vita», dice di sé, «è stata attraversata da un filo conduttore, questo: il cristianesimo dà gioia, allarga gli orizzonti. In definitiva un’esistenza vissuta sempre e soltanto “contro” sarebbe insopportabile».
Nel libro il papa cita Saint-Exupéry: «Nel Piccolo Principe ha ironizzato sull’intelligenza del nostro tempo, mostrando come essa trascuri l’essenziale e che invece il Piccolo Principe che di tutte queste cose intelligenti nulla capisce, in fin dei conti vede di più e meglio...».
pubblicato su Il Secolo d'Italia